18. Come on, stupid idiot

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Non sono mai stato in camera di Silena. Non è diversa da tutte le altre dell'ospedale: pareti bianche, lenzuola bianche, cuscino bianco, vari macchinari inutilizzati intorno al letto, luce fredda. Però. Però, Silena è qui dentro da un bel po', e alcuni sprazzi della sua vita si sono fatti strada nella stanza: alcune fotografie attaccate alla testiera del letto, un paio di libri scolastici sul comodino, il disegno di un drago -abbastanza inquietante, a dirla tutta; credo sia una creatura mitologica- un poster di Dirty Dancing, abbastanza consumato, sul muro di fianco alla solita poltrona per i visitatori e un portatile scassato appoggiato sulla sudetta. E poi, c'è lei. Talmente silenziosa e anonima da confondersi con il mobilio, seduta sul letto a gambe incrociate, infagottata in una tuta troppo grande, dall'aria troppo calda per la temperatura della stanza -ma, hey, quando non mangi succede anche questo- e un tubicino nel braccio destro, dove la manica della felpa è arrotolata fino al gomito, lasciando scoperti i polsi sottili, percorsi da una serie di vene bluastre. Mi sorride, gentile come al solito. Ha le labbra pallide e i denti sono grigiastri -altre belle cose inerenti al fattore non mangiare- "come stai, Silena?" Le chiedo, più per gentilezza che per saperlo davvero. Insomma, è piuttosto evidente che è lontana dallo stare bene. Lei mi sorride ancora, prima di abbassare lo sguardo verso il braccio e sospirare. "Non amo gli aghi." Sbuffa. Solo ora mi rendo conto che fa molta attenzione a non piegare i braccio, e che continua a lanciare occhiate nervose verso il punto in cui il tubicino di plastica entra nella sua pelle, proprio come i bambini. Questo pensiero mi fa sorridere leggermente, mentre mi avvicino maggiormente al letto e mi ci siedo sopra. "Come mai sei venuto a trovarmi, Perce?" Chiede poi, strizzando appena gli occhi. "Volevo.. vedere come stai." A questa frase lei sbuffa leggermente e alza lo sguardo verso il soffitto, per poi riportarlo su di me, divertita. Il vero cazzo di motivo, Perce. Mi comunica il suo sguardo; e io mi sento una persona ignobile, perchè ha ragione: non sono entrato qua per lei. Ci sono entrato per me stesso, perchè volevo delle risposte, perchè mi sento sempre così miserabile e vorrei che gli altri mi trattassero in modo diverso, ma alla fine mi comporto sempre come loro.
Mi dispiace, davvero.
Ma questo non lo dico. Invece prendo un respiro profondo e le pongo la prima domanda, quella fondamentale. Quella che, in realtà, sa anche lei. Lo capisco, anche se già lo sapevo, perchè quando la mia voce si sparge nell'atmosfera triste della stanza lei non ha esitazioni a rispondere, nel suo tono acuto e sommesso, e non un'emozione passa sul suo viso, una volta bellissimo, ancora giovane ma già segnato, dal troppo dolore, dalla troppa malinconia, dalla malattia e dalla vita. Quella domanda sulla persona a cui entrambi vogliamo troppo bene, in modi diversi. Una domanda stupida, nemmeno scontata, tra tutte le domande che avrei potuto farle, ma lei sapeva. Forse per il mio atteggiamento, forse perchè la sua sensibilità è maggiore di quella di tanti altri, forse perchè sa molto più di me.
E forse anche perchè sono un adolescente, e sono prevedibile, come tutti.

Quando esco dalla stanza di Silena mi riprometto di andare ancora a trovarla, per chiederle come sta.
Per davvero.

Nico ha le guance più colorite del solito quando entro nella stanza. Per la prima volta da quando lo conosco sta mangiando, e mi guarda negli occhi appena entro nella stanza. "Hey, Percy." Mi saluta, stranamente rilassato, sorridendomi un pochino mentre vado a sedermi sulla poltrona vicino al suo letto, rispondendo con un sorriso affrettato al suo saluto. "Come stai?" Chiedo, questa volta davvero interessato a saperlo. Inclina leggermente la testa, continuando ad osservarmi, mentre finisce la brioche -una di quelle che si trovano nelle macchinette dell'ospedale, con il ripieno duro e che ogni volta ti ritrovi schiacciate nella busta, che puntualmente reca l'immagine di un cibo che non è quello che stai mangiando- "La maggior parte delle persone lo chiede senza nemmeno pensarci, lo sai? Si usa tanto per fare conversazione, per riempire silenzi socialmente inaccettabili, ma non si intende mai davvero. È diventato un intercalare, nei discorsi, è vuoto e inutile, come un articolo, o una congiunzione. Indispensabili per la grammatica, ma non vogliono dire nulla.
Ho sempre odiato la grammatica. Soprattuto quelle cose tipo analisi grammaticale o logica, tutte quelle stronzate che mi obbligavano a studiare a scuola. Ti insegnano a smembrare una frase e ne ne consumano l'anima. Le parole più belle sono ridotte a mucchi di nomi, avverbi, soggetti. E non vogliono che tu risponda per davvero. La risposta positiva è l'unica accettata, perchè nessuno vuole farsi carico dei tuoi problemi, a nessuno interessa per davvero come stai."
Sbatto le palpebre un paio di volte, un po' perchè non l'ho mai sentito parlare così tanto e... okay, sì, solo per questo. So benissimo che in quella testolina ci sono una quantità spropositata di opinioni, ma non pensavo che riuscisse a condividerne qualcuna con me.
Sorrido lentamente, e parlando il sorriso mi rimane in faccia. Dio, era così tanto tempo che non mi succedeva. "In realtà, io volevo davvero sapere come stai. Per davvero. Dico davvero." Nico mi guarda per qualche secondo prima di scoppiare a ridere, seguito immediatamente da me perchè, cazzo, tutto questo non ha senso, volevo solo fare una conversazione normale e invece ho fatto la figura del cretino. Prendo un respiro profondo dopo aver riso; non sono più abituato, non ricordavo fosse una sensazione così bella. Forse è bello ridere se la risata è causata da qualcosa che davvero ti interessa o ti diverte. Le mie ultime risate erano così faticose, così finte, che ad un certo punto semplicemente ho smesso. Non aveva più senso.
Forse dovrei dirlo, a Nico, che con lui ridere è di nuovo piacevole; ma come sempre, non mi ascolto e sto zitto, con il fantasma della risata ancora sulle labbra e il fiatone.
Dio, è così bello.
Prendo l'ultimo respiro profondo, mentre il cuore riprende a battermi forte, sempre più forte. "Comunque" comincio, sperando di non avere la voce tremante come la sento. "Volevo..." avanti, stupido idiota. "Vorresti..." è solo una domanda.
Mi schiarisco la voce, prendendo tempo perchè sono un codardo e perchè ho il battito talmente accelerato che mi sembra che il cuore possa uscirmi dal petto e scappare via. Dio, Percy, tira fuori le palle. "Vuoiuscireconme?" Ecco. L'ho detto. Buttato fuori tutto d'un fiato, in un modo per niente comprensibile e molto poco maschio, ma, hey, non si può pretendere troppo dalla vita.
Nico stringe gli occhi, inclina la testa verso destra, poi, quando finalmente riesce a decifrare la mia frase, quei pozzi neri si spalancano, e la pelle del naso e delle guance si arrossa. Abbassa lo sguardo, cerca di nascondere un sorrisetto, torna a guardarmi.
"No."

Scusate per la lunga attesa e per il capitolo ew.
Spero di riuscire ad aggiornare con più frequenza ora che l'ispirazione mi è tornata, e grazie per aver aspettato tutto questo tempo, per i voti e per i commenti che ogni volta mi rallegrano. Siete davvero molto importanti, sapere che ci sono persone che davvero leggono e apprezzano il mio lavoro mi motiva a continuare a scrivere, quindi grazie, davvero.
-ari

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