21 ~Un posto tutto nostro~ ✔

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La musica soffocò ogni parola.

Lo sfavillio della trave e la sagoma di Samuele debolmente illuminata, erano uno spettacolo impareggiabile. I nostri occhi, anche se distanti, si trovavano gli uni dentro gli altri, talmente mescolati dal non essere più né azzurri né marroni ma una sostanza omogenea.

Sconcertata feci i primi passi verso di lui che senza indugio mi imitò. Arrivati al centro della pedana del corpo libero ci fermammo, Samuele mi mise una mano sotto il mento spostandomi il viso verso la parete di destra su cui, in maniera imponente, troneggiava un orologio da parete: «Giusy, guarda che ore sono».

«Mezzanotte e due minuti», mormorai sperando che la canzone non avesse nascosto le mie parole.

«Buon compleanno».

Mi sorrise e io mi sciolsi.

«Te ne sei ricordato», esclamai sbalordita cercando di eclissare l'emozione di quel momento. Tutte le mie fantasie di bambina prima e di adolescente dopo, si stavano realizzando.

Decisi di non rivelargli che quest'anno non avrei voluto festeggiare il mio compleanno, non sarebbe stato come quelli scorsi; mia madre non amava le ricorrenze, mentre mio padre le adorava. Per dieci anni avevo aspettato il sedici luglio con trepidazione, papà mi faceva sempre trovare un regalo vicino al letto e, dopo aver aspettato che mi fossi svegliata e vestita, mi portava in un posto speciale: ristorante, piscina, parco giochi, cinema o qualunque altra idea gli venisse in mente e, cosa straordinaria, era riuscito sempre a non ripetersi. L'ultima volta mi aveva regalato il fermaglio a forma di farfalla e mi aveva portata al circo, gli acrobati mi avevano sempre affascinata, erano dei ginnasti con un pizzico di follia in più.

«La devi smettere di sentirti invisibile, non so più in che lingua dirtelo», precisò Samuele abbracciandomi dai fianchi, in modo che potessimo iniziare a ballare un lento.

La mia vita era un continuo di alti e bassi, equilibri effimeri che mi provocavano una successione di emozioni altalenanti ma, quando ero tra le sue braccia, raggiungevo la stabilità che stavo cercando. Occhi chiusi, canzone di sottofondo e cuori che battevano all'unisono, in un luogo che sembrava fatto apposta per noi.

Mi sentivo libera come non mi succedeva da una vita.

Ad un tratto Samuele si fermò facendomi cenno di aspettare lì, si diresse verso il cavallo con maniglie e, nascosto dietro di esso, tirò fuori un piccolo pacchetto. Tornò raggiante da me e me lo porse: «questo è per te».

«Non dovevi disturbarti», dissi sconcertata.

Con le mani che mi tremavano leggermente, iniziai a scartare l'involucro argento.

Rimasi folgorata nel vedere un body azzurro coperto di brillantini che rilucevano grazie al chiarore delle candele ma, ancor di più, rimasi allibita nello scorgere sulla parte posteriore un ricamo in retina nero a forma di farfalla.

Lo strinsi forte a me e mi uscì una lacrima: «è il regalo più bello che mi potessi fare».

«Lo speravo», mi strinse a sé, «non resta che vedere come ti sta», mi sussurrò all'orecchio inondandomi con il suo profumo al mirto.

Le sue mani ruvide si posarono sulle mie spalle, infilò le dita al di sotto del bordo del body e, con un tocco leggerissimo, iniziò a farlo scivolare in basso. Le mie guance si scaldarono all'istante, ero rigida, imbarazzata ed eccitata allo stesso tempo. Lui muoveva con sicurezza i polpastrelli sulla mia pelle, accarezzando ogni centimetro che rimaneva scoperto. Osservavo il suo viso, era calmo ma rapito allo stesso tempo, mi guardava come si fa con qualcosa che si stava bramando da tanto tempo. Il body scivolò fino a scoprire quasi interamente l'addome, il reggiseno sportivo mi teneva su il seno facendolo sembrare più grande di quanto in realtà non fosse.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora