La sua donna

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Il locale odorava di sudore, alcol e acqua di colonia, che inebriava e ottenebrava i sensi, li rendeva vogliosi, desiderosi di altra pelle sopra la propria.
Le persone danzavano sinuose, ridendo, e quelle risate sprofondavano dentro le orecchie di Joker come sussurri, mescolandosi con quelle che abitavano nella sua testa.
Si ritrovò a schioccare la lingua, mentre si faceva cadere sopra un costoso divano in pelle, del colore delle squame di un serpente.
Appoggiò le braccia sui bordi dello schienale, stravaccando le gambe sul tavolo in vetro che aveva davanti a sè. Era trasparente come glassa, gli fece notare una voce nella sua testa.
Ridacchiò, una risata che molti avrebbero potuto definire agghiacciante, mentre i suoi occhi glaciali si posavano su tutto quello che aveva intorno.
Si trovava nel privè, situato al di sopra della pista da ballo, cui ci si arrivava attraverso una scala nera, levigata e ondulata a simulare lo scheletro di un grosso animale.
La stanza era color caramello, le piastrelle lucide, un divano molto simile a quello che aveva sotto di sé che gli sorrideva sghembo, di fronte a lui.
Una vetrata che permetteva di far volteggiare la vista su ciò che avveniva al piano sottostante gli rimandò indietro il riflesso dei suoi capelli verde alga.
Una porta, alla sua sinistra, permetteva l'entrata alla sala, un lampadario di diamanti che pendeva sopra la sua testa mandando bagliori scintillanti ovunque.
Joker li fissò, desiderando di unirsi a quella danza colorata, che faceva sembrare l'intero spazio popolato da una miriade di fate.
Un'altra risata gli uscì dalla bocca colorata di rosso, letale e minacciosa.
Era tornato, finalmente.
Era nel suo locale, nella sua tana.
Era libero.
E lo doveva soltanto a lei.
A quel pensiero, suggeritagli da uno dei tanti bisbigli che alloggiavano nella sua mente, il suo sguardo azzurro saettò giù, tra le persone che si dimenavano come vermi al piano inferiore.
Le luci soffuse avvolgevano la gente, dando loro il capo giro, mentre al centro una tavolata dietro al quale c'era il barista, ospitava un cubo da lap dance. E dentro al cubo, eccola lì.
La porta si aprì alle spalle di Joker, ma a lui non importava.
Nemmeno quando riconobbe la voce del più temuto Gangsta della città, si degnò di voltare la testa verso di lui.
Joker aveva molto potere. L'uomo che ora si era accomodato sul divano di fronte a lui lo sapeva, e lo temeva per questo.
E, sempre per lo stesso motivo, era lì. Per congratularsi per la sua riuscita. Per congratularsi per la sua libertà.
"Bentornato. Ci sei mancato."
Furono, infatti, le parole che gli rivolse, una voce profonda quanto uno sparo.
In tutta risposta, Joker fece un cenno con la mano.
Non gliene importava niente, se gli era mancato. Non gliene importava niente di nessuno.
Tutta la sua attenzione era rivolta a lei, i suoi occhi che accarezzavano quelle gambe snelle, le quali ballavano provocanti, salendo fino allo stretto bacino che ondeggiava lascivo, arrivando al petto pieno che scuoteva a ritmo, provocando gli applausi e i fischi di tutti gli uomini del locale, che le ronzavano intorno come mosche. Come mosche col miele. Ed era lei, il miele.
Joker sapeva, e quel pensiero gli provocò un sorriso dorato come la stanza che aveva intorno, che se quelle stupide moschette si fossero avvicinate troppo a quella bellissima e dolce pietanza... Essa le avrebbe fatte affogare tutte.
'Poveri, piccoli insettini.' Pensò. Erano così insignificanti, così privi di ogni forma di intelligenza da ignorare cosa si nascondesse dietro quell'aspetto da bambolina. Ma lui sì. E sapeva che era qualcosa di ancor più bello e ancor più letale.
Perché l'aveva resa lui così. L'aveva plasmata, aveva forgiato quella mente dapprima grezza fino a renderla splendente.
Ancora ricordava quando mesi prima, se l'era ritrovata davanti. Era la sua psicologa nel periodo in cui era stato imprigionato all' Arkham Asylum, colei che avrebbe dovuto "curarlo". "Guarirlo." Ma all'epoca non sapeva ancora cosa avrebbe dovuto affrontare.
Ricordò di aver pensato che fosse molto bella, sebbene non rispecchiasse i suoi canoni di bellezza. Saranno stati quegli enormi occhi chiari, o i suoi capelli biondi. O forse quella bocca carnosa, rossa e succulenta quanto una fragola matura.
"Non cercare di capirmi. Impazziresti nel preciso istante in cui tenteresti di farlo."
Le aveva sussurrato, in uno di quei suoi bisbigli sensuali, che l'avevano subito resa una facile preda.
Farla innamorare di sé era stato facile, forse troppo. Probabilmente perché era ingenua quanto una bambina, o magari solo perché era così buona. Ma Joker non sapeva, che stava iniziando a nutrire anche lui qualcosa per lei.
Che più la vedeva, più il desiderio di marchiarla, di renderla completa, si faceva vivo e pungente.
E forse era stato per questo che aveva deciso di tenerla in vita quando, dopo averla convinta a liberarlo, gli si era parata davanti.
"Io ti amo." Gli aveva detto, due lacrimoni stampati sul viso. "E vengo con te."
Il seguito se lo ricordava benissimo. L'aveva presa e sbattuta contro un tavolo, in uno dei suoi tanti rifugi, dove l'aveva legata ben stretta.
"Hai intenzione di uccidermi?" La voce della ragazza era risuonata più acuta del solito ma ferma, nonostante la sua paura.
"No." Le aveva risposto, mentre posizionava sul tavolo l'elettroshock.
"Ho solo intenzione di farti molto, molto male."
Il suo viso si era chinato sopra quello di lei, le loro labbra quasi a sfiorarsi.
"Che aspetti allora?" Gli aveva sussurrato. Come se lo volesse. Come se avesse capito.
E poi aveva iniziato la sua trasformazione. L'aveva resa perfetta, genuina, una signora del crimine.
Joker non si era mai reso conto di volerla, fino al giorno della prova finale.
L'aveva portata in una fabbrica abbandonata, dove molto tempo prima, quando non era ancora un criminale, lavorava, su un rialzo sotto il quale faceva la sua comparsa un pozzo dal quale fuoriuscivano dei liquidi tossici.
"Domandina. Moriresti per me?" Le aveva chiesto, girandole intorno.
"Certo."
I loro sguardi si erano incatenati.
"No, no no no. No."
Aveva cantilenato, continuando a camminare.
"Così è troppo facile."
Si era fermato davanti a lei.
"Saresti disposta..."
Aveva interrotto il suo quesito, immerso in un oscuro oceano di sogni tentatori. Sapeva cosa le stava per chiedere. Non l'aveva mai fatto con nessuna. Ma in qualche modo, sentiva di aver bisogno di lei. E voleva metterla alla prova. Voleva vedere quale fosse il suo limite, se il suo fosse vero amore. Se poteva fidarsi di lei come avrebbe voluto.
"Saresti disposta a vivere per me?"
Le labbra della ragazza si erano curvate in un sorriso sghembo, molto simile al suo.
"Sì."
E detto questo, si era fatta cadere nel vuoto, fino a sprofondare nelle viscere del liquame, senza più riemergere; la ragazza non sapeva nuotare.
Joker voleva andarsene. Si era girato, soddisfatto di quello che lei aveva fatto per lui, e voleva che non gliene importasse niente. Ma non era così, e nella sua testa un bagliore si era acceso.
E quello stesso bagliore che da allora non si era mai spento, bensì alimentato fino a diventare un secondo sole, dentro la sua testa, lo aveva spinto a salvarla.
Si era tolto la giacca di coccodrillo che portava, la sua camicia scura brillantinata che si era aperta, lasciando intravedere il suo torace pallido e muscoloso, nonostante il suo fisico magro. Aveva rabbrividito, a contatto con il freddo. Poi si era buttato. L'aveva seguita, capendo che le loro vite si erano intrecciate in un modo così stretto che non poteva più essere slegato. Le sue braccia si erano avvolte attorno al corpo della ragazza, trascinandola in salvo.
Quando era riemersa, il suo sguardo era pieno di un dolce stupore.
Era la cosa più sensuale che avesse mai visto.
Era per quello, credeva, che si era avventato sulle sue labbra, famelico. Quelle della ragazza si erano dischiuse sotto i suoi tocchi, ricambiando quel bacio passionale e possessivo che aveva reso pieno di elettricità il loro corpo.
Da allora lei era stata diversa, in meglio. E non soltanto interiormente.
Aveva iniziato a raccogliersi i capelli, resi quasi bianchi dalle sostanze tossiche, in due code alte sul capo, una dalle punte blu e una dalle punte rosse, truccando in ugual modo le palpebre. La sua bocca era sempre ripassata di rossetto scuro, le sue gambe ricoperte da tatuaggi molto simili a quelli che portava Joker sul petto. Simboli occulti, oscuri, che completavano i suoi.
Per questo, quegli uomini non potevano competere con lei. E non potevano comprenderla.
Ma per lui era diverso. Lui era Joker, e lei la sua donna. La sua regina.
"Ora che ci sei tu, siamo molto più tranquilli. Mi stai facendo fare molti soldi, ed io li farò fare a te."
La voce del Gangsta riportò Joker alla realtà.
Infastidito, staccò gli occhi dal corpo di lei per posarli su quelli del suo interlocutore.
L'uomo che aveva davanti era imponente, grosso. Era pelato, ma una folta barba scura gli incorniciava il volto. Gli occhi erano piccoli e a mandorla, marroni. Alle orecchie portava degli orecchini lucenti.
Il suo corpo era massiccio e tatuato, sotto la giacca scura.
Nonostante fosse molto più imponente di lui, Joker non lo temeva.
E si era stancato, della sua presenza.
"Bla." Disse, in uno dei suoi rochi sussurri.
L'uomo sul divano di fronte a lui aggrottò le sopracciglia, perplesso.
"Come?"
"Bla. Bla. Bla, bla, bla!" Si ritrovò ad urlare, togliendo le gambe dal tavolino e appoggiandole sul pavimento.
"Solo chiacchiere! Che cosa vuoi, esattamente? Manipolarmi?"
Gli domandò, mentre portava la mano sinistra alle labbra, il dorso rivolto al Gangsta. Su di essa v'era disegnata una bocca che sorrideva. Il suo marchio di fabbrica, ma che in quel frangente voleva significare che esso era una maschera. Che la gentilezza usata dal
criminale non gli importava, perché sapeva che era finta.
Uno sghignazzo accompagnò il suo gesto, letale e pericoloso.
Il criminale si guardò le tozze mani pieni di anelli, turbato, poi scoccò un'occhiata veloce al locale sottostante.
Quando Joker vide su cosa, o meglio chi, si era soffermato il suo sguardo, i
suoi occhi scintillarono. Forse era arrivato il momento di divertirsi un po'.
'Bene. Perché mi sto terribilmente annoiando.'
"Ti sei scelto proprio una bella puttana."
A quelle parole, i muscoli di Joker si irrigidirono impercettibilmente.
Una bella puttana? Come osava dire una cosa del genere di Harley Quinn?
Quell'uomo, per quanto pericoloso, era uguale a tutti gli altri. Uno stupido insetto desideroso di zucchero.
"Sì." Sibilò, in risposta, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. I bracciali che aveva ai polsi tentennarono. "Una bella puttana."
Si accarezzò distrattamente l'anello a forma di teschio che portava all'anulare della mano sinistra, i suoi occhi che si rivolgevano nuovamente verso il cubo, in mezzo al tavolo.
