Tutto taceva. Quel vecchio era rimasto assorto nei suoi pensieri da più di un minuto con gli occhi fissi sulla mia mano e con un sorriso impresso sui volti.
Sul palmo della mia mano destra vi era tatuato un rovo raggomitolato con impressa sopra una "A". Sul dorso della sua mano destra vi era lo stesso rovo ma con incisa sopra una "O".
Chi era lui? Che centrava con me? Che c'elavesse con Ziz? Chi mi aveva fatto quei segni? Che il me della vita precedente avesse fatto un torto a quest'uomo?
Ancora scosso Eduardo parlò.
-Finalmente avrò la mia vendetta...
-Di cosa parli Eduardo? Cosa sono questi segni?
Eduardo uscì dal suo stato di trance, mi scrutò un secondo, e mi puntò contro la sua spada impugnandola saldamente con la mano destra.
-Caro Gengis il tuo perverso gioco è finito, se vuoi uccidermi fallo pure... Se ci riesci.
Fece un rapido movimento di dita con la mano sinistra e la porta alle mie spalle si aprì, subito entrarono quattro uomini armati di tutto punto, pistola nella mano sinistra e spada in quella destra.
-Non li sottovalutare... li ho addestrati io.
Ero ancora seduto in terra e mi sentivo rintronato, la testa mi rimbombava e vedevo tutto sfocato.
-Lascia che ti protegga.
Una voce mi parlò, mi guardai attorno ma non c'era nessuno.
-Lascia che ti protegga Losser.
Era una voce pericolosa, non potevo ascoltarla.
-Posso gestirmela da solo.
Pensai.
-Sicuro?
In quel momento gli uomini del vecchio mi agguantarono immobilizzandomi, Eduardo si rimise la maschera, si alzò in piedi e si posizionò alla mia destra, impugnò la spada con entrambe le mani e la sollevò alta sulla mia testa.
-È la tua ultima possibilità Losser, lascia che ti protegga.
-Aspetta!
Questa volta lo gridai ed Eduardo, pensando che parlassi con lui, mi disse avvicinandosi al mio orecchio destro.
-Ho aspettato... ho aspettato ventisei anni.
Alzò la sua spada più in alto e si preparò ad abbassarla sul mio collo.
Stavo per morire tre ore dopo essere nato, nel buio della stanza le ombre mi parvero prendere vita e vidi il volto di Ziz abbozzare un espressione di ripudio nei miei confronti, quell'espressione mi avrebbe certamente perseguitato anche dopo la morte.
Di colpo la porta della camera si spalancò e ne entrò un altro uomo.
-Capo!! Ci hanno trova...
Non fece in tempo a finire la frase perché un fumo blu di energia lo colpì alle spalle, i guerrieri che mi tenevano fermo si voltarono rapidamente lasciandomi ed Eduardo indietreggiò intimidito, un'altra raffica di quei colpi energetici colpì a morte i soldati del vecchio, efficenti come formiche cinque soldati armati con dei fucili a raggi si introdussero nella stanza, ognuno di essi indossava una divisa nera con un incisione a lettere bianche sul petto:"A.G.S.A.".
Stavo ancora nella posizione in cui mi avevano messo gli uomini, ormai trapassati del vecchio Eduardo, davo le spalle al pericolo, fu in quel frangente che lo sentii di nuovo.
-Questa volta devo agire, scusa.
Il mio corpo si mosse da solo. Alle mie spalle c'era un soldato che mi puntava contro il fucile, mi girai di scatto, mi alzai in piedi e tirai un calcio tanto forte sullo stinco del soldato che questo, dal dolore, lasciò andare la presa del fucile e, mentre gli altri soldati puntavano i loro fucili verso di me, presi saldamente con le mani il fucile del primo soldato e gli sparai alla testa, poi mi girai e sparai un colpo ad ognuno dei miei nemici, in quel momento mi parve che il mio corpo si muovesse talmente rapidamente da vedere il resto del mondo al rallentatore.
Quando il mio corpo ebbe finito la carneficina, indirizzò il fucile verso Eduardo.
Non volevo. Non volevo uccidere nessuno. Perché lo avevo fatto?
Era stata la voce. Colpa o merito suo?
Mi sforzai di riprendere il controllo e abbassai il braccio che teneva il fucile.
-Sparami! Tanto ormai la mia vita è finita.
-Senti vecchio non ti ci mettere anche tu a confondermi le idee per favore.
Mi accostai alla porta col fucile ancora in pugno e controllai che non ci fosse nessuno nel corridoio, spostai i vari cadaveri ai lati della stanza di modo che non ingombrassero e, restando guardingo, mi rivolsi di nuovo ad Eduardo.
-Chi erano?
-Dovresti saperlo Gengis.
Mi fissò con aria accusatrice.
-Quante volte devo dirtelo che non sono Gengis. Non so nemmeno chi sia.
-Bel teatrino, ma con me non attacca. Avanti, perché questa messinscena maledetto? Tu e tuo padre volete farmi fuori?
-Mio padre?
-Mi credevi tanto rimbambito da non riconoscere le incisioni sulle loro casacche!?
Quel vecchio pazzo vaneggiava, era assurdo che Ziz avesse omesso di dirmi che avevo una famiglia di cui non ricordavo nulla. Non potevo fidarmi.
-Andiamo?
Chiesi dopo un attimo di silenzio.
-Sei pazzo!? Vuoi portarmi tra le braccia di quelli?
-Hai un piano migliore!?
Impugnò nuovamente la spada che gli era caduta e me la puntò contro.
-Preferisco morire ora affrontandoti piuttosto che essere processato da quei mostri.
-Processato? Per cosa?
Abbassò la punta della lama e aggrotto il sopracciglio sinistro per lo stupore, poi scoppiò in una fragorosa risata.
-Ah, ah, ah, ah... l'accusa è quella di omicidio.
-Di chi?
-Tuo.
Smise improvvisamente di sogghignare e tornò serio.
-Ora che mi ci fai pensare... tu sei vivo, quindi io non sono un omicida, se tu sei vivo quelli non hanno nessuna scusa per uccidermi.
Il suo occhio buono si illuminò di gioia e per poco non gli scappò una lacrima.
Si ricompose e mi disse.
-Gengis. non so quali siano le tue intenzioni, ma non riuacirai ad eliminarmi legalmente.
Quel vecchio squilibrato cominciava a darmi sui nervi; continuava a parlare di cose insensate, diceva chi ero, chi non ero, diceva che ora era salvo ma non si rendeva conto che quegli uomini non avrebbero accettato spiegazioni da nessuno. avrebbero sparato a vista su Eduardo e su di me.
-Dobbiamo andare!
-Va bene. Però non mi fido di te e nemmeno la mia spada si fida.
Imboccammo il corridoio che ora aveva le pareti sporche del sangue di diversi clienti della baita, la traversata fu nauseabonda. Per poco non mi mancarono le forze quando, all'entrata, trovammo vari cadaveri ammassati l'uno sull'altro, con ancora l'espressione del terrore impressa sui loro volti.
Spostammo i cadaveri dalla porta ed entrammo nella sala da pranza, ma dovemmo accovacciarci e passare a carponi per assicurarci che nessuno ci vedesse attraverso le finestre del locale.
Giungemmo all'entrata del locale ed aprimmo la porta da cui, circa un ora prima, ero entrato.
La fuori era ancora tutto così appanato dalla nebbia che pensai: se avessimo avuto un soldato a soli dieci metri da noi, non lo avremmo visto. Eduardo stava a pochi passi di distanza da me, il suo fiato premeva sul mio collo, lui sapeva la strada quindi con un circospetto e rapido movimento di gambe mi sorpassò e mi fece segno di seguirlo.
Una decina di metri più in la ci trovammo al ponte che avevo oltrepassato per arrivare, proseguimmo per il fianco della montagna seguendo il fiume verso valle.
Era tutto tranquillo... troppo tranquillo. Il vecchio era chiaramente agitato, quella situazione metteva a dura prova i suoi, ormai logori, nervi. D'improvviso Eduardo si fermò e si slanciò a lato del sentiero accovacciandosi, feci lo stesso, anche se non ne capivo il motivo, poco dopo vidi tra la nebbia la sagoma di un uomo armato che si avvicinava passando per il sentiero, non ci vide e ci sorpassò; non'appena fu passato Eduardo si mosse rapido e silenzioso restando accovacciato, lo raggiunse senza farsi notare, mise le braccia attorno al collo del soldato, estrasse un coltellino da una tasca del pantalone ed affondò la lama dritta nel suo collo. Il soldato cadde in ginocchio con dei versi strozzati per colpa del sangue che gli riempiva le vie respiratorie. Eduardo si diede una sistemata, puli il suo coltello con un fazzoletto e sposto il cadavere a lato del sentiero.
Eravamo di nuovo in marcia verso un obbiettivo di cui non ero stato reso partecipe.
-Dove stiamo andando?
-Scendiamo a valle, ho dei contatti che ci porteranno lontano da qui.
-Quanto ci vorrà?
-poche tempo. Un po' più a valle di qui, seguendo il fiume, c'è una vecchia funivia, se la prenfiamo siamo a cavallo.
Mi aveva convinto, anche se non sapevo cosa fosse una funivia.
Dopo dieci minuti dall'incontro col soldato, io ed Eduardo, riprendemmo la postura eretta, tipica dell'essere umano, e potemmo procedere più spediti. Passò una buona mezzora di tensione, durante la quale nessuno dei due aprì bocca, se non per prendere respiri profondi.
Ad un certo punto Eduardo ruppe il nostro silenzio rivolgendomi la parola.
-Gengis, anche se non posso fidarmi di te, volevo solo ringraziarti per avermi fatto rivivere i giorni in cui lavoravamo assieme, in queste poche ore da quando ti sei manifestato, mi sono sentito più vivo che mai, mi sono sentito come prima che mi facessi queste cicatrici.
-Eduardo, io non ho idea di cosa ti abbia fatto Gengis per meritarsi tutto il tuo odio, ma ti assicuro che se mai lo incontrerò, lo ucciderò da parte tua.
-È così triste avere un dubbio tanto atroce. Sei Gengis o sei Losser? Come posso saperlo, siete uguali.
-Risolveremo il problema quando saremo giunti al sicuro, una volta a valle mi dovrai spiegare chi è Gengis.
-Tranquillo non dovrai aspettare molto, la funivia è qui.
Davanti a noi si apriva uno spiazzo dove non c'erano alberi, la nebbia come al solito copriva ogni cosa ma vedevo in trasparenza la sagoma di una casetta. La funivia?
Ci avvicinammo circospetti e ci ritrovammo nel mezzo dello spiazzo, dietro di noi il bosco, alla nostra destra un aspra salita verso la cima delle montagne e alla sinistra il fiume il cui suono si era fatto sempre più forte e fragoroso durante il tragitto, poco più avanti vi era certamente una cascata. Difronte avevamo la funivia e poi il vuoto, un baratro.
Come avremmo fatto a passare?
-Vieni qui, aiutami ad aprire la porta, il freddo l'ha bloccata.
Io ero assorto nei miei pensieri e mi parve di sentire come un ronzio.
-Vieni Gengis, non abbiamo tutto il giorno.
-Mi chiamo Losser.
Risposi di scatto senza pensare, quel ronzio si faceva sempre più intenso.
-Ok Losser, ora mi dai una mano?
-Non lo senti anche tu?
-Cosa?
-Questo ronzio.
Era sempre più fastidioso, avevo mal di testa, non capivo da dove venisse quel suono.
-Ho capito qual è il tuo piano Gengis.
-Di cosa parli?
Cercai di focalizzare la mia mente su Eduardo.
-Tu non vuoi aiutarmi, tu vuoi rallentarmi finche non arriveranno i tuoi complici.
Il vecchio sfoderò nuovamente la spada e me la puntò contro.
-Non lo senti anche tu?
-Basta vaneggiare io non sento propri nien...
Ora il suono era chiaro, anche lui lo sentiva, si volto rapidamente verso il baratro, diede un occhiata di sotto e indietreggiò atterrito cadendo col sedere in terra.
-È la fine.
Il suono era un perpetuo tlack-tlack-tlack.
Una forte ventata gelida ci investi e per un istante non vidi più nulla, poi riaprii gli occhi.
La nebbia si era diradata, ora il sole appena nato illuminava la valle. Sarebbe stato un panorama bellissimo se non ci fosse stato un gigantesco mostro di ferro volante, con sul dorso delle pale che roteavano velocemente, a coprire tutto.
Sentii di nuovo quella voce nella testa che prima mi aveva salvato.
-Scusa Losser, prima ti ho aiutato ma contro un elicottero non saprei che fare.
STAI LEGGENDO
L'alba Del Guerriero
FantasyUn ragazzo cui è stata rimosso ogni ricordo relativo al genere umano sarà mandato dalla divinità Ziz tra gli uomini della terra per poterli salvare tutti. Nel frattempo una tremenda serie di tempeste paranormali colpisce più zone della terra e sarà...