Se tu morissi, io morirei con te

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«Stefano, sveglia, sono le sette!»
Era così il mio risveglio, ogni giorno, ogni mese, ogni anno.

Mio padre, la mia sveglia personale.
«Sì papà, sto per alzarmi.»
Ma in realtà lui lo sapeva, sapeva che anche se avessi già aperto gli occhi, sarebbero passati altri dieci minuti prima di svegliarmi davvero.
È sempre stato il mio complice: quando non avevo voglia di andare a scuola, per esempio, mi aiutava a trovare delle scuse da accampare a mia madre e quando venivamo puntualmente scoperti lui era sempre pronto a prendersi la colpa.

Il cupo cielo mattutino sembrava aspettar sempre me prima di far sorgere il gelido sole che s'innalzava in quelle fredde giornate.

«Sbrigati sennò perdi l'autobus»
Mia madre, una persona un po' "particolare": Maniaca del controllo, che non ha mai avuto il bisogno di punirmi quando da piccolo facevo qualche stupidaggine, perché a lei bastava solo uno sguardo, ma che mi ha sempre dato tutto l'amore e le attenzioni che si potrebbero mai desiderare da una madre. 

«Sì mamma, faccio una doccia veloce ed esco.»

Così iniziava la mia giornata;
La strada era sempre deserta ma piacevole da percorrere.
L'asfalto umido rifletteva il meraviglioso grigiume del cielo.
La fermata del primo autobus non distava molto da casa mia, cento metri a malapena, ma non me ne sono mai lamentato; la vedevo più come una boccata d'aria fresca mattutina.
Così aspettavo ogni giorno l'arrivo del bus, io ed un paio di cuffie.
Ascoltavo sempre la stessa canzone.
Avevo sempre a malapena il tempo di sentire quelle parole:
«And if you die, i wanna die with you», che tradotte significano
«E se tu morissi, io morirei con te»; Le parole di una famosa canzone che mi dedicò Serena, la mia ex ragazza, della nostra band preferita.
Già, Serena... per me lei aveva la priorità su tutto: Quando stavo con lei il mondo pareva fermarsi lì, non esisteva nient'altro, non esisteva nessun altro. Amavo restare a casa con lei, da soli, a ridere, scherzare, litigare e far poi pace come nessun altro poteva fare;
Sembrava una favola, uno di quegli amori giovanili che spereresti non finissero mai, di quelli che ti fanno provare sentimenti che non pensavi nemmeno di poter provare, ma era tutto troppo bello per durare in eterno e tutto andò in rovina a causa di un altro ragazzo: mio fratello.
Fu un pugno nello stomaco, di quelli che non fanno male e basta, di quelli che fanno male, continuamente, dentro.
Ero lì, pensavo a lei, a me, ai miei errori. Pensavo continuamente a cosa avessi sbagliato, me ne incolpavo.
Mille domande pervadevano la mia mente, ogni giorno, ogni ora, ogni momento;
Stare da solo mi faceva male perché più stavo solo e più ci pensavo, più ci pensavo e più ci stavo male, ma per fortuna l'autobus arrivava sempre giusto in tempo per salvarmi dal delirio.
L'autista era un uomo di mezza età, col sorriso stampato sul volto, che una volta arrivati a destinazione, quando mi vedeva un po' giù mi ripeteva:
«Non fare quella faccia e pensa a divertirti!»
Non ho mai capito il motivo delle sue parole, anche perché pensavo di essere bravo a nascondere il mio malessere, ma come di mia consuetudine lo ringraziavo e scendevo.

La fermata generale degli autobus che ormai frequentavo da anni sembrava sempre uguale; Un grosso piazzale vuoto, con delle strisce tinte sull'asfalto e ormai sbiadite dal tempo che facevano appena intuire dove avrebbero dovuto sostato i mezzi. Le uniche cose a cambiare erano le persone che aspettavano il bus: qualche ruga in più, qualche viso nuovo, qualche taglio di capelli diverso, già, perché è questo che la gente nota.
Odiavo sedermi sulla panca ad aspettare, forse per il freddo, o forse perché mi sentivo più a mio agio in piedi.

Le mie giornate in quel periodo erano sempre uguali; uscivo solo per andare a scuola e non mi sognavo nemmeno di uscire fuori, ma quel giorno andò diversamente.
Arrivai alla fermata generale in ritardo di appena dieci minuti, abbastanza da perdere l'autobus che mi avrebbe dovuto portare a scuola.
Per la prima volta provai ad aspettare una linea che fermava un po' più distante.
Circa dieci o quindici minuti dopo vidi arrivare questo, così per dire, nuovo autobus.
Non c'erano la solita signora bassina e un po' in sovrappeso, l'uomo in giacca e cravatta e il bambino con sua madre che aspettavo di trovare; era pieno di vecchietti: qualcuno simpatico, qualcuno un po' meno, ma stranamente mi trovavo bene lì dentro.
Non dovevo tenere una posizione retta per paura che qualcuno mi guardasse, così mi sedetti negli ultimi posti, vicino al finestrino.
Guardavo fuori, o forse non guardavo affatto. Continuavo a pensare a lei, a mio fratello, cercando dentro di me una motivazione per questo loro tradimento. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 31, 2022 ⏰

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