Come se avesse sentito il suo sguardo addosso, lei si voltò a guardarlo. Aveva sul viso una risata, che si trasformò in un sorriso accattivante non appena lo vide.
Lui le fece segno con l'indice e il medio della mano destra di raggiungerla.
In tutta risposta, la ragazza si fece scivolare fuori dal cubo con un salto aggraziato.
Ignorò apertamente gli uomini che la chiamavano, dirigendosi con divertimento verso le scale.
Appoggiò una mano smaltata sul corrimano, per darsi un appoggio mentre iniziava a salire, il vestito nero e oro a rombi che le sobbalzava addosso, l'ampia scollatura che le metteva in risalto il seno.
Compiaciuto, Joker si voltò di nuovo verso il criminale.
"Vuoi lei? È questo che sei venuto a chiedermi?"
La paura balenò sul viso di quest'ultimo, i suoi occhi che saettarono verso la pistola che Joker teneva nel porta pistole di cuoio, allacciata come un sottilissimo gilè sulle spalle e sul torace, sopra la camicia.
"No, assolutamente... Sono venuto qui solo per salutare, per..."
Un fruscio quasi inesistente, ma che catturò l'attenzione dei due.
Sulla soglia, in tutta la sua pericolosa bellezza, c'era lei.
Appena lo vide il suo sguardo si illuminò, mentre lui già si era alzato dal divano per andarle incontro.
"Puddin!" Lo salutò entusiasta, nel solito nomignolo con cui usava chiamarlo. Era l'unica persona al mondo a cui avrebbe permesso di chiamarlo così.
"Vieni qua, baby."
Le cinse la vita e la attirò a sè, le mani di lei che correvano ad aggrapparsi al suo petto, per non cadere.
Profumava di fragole. E di sudore.
In un lampo memorizzò piccoli dettagli del suo corpo, come un agente della polizia che scattava le foto al cadevere ritrovato. Che spesso, pensò, causava lui.
Sghignazzò, la sua mente che captava il rossore lievemente accennato sui suoi zigomi alti, gli occhi azzurri che spuntavano da dietro le folte ciglia.
La sottile spallina destra le era scivolata giù dalla spalla, rendendo visibile la pelle del colore del latte.
Quel dettaglio gli fece ribollire il sangue nelle vene, mentre si chinava per baciarle le labbra sanguigne. Lei rispose al suo bacio con un altro, le dita che si avvinghiavano quasi con violenza ai suoi capelli color dell'erba, i loro corpi stretti in una presa vorace.
La lingua di Joker sfiorò il chewing-gum di frutta che Harley aveva in bocca, e lo trasse verso le sue labbra. La ragazza serrò i denti, mentre lui iniziava a tirare un pezzo di quella gomma, assaporandone il sapore.
Sapeva ancora di frutti di bosco.
Lasciò la presa su di essa, allontanando la sua bocca da quella di lei, che ringoiò la cicca da masticare, ma non staccò le braccia dalla vita di quest'ultima.
I loro occhi si incatenarono, scrutandosi a vicenda quelle anime tormentate e oscure, ma che, in qualche modo, si completavano l'un l'altra.
E, Joker poteva giurarci, Harley aveva capito le sue intenzioni.
"Piccola, ti presento il tuo nuovo compagno. Sei sua ora."
Le mani della ragazza erano ancora sulla sua pelle, e solamente in quel momento si rese conto che gli aveva sbottonato i primi due bottoni della camicia bianca che portava, da sotto il quale spuntavano i suoi tatuaggi.
La ragazza si staccò compiaciuta da lui, posizionandosi a cavalcioni sulle gambe del Gangsta, che aveva l'aria terrorizzata e maliziosa al tempo stesso.
Nella testa di Joker, migliaia di risate risuonarono all'unisono, mentre osservava con gusto le mosse di quel povero e insignificante criminale.
Che cos'avrebbe fatto? Avrebbe rifiutato l'offerta, insultando così la compagna del più crudele e spietato killer del mondo, o avrebbe accettato, mancando così di rispetto proprio a lui stesso?
Un sorriso ilare comparve sul viso di Harley Quinn, mentre si faceva più stretta al corpo di quell'uomo, avvicinando il viso al suo.
Sapeva benissimo anche lei, cosa stava succedendo. E, esattamente come lui, si stava godendo la scena.
"Ma... È la tua donna."
Sottolineò con incertezza il loro ospite.
Joker si posizionò in ginocchio di fianco a lui, in modo da vederlo bene in volto.
Percepì dubbio, voglia e paura.
Un connubio da dare i brividi per lo sballo.
In tutta risposta, inclinò la testa di lato, gli occhi color del ghiaccio che guardavano di traverso l'uomo che aveva dinnanzi.
"La vuoi, o non la vuoi?" Scandì implacabile.
Come se si fosse appena reso conto del guaio in cui si era involontariamente cacciato, l'uomo sbiancò.
"No. Non voglio avere guai." Disse con voce flebile.
Lei, intanto, che aveva iniziato a baciargli il collo, si bloccò di colpo.
"Perché devi farmi perdere tempo in questo modo?"
Gli chiese con finto tono offeso, mettendosi al fianco di Joker che nel frattempo si era alzato, e appoggiando un braccio sulla sua spalla.
Il primo iniziò lentamente a scuotere la testa, come infastidito da una qualche presenza.
"Ahi ahi ahi ahi ahi." Bisbigliò.
"Qui qualcuno ha appena fatto una sciocca... Mossa."
Come se fossero stati una cosa sola, sentì la mano di Harley fremere, mentre scivolava dalla spalla fino al lato sinistro del suo torace, dove era ben assicurata la pistola. In un attimo sganciò l'arma, puntandola fulminea verso il Gangsta. Essa scintillò, catturando i bagliori di tutto l'oro che li circondava.
"Ehi, ma che cazzo!" Esclamò l'uomo, mentre alzava le braccia in aria, paralizzato.
La mano di Joker raggiunse anch'essa la pistola, le sue dita che si intrecciavano a quelle della ragazza.
"Nessuno può insultare così la Regina di Gotham. Credevo fossi più furbo, amico."
E detto questo, con una risata da far gelare il sangue nelle vene, esattamente nello stesso preciso istante, i due premettero il grilletto, facendo accasciare il corpo, ormai senza vita dell'uomo, sulle piastrelle lucide.
Lei si voltò a guardarlo, i grandi occhioni ammiccanti.
Gli riallacciò la pistola nella custodia, accompagnando il movimento di Joker.
Si fece più stretta a lui, i loro respiri euforici che si mischiavano l'un l'altro, i petti che si muovevano insieme.
"E adesso?"
Gli domandò, sfoderando un sorriso scintillante.
Joker la guardò, mentre le prendeva una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla guancia, sfuggita dalla sua acconciatura.
'Sembrano filamenti di stelle.' Pensò. Lasciò la presa su di essi e le catturò il mento, avvicinandolo al suo viso.
I loro spiriti per un momento si accarezzarono, facendo sentire Joker vivo e in pace, come non gli era mai successo.
"Adesso ce ne andiamo via da qui."
***
Salve! Che ne dite di questa nuova storia? Ieri ho visto Suicide Squad e non ho potuto fare a meno di innamorarmi di questi due, talmente tanto da decidere di dedicargli un racconto!
So che, per chi legge i fumetti, probabilmente il film è stata una delusione sotto questo aspetto perché il rapporto tra Joker e Harley è molto più negativo e fragile nei primi, ma per quanto mi riguarda sono molto contenta della scelta che hanno operato i registi, scegliendo di introdurre in chiave romantica e positiva il loro amore.
Per quanto riguarda il racconto, non so se scriverò altri capitoli, perché ho già le altre due storie da continuare... Perciò ditemi voi. Se vi piace e volete il seguito fatemelo sapere con un commento o un messaggio, come preferite.
Grazie ancora per l'attenzione! Baci 😘

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