Un breve arcobaleno

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Ero spaesato mentre mi ammanettavano. Ci avevano circondati in un attimo e l'elicottero era atterrato a breve distanza da noi. Non c'era modo di sfuggire a quella situazione.
Eduardo fu identificato, perquisito, disarmato, ammanettato e gli fu tolta la maschera, il suo sguardo era rassegnato e sapeva che era giunta la sua ora. Lo guardai come per dirgli che mi dispiaceva ma lui mi lanciò un occhiata fulminante che mi fece desistere dal consolarlo.
I soldati ci caricarono sull'elicottero che, di li a poco, decollo verso una meta, a me, sconosciuta.
L'elicottero era spazioso, eravamo una dozzina a bordo, io ed Eduardo eravamo seduti uno di fianco all'altro, ammanettati ed assicurati alle sedie, alla mia destra, di fronte a me ed a sinistra di Eduardo vi erano soldati armati a tenerci d'occhio.
-Dove ci portate?
Domandai.
-Fai silenzio.
Mi rispose il soldato seduto difronte a me. Erano vestiti tutti allo stesso modo, impermeabili neri su divise nere da combattimento; sul petto, come i soldati alla baita, avevano scritto, con lettere bianche, la sigla"A.G.S.A.".
-Chi siete?
Provai di nuovo a domandare qualcosa.
-Ti ho detto di tacere.
Non erano molto socievoli e decisi di lasciar perdere la conversazione. Eduardo, invece, parlò.
-State prendendo un granchio, non avete nessun'autorità per sequestrarmi.
-Che cosa non vi è chiaro della parola "tacete"!?
-Senti soldatino, lo sai chi è questo qui affianco a me?
Mi chiesi perché cavolo il vecchio mi stesse tirando in ballo.
-Vi consiglio di controllare le sue impronte digitali, potreste sorprendervi.
Il soldato difronte a me puntò la pistola contro Eduardo pensando che stesse escogitando una spece di piano. Poi disse all'uomo alla mia destra di prelevarmi le impronte.
-Ora capirete chi avete arrestato.
Eduardo scoppiò in una fragorosa risata spezzata dal soldato che lo intimò una volta per tutte di fare silenzio.
-Capo...
-Chi è?
-L'apperecchio dice che queste impronte corrispondono... corrispondevano...
-Chi è? soldato muoviti!
-Le impronte sono quelle di Gengis Knoy.
Eduardo diceva la verità? Ero davvero stato Gengis.
-Quel, Gengis Knoy?
Chiese il soldato. Eduardo gli rispose divertito.
-Proprio lui, figlio del presidente supremo del "A.G.S.A.", complimenti, avete quasi ucciso il figlio del vostro capo!! Ah! ah! ah!
Dopo la risata di Eduardo, il soldato abbassò la pistola e contattò via radio altri soldati, chiese come agire. Gli risposero di portarmi alla base... vivo.
Pensai, per il momento, di averla scampata ed abbassai la guardia, infatti un soldato mi ignetto di colpo qualcosa nel collo che mi fece assopire iprovvisamente. Mentre chiudevo le palpebre mi voltai verso Eduardo che stava subendo la mia stessa sorte, i nostri occhi si incontrarono e intravidi nei suoi una lacrima di profondo rimpianto.

Mi svegliai di colpo. La luce mi accecò, mi sembrò di essere nuovamente nel ghiaccio di Ziz, ma appena mi abituai a quella luce mi accorsi che mi trovavo sdraiato su di un lettino, in una stanza bianca, sterile, una luce artificiale diffusa in tutta la stanza veniva interrota solo dalle ombre proiettate dalla mia barella medica, situata in mezzo alla stanza, e da quella di un piccolo tavolino di ferro, affianco al mio giaciglio, con sopra degli attrezzi da ospedale, quegli oggetti mi parvero intonsi come se fossero stati messi lì in vista di un operazione non ancora avvenuta.
Non vedevo porte ne finestre. Come si faceva ad uscire?
Per controllare i muri da più vicino, provai ad alzarmi dal lettino facendo forza sui miei gomiti per mettermi seduto e poi scendere dalla branda. Nonostante la testa mi girasse un po' riuscii a sedermi, guardai il pavimento della stanza e mi sembro lontanissimo, la testa mi fremette e sentii le vertigini, mi feci forza e sporsi le gambe per toccare il suolo... toccai terra per fortuna.
Barcollai, non riuscivo a stare in equilibrio, ero appesantito e leggiadro allo stesso tempo, mi rendevo conto che non riscivo più a camminare bene, mi sentii un neonato. Incianpai e caddi, per fortuna il ravolino di ferro mi servì d'appoggio, salvandomi dallo schiantarmi a terra ed usando il tavolo come bastone per reggermi in piedi, mi avvicinai alle pareti della stanza. Le bianche mura che mi imprigionavano sembravano prive di spiragli, per sicurezza decisi di passare la mano sulle varie superfici, per essere sicuro che non ci fossero porte celate alla mia vista, infatti su una delle pareti trovai un piccolo spiraglio che partiva da terra e arrivava un po' più in alto di me. Era la porta d'uscita. Cosa c'era fuori? Perché ero li dentro?
Spinsi sulla superfice del muro adiecente la feritoia e la parete si spalancò rivelando un lungo corridoio bianco, che finiva con un portone.

L'alba Del GuerrieroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora