1. AINSEL (ME A'AN SEL) -death-

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Lei era diversa. Lo era sempre stata. Amava in modo diverso. Piangeva in modo diverso. E per questa diversità era stata condannata, come lupi affamati le si accanivano addosso, strappandole le membra, lasciando di lei solo un cuore palpitante. Era ormai diventata grande, ma nella sua ombra si intravedeva una bambina che forse era cresciuta troppo in fretta, che forse era nata nel mondo sbagliato, e che forse non aveva più nulla da dare a quel mondo famelico.

Era in una casa enorme, buia e spoglia. Abbandonata e decadente si ergeva alta e forte nonostante stesse andando in pezzi. Lei si trovava al centro di una stanza, con indosso una veste sporca di fango e slabbrata. L'unico oggetto presente in quella casa, che era la sua mente, era uno specchio. Una modesta lastra di vetro, crepata ma utilizzabile, con piccoli dettagli lungo la cornice in ferro arrugginito le si stagliava davanti. Lei, inginocchiata, raccoglieva tutte le sue forze mentre un sospiro caldo abbandonava le sue labbra ben disegnate. Guardò lo specchio che la faceva sentire così piccola e impotente. Così si fece coraggio e afferrò un paio di forbici dall'aria antica che si trovavano accanto a lei, e che forse prima non c'erano. Erano belle, finemente decorate. Erano adatte, pensò. E con mano tremante ma decisa tagliò quella ciocca, forse la più importante per lei. E poi, un riccio dopo l'altro, una vecchia parte di se stessa dopo l'altra, caddero a terra ormai prive di vita. Tagliava prima con cautela, poi diventando mano a mano sempre più feroce, smaniosa di giungere al termine della sua opera. Forse si stava trasformando anche in uno di quei lupi, e la sua preda era se stessa. La realtà la stava opprimendo, si era resa conto di aver vissuto una bugia, un'enorme bugia, per tutti quegli anni. Riprese a tagliare. Sempre più veloce, quasi meccanicamente. Tagliava e arrivò a ferirsi. La sua pelle così delicata di lacerò e ne uscì il nettare ferroso, rosso come un bocciolo di rosa. Colava, e quasi come una lacrima calda scivolava lungo la sua pelle candida e immacolata. Così pura e morbida, ora macchiata dei suoi peccati, era una visione così triste da osservare. L'ultima ciocca cadde poi a terra insieme a tutti i sogni, le paure, le speranze e i rimpianti di una bambina che un tempo pensava che sarebbe stata portata in salvo dal principe azzurro. Ma ci si salva da sole, e quello era l'unico modo per farlo. Si spolverò la veste, che quasi sicuramente era troppo piccola per lei o lei era troppo, troppo grande. Alzò lo sguardo determinato, il viso violentato dai segni rossi e caldi provocati dalle forbici e dalla sua follia. Gli occhi lucidi, cristallini ma spenti, le pupille dilatate. Le lunghe ciglia che ne facevano scudo sbatterono un paio di volte, quasi a voler scacciare via ogni timore. Lo specchio incominciò a rifletterle la sua nuova immagine e lei a scaricare tutte le sue memorie. Era immobile, è vero, ma la sua mente correva e i suoi occhi si muovevano frenetici inseguendo quelle immagini che poco a poco prendevano vita. Schizzavano da una parte all'altra rivivendo ognuno di quei momenti, Nello stesso preciso istante i ricordi riaffioravano, e per ognuno di essi un disegno a carboncino si affissava alle pareti spoglie di quella stanza, testimoniando che lei era davvero esistita e raccontando ogni suo singolo sentimento. Prima uno e poi centinaia di susseguirono, fino a ricoprire ogni centimetro di quel muro scrostato. E lei ricordava.

La sua vicina di casa, che era scappata via piangendo e lasciandola sola, in piedi come qualche mostro colpevole dei suoi reati. Si era sentita così sbagliata e aveva solo sette anni.

Ora era intorno ai nove. Non aveva più i genitori, l'avevano abbandonata, per strada come un cane. Un orfanotrofio la raccolse ma nessuno l'aveva mai voluta adottare. Cosa aveva di sbagliato? Tutto quel tempo chiusa in quel lurido posto per colpa dei suoi suddetti genitori. O per colpa sua?

Ne aveva undici. Era una fuggitiva, viveva sotto un ponte. Nessuno l'avrebbe cercata, a nessuno sarebbe mancata. Stava grattando via con le dita sporche la muffa attaccata al pezzo di pane che aveva trovato in un cestino non molto lontano da li.

Tredici maledetti anni. Ricordava ancora vividamente le mani di quell'uomo che percorrevano il suo corpo maligne. Un altro lupo, un'altra perdita.

Diciannove. La schiena le bruciava, i segni della cinghia le sarebbero forse rimasti per sempre. Marchiata a vita per aver rubato una caraffa d'acqua fresca dal davanzale di quel vecchio.

DARK TALES || morphenxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora