Il lenzuolo era ruvido sotto le sue dita. Emetteva una strana pulsazione azzurrina, il colore di un ruscello montano; alcuni filamenti di particelle si attorcigliarono attorno al suo indice, facendogli il solletico e strappando un sorrisetto al suo volto stanco. Sotto le coperte si sentiva protetto dai colori tenui del mondo immobile, lontano dalle parole tuonanti e dai lampi di luce. Se chiudeva gli occhi, era perfettamente cosciente di essere dentro il suo corpo, non un'essenza che vagava senza patria e senza scopo, in inutile attesa di scomparire. Udiva i carri che sferragliavano nella strada proprio fuori dalla finestra, ma sapeva che erano lontani dalla sua portata, e che non avrebbero mai potuto raggiungerlo se lui non avesse voluto. Erano solo un oggetto materiale, distruttibile; un suo ordine, e sarebbero scomparsi nel nulla.
All'inizio pensava che anche lui avrebbe potuto scomparire. Se si fosse gettato giù dal dirupo che svettava nella spiaggia a ovest, il suo corpo mortale si sarebbe sfracellato sulle rocce sottostanti. Se avesse dato fuoco alla sua stanza, la pelle che lo rivestiva sarebbe bruciata insieme al letto, al cassonetto, alla libreria. E se si fosse tagliato la gola, avrebbe lasciato sgorgare una tale quantità di sangue che presto non ce ne sarebbe stato abbastanza da permettere al cuore di pompare per mantenerlo in vita.
Ma anche se il corpo avesse smesso di funzionare e il cervello si fosse spento, la sua anima avrebbe continuato a vagare e a sentire, per sempre. Era quello che lo terrorizzava più di ogni cosa; più delle richieste di matrimonio e più del peso dei suoi doveri sulle spalle troppo fragili, l'idea di venire condannato a udire le voci e a vedere le connessioni, in eterno, lo faceva completamente impazzire. Se ci pensava troppo a lungo, le sue membra cominciavano ad esser percorse da scossoni tanto violenti che il suo corpo e la sua mente cedevano, e la sua guancia si accostava al freddo pavimento della sala. Nei libri di medicina, quel tipo di malattia veniva definita "epilessia". Eppure Asa sapeva che in una delle pagine vuote andava aggiunto qualcosa d'altro, qualcosa che i Saggi ancora non conoscevano.
Premette le palpebre con più forza, serrando i pugni e conficcandosi le unghie nella pelle morbida e liscia. Dopo un po' cominciò ad avvertire fitte di dolore ai palmi delle mani, ma non gli importava; il lenzuolo era steso sopra la sua testa, lo proteggeva dalla luce del tardo mattino. Sei al sicuro, si ripeté nella sua mente, e la sua voce, per una volta, risuonò più forte delle altre.
Quando alla fine un servitore entrò in camera sua, schiarendosi la voce e sostenendo che il Re richiedeva la sua presenza nella sala da pranzo, Asa era pronto, per quanto lo si potesse essere nella sua situazione. Prese un respiro profondo, svuotando i suoi polmoni di aria consumata, e lasciò scivolare il lenzuolo pulsante giù dal suo corpo fragile e bianco. Il servitore non aveva ancora lasciato la stanza, ma la sua figura si trovava per tre quarti coperta da una colonna; del restante quarto Asa poté cogliere, pur non volendo, un lampo di luce bluastra, un colore quasi macchiato, distante. Cercò di scostare più in fretta che poté lo sguardo, allungando il braccio per cercare l'abito da indossare, che era stato precedentemente preparato sulla sedia accostata al suo letto.
Quando si abbottonò con dita tremanti la camicia, il servitore aveva già preso congedo da diversi minuti, esibendosi in un goffo e malfatto inchino. Non che ad Asa importasse particolarmente, anzi – nel momento in cui l'uomo si mosse in modo da attirare la sua attenzione, il ragazzo puntò lo sguardo sui propri piedi, rivolgendogli un veloce cenno di assenso senza guardare nella sua direzione. Forse il servitore avrebbe desiderato aggiungere qualcosa d'altro, ma preferì semplicemente lasciare le camere, dopo aver spento con un soffio il mozzicone di candela superstite di poche ore prima.
Le labbra del ragazzo emisero un lieve sospiro, ed Asa si permise di alzare lo sguardo e incontrare il proprio volto nello specchio davanti a sé. I suoi occhi sembravano pozze liquide, segnate dalle occhiaie rossastre di un'altra notte quasi insonne. Tentò di spazzolarsi i capelli, quella massa scura che la Regina sua madre avrebbe tanto voluto tagliargli via con due colpi di forbici, nonostante lui si fosse sempre, pacatamente, opposto. Aveva la pelle bianca cadaverica, il naso troppo piccolo per respirare correttamente, e la sua voce era ancora quella acuta e infantile di un bambino.
STAI LEGGENDO
In your eyes, there explodes fire.
FantasyHira è un'iniziata delle grandi tribù Lu'Nori, gli uomini-uccello, con villaggi che si gettano sullo strapiombo e neve che punteggia ogni tratto di sentiero. Tuttavia una guerra, una minaccia anonima, spinge lei e i suoi compagni a scendere verso il...