Dio, com’è finito tutto ciò! In che modo è finito!
Giunsi alle nove. Lei era già là. La notai ancora di lontano; stava, come la prima volta, appoggiata al parapetto del lungofiume e non sentì quando mi avvicinai.
«Nàstenka!» la chiamai, frenando a stento la mia agitazione. Si volse rapidamente verso di me. «Ebbene?» chiese «Su, presto!» La guardai perplesso.
«Su, dov’è la lettera? Avete portato la lettera? » ripeté, afferrandosi con una mano alla ringhiera.
«No, non ho la lettera» le risposi. «Ma forse egli non è ancora venuto?» Ella si fece terribilmente pallida e mi fissò a lungo con uno sguardo immobile. Le avevo distrutto l’ultima speranza.
«Be’, che Iddio sia con lui!» proferì alla fine, con voce spezzata «Che Iddio sia con lui, se mi abbandona così…»
Abbassò gli occhi, poi volle guardarmi, ma non ne ebbe la forza. Per alcuni minuti riuscì a frenare la propria agitazione ma, a un tratto, si girò dall’altra parte, si appoggiò con i gomiti alla balaustra e scoppiò in lacrime.
«Basta, basta!» presi a dire io, ma, guardandola, mi mancò la forza di continuare, e poi, che cosa le avrei detto?
«Non cercate di consolarmi,» mormorò ella piangendo «non parlatemi di lui, non ditemi che verrà, che non mi ha abbandonata così crudelmente, in modo così disumano, come ha fatto! Perché, perché? C’era forse qualcosa in quella mia lettera, in quella mia disgraziata lettera?»
A questo punto i singhiozzi le spezzarono la voce; guardandola mi sentii strappare il cuore.
«Oh, come tutto ciò è disumanamente crudele!» riprese ella «E non una riga, non una riga! Se almeno mi avesse risposto che non ha bisogno di me, che non mi vuole… E, invece, neppure una riga in tre giorni! Con che cuore leggero oltraggia e offende una povera ragazza indifesa, la cui unica colpa è quella di amarlo! Oh, che cosa non ho sopportato in questi giorni! Dio mio, Dio mio! Quando rammento che sono stata io la prima ad andare da lui, che mi sono umiliata di fronte a lui, che ho pianto, che ho supplicato non fosse altro che una goccia d’amore… E dopo questo! Ascoltate,» proseguì, volgendo a me gli occhi neri sfavillanti «ma non è così! Non può essere così, non è una cosa naturale! O voi, o io ci siamo ingannati: forse non ha ricevuto la lettera, forse finora non sa nulla! Com’è possibile, giudicate voi stesso, ditemi, spiegatemi, in nome di Dio, perché io non riesco a capirlo, com’è possibile agire in modo così barbaro e villano come ha agito con me? Neppure una parola! Ma per l’ultima creatura del mondo si ha più compassione! Forse avrà sentito dire qualcosa, forse qualcuno gli avrà parlato male di me?» gridò ella, rivolgendo a me la sua domanda «Che cosa, che cosa ne pensate?»
«Sentite, Nàstenka, domani andrò da lui a vostro nome.» «Ebbene?»
«Lo interrogherò su tutto, gli racconterò ogni cosa.» «Ebbene, ebbene?»
«Scrivete una lettera. Non rifiutate, Nàstenka, non rifiutate. Lo costringerò ad apprezzare il vostro gesto, egli saprà tutto, e se…»
«No, amico mio» m’interruppe. «Basta! Non una parola di più, non una riga da me, basta! Io non lo conosco, non lo amo più e lo di…men…ti… cherò…»
Non riuscì a finire la frase.
«Calmatevi, calmatevi! Sedetevi qui, Nàstenka» le dissi, facendola sedere sulla panchina.
«Ma io sono calma. Smettetela! È solo così… queste lacrime si asciugheranno… Credete che mi voglia uccidere, che mi voglia annegare?» Il mio cuore traboccava; avrei voluto parlare, ma non ci riuscii. «Ascoltatemi,» proseguì, prendendomi per la mano «e ditemi: voi avreste agito così? Voi avreste colpito colei che era venuta spontaneamente da voi, avreste colpito con questa beffa il suo stupido cuore? Voi l’avreste risparmiata, no? Voi avreste capito che essa era sola, che non aveva saputo badare a sé, che non aveva saputo guardarsi dall’amore per voi, che non aveva colpa, che essa, in fondo, non aveva colpa… che non aveva fatto nulla! Oh, mio Dio, mio Dio!»
«Nàstenka!» gridai alla fine, incapace di dominare la mia emozione «Nàstenka, voi mi torturate! Voi straziate il mio cuore, voi mi uccidete! Io non posso più tacere! Io devo, alla fine, parlare, rivelarvi ciò che divampa nell’animo mio!»
Dicendo questo, mi alzai dalla panchina. Ella mi prese per mano e mi guardò con stupore.
«Che avete?» mi chiese.
«Ascoltate» dissi io, in tono deciso. «Ciò che ora vi dirò è assurdo, irrealizzabile, sciocco… So che non potrà mai avvenire, ma ormai non posso più tacere. In nome di quanto ora soffrite, vi supplico in anticipo di perdonarmi!»
«Che c’è? Che c’è?» mi chiese, smettendo di piangere e guardandomi fissamente, mentre una strana curiosità brillava nei suoi occhi «Che avete?»
«È una cosa irrealizzabile, ma io vi amo, Nàstenka! Ecco, ora ho detto tutto!» esclamai, con un gesto sconsolato della mano «Vedrete, adesso, se potete ancora parlare con me come parlavate poco fa, se, infine, potrete ascoltare ciò che vi dirò…»
«Ebbene, che c’è?» mi interruppe Nàstenka «E con questo? Lo sapevo da un pezzo che mi amate, solo mi è sempre parso che mi amaste così, semplicemente… Ah, mio Dio, mio Dio!»
«Sulle prime era semplicemente così, Nàstenka, ma ora, ora… ora mi trovo nella stessa condizione vostra quando andaste da lui con il vostro fagottello in mano. Peggio ancora, Nàstenka, perché egli allora non amava nessuno e voi, invece, amate.»
«Che cosa mi dite mai! Io, infine, non vi capisco affatto. Ma ascoltatemi: perché questo, o meglio, non perché, ma per quale ragione voi parlate così e così all’improvviso… Mio Dio! Io dico delle sciocchezze, ma voi…»
E Nàstenka si smarrì del tutto. Le sue guance si fecero di fiamma; ella abbassò gli occhi.
«Che farci, Nàstenka, che posso farci? Sono colpevole, ho abusato… Ma no, no, non sono colpevole, Nàstenka; io lo sento, io lo provo, perché il cuore mi dice che ho ragione, perché io non posso offendervi in alcun modo, non posso umiliarvi! Io ero l’amico vostro; ebbene, anche ora vi sono amico, non vi ho tradito in nulla. Ecco, Nàstenka, ora mi scorrono le lacrime. Che scorrano, che scorrano pure, non danno noia a nessuno. Si asciugheranno, Nàstenka…»
«Ma sedetevi, dunque, sedetevi» mi disse ella, costringendomi a sedere sulla panchina. «Ah, mio Dio!»
«No, Nàstenka, io non mi siederò; ormai non posso più stare qui, ormai voi non mi potrete più vedere; vi dirò tutto e poi me ne andrò. Voglio soltanto dirvi che non avreste mai saputo che vi amo. Avrei mantenuto il mio segreto. Non vi avrei tormentata adesso, in questo momento, con il mio egoismo. No! Ma ora non ho più potuto resistere; voi stessa avete cominciato a parlare di questo, la colpa è vostra, tutta vostra, e io non sono colpevole. Voi non potete scacciarmi da voi…»
«Ma no, no, io non vi scaccio, no!» disse Nàstenka, cercando di nascondere come poteva, poveretta, il suo turbamento.
«Voi non mi scacciate? No? Ma io stesso volevo fuggire da voi. Io me ne andrò, soltanto prima dirò tutto, perché mentre voi stavate parlando qui, io facevo fatica a star fermo, mentre voi piangevate, vi tormentavate perché… sì, perché (dico le cose come stanno, Nàstenka), perché hanno respinto il vostro amore, io ho provato, ho sentito nel mio cuore tanto amore per voi, Nàstenka, tanto amore! E ho sofferto terribilmente di non potervi aiutare con questo mio amore… tanto che ho sentito spezzarmisi il cuore e io… io non sono più riuscito a tacere e ho dovuto parlare, Nàstenka, ho dovuto parlare!»
«Sì, sì! Parlatemi, parlatemi così!» esclamò Nàstenka con un gesto inspiegabile «A voi parrà forse strano che io vi dica questo… Ma parlate! Poi vi dirò tutto, vi dirò tutto!»
«Voi avete pietà di me, Nàstenka, semplicemente pietà di me, piccola amica mia! Ormai ciò che è perduto è perduto! Ciò che è stato detto non torna indietro! Non è così, forse? Ebbene, voi ora sapete ogni cosa. Questo è un punto di partenza. E sta bene! Tutto questo va benissimo; soltanto ascoltate. Mentre voi, seduta qui, piangevate, io pensavo (oh, lasciate che vi dica ciò che pensavo!), io pensavo che (be’ questo, ormai, certamente non può più essere, Nàstenka! ), io pensavo che voi… credevo che voi… non so come dire… che voi, in certo qual modo non lo amaste più. Allora, e questo l’ho pensato già ieri e ieri l’altro, Nàstenka, allora avrei fatto in modo, avrei fatto assolutamente in modo che voi avreste potuto amarmi; voi stessa l’avete detto, l’avete detto voi stessa, Nàstenka, che mi amavate ormai quasi completamente. Be’, che altro ancora? Be’, ecco, questo è quasi tutto ciò che volevo dirvi; resta soltanto da dire quello che sarebbe stato se voi mi aveste amato, solo questo, e niente altro più! Ascoltatemi dunque, amica mia (giacché, nonostante tutto siete amica mia), io certo sono un uomo semplice, povero e talmente insignificante! Ma non si tratta di questo (non voglio parlare di ciò, Nàstenka, ma è colpa del turbamento), solo vi voglio dire che vi avrei amata, vi avrei amata in modo tale che se anche lo aveste ancora amato, se anche aveste continuato ad amare colui che non conosco, non vi sareste accorta, voglio dire che il mio amore non vi sarebbe stato in alcun modo di peso. Avreste soltanto intuito, soltanto sentito a ogni minuto che accanto a voi batteva un cuore riconoscente, riconoscente, un cuore caldo, che per voi… Oh, Nàstenka, Nàstenka! Che cosa avete fatto di me!»
«Non piangete, dunque, non voglio che piangiate,» disse Nàstenka, alzandosi rapidamente dalla panca «andiamo, via, alzatevi, venite con me, non piangete, su, non piangete,» diceva lei, asciugandomi le lacrime con il suo fazzoletto «andiamo! Adesso io, forse, vi dirò qualcosa… Sì, giacché egli, ormai, mi ha abbandonata, giacché mi ha dimenticata sebbene io l’ami ancora (non voglio ingannarvi)… ascoltatemi e rispondetemi. Se io, per esempio, cominciassi ad amarvi, cioè, se solo io… Oh, amico mio, amico mio! Quando penso, quando penso che allora vi ho offeso, che ho riso del vostro amore, quando vi ho lodato perché non vi eravate innamorato di me! … Oh, mio Dio! Ma come mai non l’ho preveduto, come ho fatto a non prevederlo, come mai sono stata così sciocca, ma… su, su, sono decisa, e vi dirò tutto…»
«Ascoltatemi, Nàstenka: sapete che cosa? Io me ne andrò lontano da voi, ecco tutto! Io non faccio che tormentarvi, semplicemente. Ecco che ora la coscienza vi rimorde perché avete riso di me, e io non voglio che, oltre al vostro dolore… Certo, la colpa è mia, Nàstenka, ma addio!» «Aspettate, ascoltatemi: potete aspettare?» «Aspettare che cosa, e perché?»
«Io lo amo, ma questo passerà, questo deve passare, non è possibile che non passi; sta già passando, lo sento… Chi lo sa, può anche darsi che finisca oggi stesso, perché io lo odio, perché lui ha riso di me mentre voi avete pianto qui con me, perché voi non mi avete respinta come ha fatto lui, perché voi mi amate e lui non mi amava, perché, infine, anch’io vi amo… Sì, vi amo! Vi amo come voi amate me; io stessa ve l’ho detto anche prima, voi l’avete sentito… vi amo perché siete migliore di lui, perché siete più grato di lui, perché… perché lui…»
La commozione della poveretta era così intensa che non riuscì a finire, appoggiò il capo sulla mia spalla e poi sul mio petto e si mise a piangere amaramente. Io cercavo di confortarla, di persuaderla, ma essa non riusciva a calmarsi. Continuava a stringere la mia mano e a dire tra i singhiozzi: «Aspettate, aspettate… ora smetterò di piangere! Voglio dirvi…non crediate che queste lacrime… è soltanto così, per debolezza… Aspettate, ora passerà…» Finalmente smise di piangere, si asciugò gli occhi e riprendemmo a camminare. Avrei voluto parlare, ma ella continuò ancora per un pezzo a pregarmi di aspettare. Tacemmo. Infine, ella si fece animo e prese a parlare…
«Ecco,» cominciò con voce fioca e tremante, ma nella quale a un tratto risonò qualcosa che mi andò diritto al cuore e che me lo fece dolcemente dolere «non crediate che io sia così leggera e incostante, non crediate che sia capace di dimenticare e di tradire con tanta facilità… L’ho amato per un anno intero e giuro davanti a Dio che mai, mai gli sono stata infedele, neppure con il pensiero! Egli ha disprezzato tutto questo, egli ha riso di me, che Iddio sia con lui! Ma egli ha ferito il mio cuore, mi ha offesa… Io, io non l’amo più, perché posso amare soltanto chi è generoso, chi mi comprende, chi ha un animo nobile, perché sono io stessa così, ed egli è indegno di me, e allora… che Iddio sia con lui! È meglio che abbia agito così adesso, piuttosto che in seguito io fossi stata delusa nelle mie aspettative e avessi capito che uomo era realmente… Bene, è finito! Ma come si fa a saperlo, mio buon amico,» proseguì, stringendomi la mano «come si fa a saperlo? Forse tutto il mio amore non era che un inganno del sentimento, dell’immaginazione, forse esso cominciò solo come uno scherzo, come una sciocchezza, per il fatto che ero sotto la sorveglianza così stretta della nonna! Forse, io devo amare un altro e non lui, non un uomo simile ma un altro, uno che sappia avere compassione di me e… e… Bene, ma lasciamo andare, lasciamo andare questo,» si interruppe Nàstenka, ansando per l’emozione «io volevo soltanto dirvi… volevo dirvi che se, nonostante che io lo ami (no, che io lo abbia amato) se, nonostante ciò, voi direte ancora… Se voi sentite che il vostro amore è così grande da poter scacciare dal mio cuore quello di prima… se voi vorrete aver pietà di me, se non vorrete abbandonarmi sola al mio destino, senza conforto, senza speranza, se vorrete amarmi sempre come mi amate ora, vi giuro che la mia gratitudine… che il mio amore sarà, finalmente degno del vostro amore… E ora, volete prendere la mia mano?»
«Nàstenka!» gridai, soffocato dai singhiozzi «Nàstenka, oh Nàstenka!» «Basta, suvvia, basta! Sì, ora basta davvero!» prese a dire, facendo forza a se stessa «Ora tutto è stato detto, non è vero? È così? Be’, voi siete felice, e sono felice anch’io. Non più una parola su questo argomento. Aspettate, risparmiatemi! Parlate di qualche altra cosa, in nome di Dio!»
«Sì, Nàstenka, sì! Di questo, ora, basta. Ora io sono felice, io… Sì, Nàstenka, parliamo d’altro, al più presto, subito… Io sono pronto…»
Non sapevamo che dire, ridevamo, piangevamo, dicevamo mille parole senza senso e senza nesso, camminavamo sul marciapiede, poi, a un tratto, tornavamo indietro e ci mettevamo a attraversare la strada; ci fermavamo e di nuovo passavamo sul lungofiume; eravamo come due bambini…
«Io ora vivo solo, Nàstenka,» presi a dire «ma domani… Voi certo sapete, Nàstenka, che io sono povero, ho in tutto milleduecento rubli, ma questo non ha importanza…»
«Certo che no, ma la nonna ha una pensione; così non ci sarà di peso. Bisogna prenderla con noi.»
«Si capisce, la nonna bisogna prenderla… soltanto, ecco, c’è Matrëna…» «Già, anche noi abbiamo Fëkla!»
«Matrëna è buona, ma ha un difetto: non ha fantasia, Nàstenka, assolutamente niente! Ma neppur questo ha importanza…»
«È lo stesso: esse potranno stare insieme; però domani voi dovete trasferirvi da noi…»
«Perché mai? Da voi… Bene, sono pronto.»
«Sì, affitterete da noi. Sopra c’è il mezzanino, è vuoto. C’era un’inquilina, una vecchia nobile, ma è andata via e la nonna, lo so, vuole che ci venga un giovanotto. Le dico: perché mai un giovanotto? Lei mi risponde: così… io sono ormai vecchia… Ma non pensare, Nàstenka, che io voglia cercarti un marito… Io però, ho capito che è proprio per questo…» «Ah, Nàstenka!»
E tutti e due scoppiammo in una risata.
«Ma basta, adesso, basta. Dove abitate, voi? Non me ne ricordo più.» «Laggiù, vicino al ponte S., nella casa di Barànnikov.» «È quella casa grande?» «Sì, quella casa grande.» «Ah, la conosco, è una bella casa. Però, sapete, dovete lasciarla e trasferirvi da noi al più presto…» «Domani stesso, Nàstenka, domani stesso. Ho là un debito, poca cosa, per l’affitto, ma non importa… Presto prenderò lo stipendio…» «E io, sapete, forse darò lezioni; imparerò e poi darò lezioni.» «Ecco, questa è un’idea bellissima… e io, presto, riceverò una gratifica, Nàstenka…»
«E così, domani, sarete mio inquilino…»
«Sì, e andremo al Barbiere di Siviglia, perché presto lo daranno di nuovo.»
«Sì, ci andremo,» disse Nàstenka, ridendo «oppure no, sarà meglio che non andiamo a sentire il Barbiere, ma qualche altra cosa…»
«Bene, qualche altra cosa, allora; certo, sarà meglio, non ci avevo pensato…»
Così parlando, camminavamo tutti e due come avvolti in una nebbia, come se non sapessimo noi stessi quello che ci stava accadendo. Ora ci fermavamo e discorrevamo a lungo allo stesso posto, ora riprendevamo a camminare e arrivavamo Dio sa dove, e di nuovo risate, e di nuovo lacrime… Ora, all’improvviso, Nàstenka vuol tornare a casa, io non oso trattenerla e voglio accompagnarla sino all’uscio; ci mettiamo in cammino, ma ecco che, dopo un quarto d’ora ci ritroviamo sul lungofiume vicino alla nostra panchina. A un tratto ella sospira e, di nuovo, una lacrimuccia sgorga dai suoi occhi; io mi spavento, mi sento venir freddo… Ma a questo punto lei mi stringe la mano e mi trascina di nuovo a camminare, a chiacchierare, a parlare…
«È ora che io vada a casa; credo che sia molto tardi» disse finalmente Nàstenka. «Basta, adesso, di fare i bambini!»
«Sì, Nàstenka, solo che adesso non potrei dormire e a casa non ci vado.» «Anch’io, credo, non potrò prendere sonno; voi, però, accompagnatemi…» «Senz’altro!» «Ma questa volta arriveremo proprio fino a casa…» «Senza fallo, senza fallo!»
«Parola d’onore? Giacché bisogna pure, un bel momento, tornare a casa!»
«Parola d’onore» risposi io, ridendo. «Be’, andiamo!» «Andiamo.» «Guardate il cielo, Nàstenka, guardatelo! Domani sarà una giornata stupenda: che cielo sereno, che luna! Guardate: ecco, quella nuvola gialla ora la coprirà, guardate, guardate… No, le è passata vicino. Guardate, dunque, guardate!»
Ma Nàstenka non guardava la nuvola, stava zitta, come impietrita; dopo un minuto, quasi timidamente, si strinse a me. La sua mano prese a tremare nella mia. Ella si appoggiò a me ancor più forte.
In quel momento passò accanto a noi un giovanotto. Di colpo si fermò, ci guardò fisso e poi fece di nuovo alcuni passi. Il mio cuore ebbe un tremito… «Nàstenka!» esclamai a mezza voce «Nàstenka, chi è?» «È lui!» mi rispose in un sussurro, avvicinandosi di più stringendosi più trepidante a me… Io mi reggevo a stento in piedi.
«Nàstenka! Nàstenka! Sei tu!» si udì una voce alle nostre spalle, e in quel momento il giovane mosse alcuni passi verso di noi.
Mio Dio, che grido! Come sussultò, ella! Come si strappò dal mio braccio e si precipitò incontro a lui! Io stavo fermo e guardavo, annichilito. Ma ella, non appena gli ebbe dato la mano e non appena lo ebbe abbracciato, si volse verso di me, mi volò vicina come il vento, come il lampo e, prima che io mi fossi riavuto, mi cinse il collo con tutt’e due le braccia e mi baciò forte, con ardore. Poi, senza dirmi neppure una parola, si lanciò di nuovo verso di lui, lo prese per il braccio e lo trascinò con sé.
A lungo li seguii con lo sguardo… Alla fine, scomparvero ai miei occhi.
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Le Notti Bianche - Fedor Dostoevskij
KlasikaLe notti bianche è un romanzo breve giovanile di Fëdor Dostoevskij, pubblicato per la prima volta nel 1848. L'opera prende il nome dal periodo dell'anno noto col nome di notti bianche, in cui nella Russia del nord, inclusa la zona di San Pietroburgo...