Prologue

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«Secondo la leggenda siamo legati alla nostra anima gemella da un indissolubile e invisibile filo rosso attorcigliato al mignolo della nostra mano sinistra.» sussurrò la ragazza stringendosi nel sacco a pelo e attorcigliando il filo d'erba verde brillante attorno al dito.

«Ẻ ridicolo.» sbottò il ragazzetto al suo fianco.

«Io non credo.» fece spallucce la castana «Ci deve essere qualcuno che sono destinata a ritrovare e ad amare per sempre, Ice.»



Gli ultimi tre scalini verso la statua già ben visibile non avrebbero fatto la differenza, tuttavia gli occhi verdi erano spalancati sul monumento a braccia aperte fin da quando aveva iniziato a salire lungo la rampa. Il fiato quasi sembrò mancargli quando si sentì abbastanza vicino. Erano cambiate tantissime cose dall'ultima volta in cui era stato di fronte a quel capolavoro. Questa volta i capelli ricci non erano corti e lasciati al vento, ma più lunghi di quanto necessario e legati in un codino che lui stesso riteneva ridicolo, ma comodo. Inoltre i fini di quel viaggio erano ben mirati e uno di questi si ergeva proprio su quella piattaforma non sufficientemente grande per tutte quelle persone. Poggiò le dita sul corrimano e si diede l'ultima spinta poggiando il piede sull'ultimo, apparentemente irraggiungibile, scalino. Proprio in quel momento sentì un liquido freddo scivolargli sulle tempie e la fronte. Lo raccolse con la mano e, quando lo portò sotto il naso, l'odore fu inconfondibile.

«Credo che tu mi debba un frappuccino!» sussurrò una voce poco lontano dal suo orecchio.



Gli ultimi venti passi fino alla cima della vecchia montagna furono i meno faticosi, sapeva cosa lo attendeva dall'alto.

Ignorò le ripetute lamentele degli amici che si trascinavano alle sue spalle e camminò più veloce per far sì che fosse per qualche istante solo una volta arrivato alla vetta. Proprio come si aspettava, la zona turistica era colma di persone, chi intento a sporgersi pericolosamente, chi seduto a terra con le ginocchia al petto che, a bocca aperta, ascoltava il racconto accurato della guida. Non si evitò un sorriso liberatorio quando, anche lui, riuscì ad osservare da un'angolazione niente male, la città perduta. Nulla era cambiato dall'ultima volta, il tempo non l'aveva scalfita affatto. Non distolse gli occhi trasparenti nemmeno per un istante, nemmeno quando fu costretto ad arretrare per concedere la vista paradisiaca a qualcun altro. Mise un piede indietro e subito dopo l'altro, il suo equilibrio lo tradì e rischiò di cadere. Fu salvato però da due piccole mani fredde, tese sulla sua schiena.



Arrotolò il depliant tra le dita. Odiava le immagini stampate sul volantino, non avevano nulla a che fare con ciò che si stagliava oltre le centinaia di persone. La fotografia non rendeva affatto giustizia all'anfiteatro alto e possente, quasi vivo a pochi metri da lui. La guida turistica bofonchiava le ripetute e ripetute informazioni sul monumento indietreggiando con una lentezza sfiancante verso il tanto atteso ingresso. Portò una mano tra i capelli biondi corti e li tirò indietro sbuffando impercettibilmente. Non sopportava quella prassi noiosa e infinita. Così quando finalmente fu dentro non poté evitare a se stesso di allontanarsi dal gruppo di persone per osservare dall'alto senza troppa attenzione le rovine. Era così che lui se n'era innamorato.

«L'arena ellittica laggiù..» parlò il ragazzo a capo del gruppo, ed un ghigno nostalgico e intrattenibile incorniciò il viso dell'irlandese a braccia conserte «..è il vero e proprio centro del Colosseo.» spiegò.

«E misura..» provò a concludere.

«Ottantasei metri per cinquantaquattro.» trillò una voce femminile alle spalle del ragazzo.



La struttura lo fece rabbrividire ancora più della prima volta in cui l'aveva vista. Gli si presentò più possente e perfettamente simmetrica che mai, quasi intimidatoria dato tutto il suo splendore. Avanzò passo dopo passo fino alla fine della lunga passeggiata. Le file di cipressi splendevano sempre irremovibili ai lati dell'immenso canale. Le memorie palpitavano ininterrotte sotto le sue ciglia mentre le sue gambe avanzavano senza sosta verso il portale in arenaria rossa e marmo bianco.

Si fermò a qualche metro da questo e vi puntò gli occhi celesti. Surreale. Sfilò il telefonino dalla tasca dei pantaloncini a quadri e lo posizionò di fronte alla struttura. Nessuno lo avrebbe fermato, era quasi incosciente di fronte alla meraviglia. Fece per immortalare l'immagine.

«Prima di scattare magari metti a fuoco.»

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