2.PHILIP -fear-

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Shh... Ascolta. Riesci a sentirlo? E' il cuore di Philip. E' terrorizzato. Sta scappando, è vero, ma da cosa esattamente? Solo lui lo sa. Ma noi possiamo guardarlo fuggire fino a che fino a che non si arrenderà. Corri Philip, corri.

In quel silenzio assordante si sentivano le sue scarpe nuove di zecca battere sull'asfalto ghiacciato, a ritmo serrato. Un piede dopo l'altro, facendo attenzione a non inciamparsi. L'aria condensata che usciva dalle sue labbra formava nuvolette di vapore che in altre circostanze sarebbero anche state bizzarre. I suoi capelli lasciati crescere ribelli sferzavano l'aria pungente e di tanto in tanto si posavano sul viso giovane del ragazzo.

Corri Philip, corri. Ma starai facendo la cosa giusta?

Il sole sarebbe sorto da lì a qualche ora e lui si chiedeva se ce l'avrebbe fatta in tempo. Voleva solo lasciarsi indietro tutto, ma non era la cosa giusta da fare, doveva combatterli, anche se non era ciò che stava facendo. Così correva e aspettava il momento adatto per poterli affrontare.

Svoltò a destra, poi a sinistra e imboccò una scorciatoia, non si fermò mai.

Aspettava di trovare il posto adatto per fermarsi e nascondersi, solo per pensare lucidamente perché in quel momento il suo cervello era paralizzato dall'agitazione. Corse ancora per una decina di minuti fino a quando raggiunse quella villa enorme. Lì forse non l'avrebbero trovato subito. E poi aveva diversi minuti di vantaggio.

La villa Sevestre era stata la sua casa per molto tempo, ci andava a giocare spesso quando era bambino. Loro sicuramente si sarebbero persi nell' enormità di quella casa. Ma perché lo stavano inseguendo? Lui non aveva fatto nulla di male, Philip non aveva colpe. Giusto?

Si affacciò alla grande vetrata che dava sul giardino della villa e le vide. Ombre fugaci, veloci, informi. Come avevano fatto a trovarlo così in fretta? Senza pensarci due volte camminò a passo svelto e leggero verso la grande libreria di legno che si trovava dall'altra parte della stanza. Poggiò l'indice contro uno tra quelle centinaia di libri, forse il più antico, ma che sicuramente non spiccava fra gli altri. Fece una leggera pressione sul dorso del libro e un lieve scatto gli fece capire che ci era riuscito, che forse era salvo. Si formò una nicchia nella parete, un bambino avrebbe potuto sorpassarla da in piedi ma Philip dovette inginocchiarsi e procedere a carponi. Era svelto, quello si, ma non più di loro. Nel giro di pochi secondi la parete ritornò come prima senza lasciare alcuna traccia , se non per la polvere sollevatasi dopo l'apertura della nicchia. Il ragazzo si rannicchiò in un angolo della stanzetta buia in cui era entrato. L'unico fascio di debole luce era schermato da vecchi stracci che coprivano la finestrella da cui passava. L'apertura dava giusto sul giardino nel retro. Sarebbe potuto fuggire passando da lì, e poi avrebbe attraversato il bosco di corsa. Ma non ce la faceva, era troppo stanco, stanco di correre, stanco di scappare, stanco di avere paura dell'ignoto e di non riuscire a pensare lucidamente. Portò le ginocchia al petto e le strinse al suo corpo, aveva freddo e voleva tornare a casa. Voleva andarsene, ma voleva anche capire perché lo stessero inseguendo. Erano persone quelle? O era solo la sua immaginazione? Lo volevano punire perché aveva rubato una manciata di mele dal campo di quel contadino? O perché invidiava tanto Sam, il suo vicino di casa? L'invidia era un peccato? Philip pensò di no e non riuscì a darsi una risposta logica. Poi, di colpo e inaspettatamente, udì un tonfo sordo. Era caduto un libro, ma Philip dal suo nascondiglio non poteva saperlo. Trattenne il respiro per interminabili secondi, acuendo l'udito per capire di cosa si trattasse. Magari solo un ratto, o lo scricchiolio del legno ormai marcio. Ma si sbagliava, e se ne rese conto un tonfo dopo l'altro, sentì scattare la serratura nascosta della nicchia dove si era rifugiato. Soffocò un gemito di orrore quando le ombre si fecero largo nella stanza, impalpabili ed evanescenti. Sembravano fatte di vapore nero, tremolanti e caute. Si espandevano per poi restringersi, le loro estremità erano come tentacoli che si allungavano a testare il terreno e che poi si ritraevano quasi come se fosse stato assurdamente caldo. Lo sguardo di Philip si posò sul loro volto e sbiancò di colpo, come se il suo cuore avesse smesso di battere all'improvviso. Era distorto e surreale, in continuo movimento scosso da vibrazioni anomale. Gli occhi non erano paralleli, ma posizionati a casaccio su quell'informe massa nera. Uno su e uno giù, uno più spostato a destra e uno leggermente inclinato. La loro bocca era la cosa più raccapricciante che avesse mai visto. Irregolare come il resto della massa corporea ma bianca, di una lucentezza abbagliante, l'unica cosa che dava un'espressione a quell'ammasso di nulla. Deforme, occupava quasi interamente quel volto piegandosi in un ghigno eterno.

Mosso da un istinto inspiegabile, Philip allungò un dito e lo avvicinò a uno dei tentacoli più piccoli. Lo accarezzò piano, non sapendo il perché e non volendo porsi quella domanda che sarebbe rimasta senza una risposta. Il tentacolo si ritrasse ma poi si vece nuovamente avanti, come attratto da una calamita, e avvolse il dito del giovane. Poi la mano. E di conseguenza l'intero braccio. Il suo respiro accellerò mentre le altre ombre si facevano avanti. Era iniziato. Rimase immobile e aspettò ciò che doveva accadere. Oh, di sicuro quelle ombre non erano umane, ma conoscevano bene Philip e la sua umanità. Il ragazzo non aveva più paura e intrepido allungò l'altro braccio incoraggiando quegli strani esseri. Così loro, recependo il messaggio, si allungarono e distesero le loro membra verso di lui. Lo avvolsero, fino a che una alla volta entrarono in lui, lasciandosi dietro nient'altro che un alone nero. Philip tremava mentre ancora qualche tentacolo gli fuoriusciva dal petto, ma sapeva che non era sbagliato. Dopo tutto era una sensazione piacevole. Si sentiva completo e forte, quasi rinato. E capì. Si rese conto che lo volevano perché gli appartenevano. Che l'avevano sempre trovato e a volte preceduto perché erano parte di lui, alloggiavano nella sua mente e volevano ritornarci. Senza rendersene conto doveva averli espulsi, rifiutati. Erano tutte le sue paure, i suoi sogni più oscuri, i suoi desideri più profondi, le sue colpe e i suoi rimpianti. Erano la sua parte sbagliata che aveva gettato via perché si sentiva impuro e voleva cambiare. Ma si rese conto che senza la sua parte 'sbagliata' non era più Philip, che nonostante gli costasse ammetterlo non avere paure non significava essere perfetti, che anche il tanto invidiato Sam avrà fatto degli sbagli, e che sognare non è mai peccato. Quindi, con un ultimo tremolio, accolse ognuna di quelle cose che aveva odiato e si ripromise che tutto ciò non sarebbe mai più riaccaduto. Perché qualcuno senza imperfezioni non esisterà mai e perché chiunque ha il dovere di abbracciare la propria oscurità per sentirsi se stesso, completo.

DARK TALES || morphenxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora