27 ~Qualificazione di squadra~ ✔

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Stessa calligrafia, stessa carta rosa, stesso senso del messaggio.

Rilessi più volte quella piccola frase "devi lasciarlo stare", continuando a cercare una spiegazione plausibile e un autore altrettanto verosimile eppure, nonostante avessi qualche sospetto su Sveva, non la credevo capace di arrivare a tanto.

«Non fare quella faccia! Magari hanno sbagliato stanza», mi disse Lia tra uno sbadiglio e l'altro.

Le sorrisi poi accartocciai il biglietto, avrei continuato a fare finta di nulla come sempre, non mi avrebbero certo spaventato delle minacce da parte di qualcuno che non aveva il coraggio di farsi avanti.

Quella sera andai a dormire sorridendo, era da un po' che non succedeva; mi tornava alla mente il viso di Samuele, la sua dolcezza e delicatezza nei movimenti ma, soprattutto, il suo rispetto verso di me e verso la mia inesperienza. Ero spaventata dal sesso, avevo sentito le mie amiche parlare della loro prima volta come di un qualcosa di terribile e doloroso, lui invece, era riuscito a rassicurarmi e a condurmi, non si era seccato delle mie incertezze né, tantomeno, mi era sembrato rimasto deluso.

Mi addormentai pensando a Samuele, alle gare imminenti, alla voglia di portare a casa una medaglia e al desiderio di battere Sveva, almeno in uno dei quattro attrezzi.

La mattina delle qualificazioni di squadra mi svegliai con un grosso peso sullo stomaco. Non riuscivo a stare calma, neanche mentre Lia mi stava sistemando i capelli in una treccia a corona, non faceva che ripetere: «stai ferma Giusy, altrimenti devo iniziare tutto da capo». Non avevo mai provato una sensazione del genere, era l'ansia da gara moltiplicata per cinque, le Olimpiadi sono il sogno di tutti gli atleti e, il fatto che si ripetano una volta ogni quattro anni le rendono, ancor di più, un'occasione unica e rara dove è vietato fallire; questo perché, le ginnaste, hanno una carriera breve caratterizzata da un'esplosione tra i sedici e i venticinque anni, siamo come un fuoco che divampa e che poi si spegne in fretta.

Rio doveva essere il mio fuoco.

Dopo essermi fatta pettinare da Lia, aver indossato il body nero striato d'argento ed essermi avvolta nella tuta della nazionale, scesi nella sala da pranzo dell'albergo per fare una piccola colazione, probabilmente il mio stomaco avrebbe rifiutato qualunque pietanza solida ma, un caffè, mi era indispensabile per attivare il cervello.

Lia mi diceva qualunque cosa le venisse in mente, io l'ascoltavo ma non riuscivo a concentrarmi su di lei, apprezzavo il fatto che stesse cercando di distrarmi.

Una volta varcata la porta a vetri della sala, feci un breve giro al tavolo del buffet, era una colazione internazionale e c'era di tutto, dai biscotti al cioccolato al bacon croccante e dai cornetti ripieni di marmellata alle uova al tegamino. Alla fine mi fermai rapidamente alla macchinetta del caffè e schiacciai il tasto che indicava "espresso", uscì un liquido marroncino che riempì quasi completamente la tazza; forse avevano sbagliato etichetta, avrebbero dovuto mettere: "caffè espresso annacquato".

Dopo aver preso la tazza e buttato su un piattino tre biscotti integrali e una vaschetta di marmellata con l'idea che, a forza, li avrei mangiati, mi diressi verso i tavolini seguita da Lia e dal suo piatto stracolmo di cibo: fette biscottate, burro, brioche e latte.

Scelsi un tavolino per quattro ai limiti della sala, mi piaceva passare questo momento in un posto riparato dalla confusione e dal via vai eccitato di persone che, davanti al buffet, mostravano il lato migliore di se stesse, correvano come trottole impazzite da una parte all'altra del banchetto, come se non vedessero cibo da giorni. Lasciai libera la sedia accanto a me con la speranza di vedere, da un momento all'altro, i ricci biondi di Samuele sbucare dalla porta.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora