*le dita -ornate da anelli argentei, come i polsi da bracciali, ed esattamente come le orecchie con finti dilatatori corvini ed altri gioielli- si stringono ad un ennesimo bicchiere di vetro, le labbra, ormai schifosamente impregnate di alcool e fumo, seppur invitanti e manipolatrici, schiuse, e gli occhi a mandorla, così neri da non distinguere l'iride dalla pupilla, fissi sul liquido arancio, che oscilla pericolosamente, prima di venire ingerito dal ragazzo asiatico -fin troppo attraente per essere un semplice umano-, ancora una volta. Poggia il contenitore vuoto sul tavolo, e quasi lo frantuma, per quanta forza sconsiderata ha messo nel compiere quell'azione così effimera. Assottiglia lo sguardo enfatizzato da un filo di matita, lo abbassa sulla superficie in marmo del bancone, poi lo rialza sulla barista, alla quale regala un vago mezzo sorriso, probabilmente brillo, ma mantenendo comunque un tocco malizioso. Certo, per la sua razza non è poi così facile ubriacarsi, ma anche lui dopo un certo limite, perde nettamente il senno della ragione. Nel mentre che aspetta l'ennesimo shottino di chissà quale bevanda distruggi-fegato, si toglie il cappellino dalla visiera rigida nera, e dalla coppa con fantasie nivee, entrambe le mani passano fra la chioma castana dai riflessi rossicci, la quale stringe fra le dita, e porta all'indietro, fin troppo lentamente. Appena il bicchiere fa capolino, e striscia nelle grinfie del giovane, il copricapo viene indossato nuovamente diritto, e, per la.. ormai ho perso il conto, volta, anche quel drink viene ingerito tutto d'un colpo, come se fosse casta acqua naturale.*
*un'ovattato rumore di tacchi si fece strada verso il bancone, seguito subito da una ragazza, che molti definiscono "afrodisiaca", non tanto per l'aspetto, ma per la sua capacità di far sentire a proprio agio la persona con cui interagisce. La voce però, dolce ma sicura, la precedette di qualche secondo, arrivando alle orecchie del barista come una supplica "un bicchiere di tequila, grazie~". Subito prese posto su uno dei tanti sgabelli in legno scuro, il cui sedile era ricoperto da uno strato di soffice velluto rosso. Le gambe, nude fino a metà coscia, si acavallarono e lasciarono che i piedi, stretti da un paio di decoltè nere con tacco, si misero a penzolare nell'aria impregnata di alcool e musica. Musica, quella non era musica, alle sue orecchie risultava un banale rumore, quasi fastidioso, che era però alleviato dall'alcool che oramai circolava nelle vene della ragazza in compagnia del sangue. La punta della scarpa destra arrivo ad una delle gambe dello sgabello su cui era seduto il ragazzo e, dopo qualche attimo di esitazione, diede un paio di colpi ad essa. Nel frattempo il bicchiere opaco venne posato sulla superficie laccata del bancone, e la ragazza, dopo aver lasciato che un piccolo sorriso volasse dalle labbra rosse al viso del ragazzo, strinse le esili dita -totalmente prive di anelli- attorno al cristallo, e lo portò alle labbra*
Devo pensare.. pensare, pensare.. ma il problema è che non mi viene in mente un cazzo di niente. Uh, e ho pure fatto rima, e.. ancora una volta, parli da solo. Ma visto che qui dentro sono tutti menomati, l'unica mente lucida è la tua- buon Dio, ma cosa sto facendo. A pensare troppo sono anche ridotto a conversare quasi decentemente con me stesso. *schiude le labbra in uno sbuffo, e si passa ripetutamente le mani sul volto dai tratti tremendamente affascinanti, stando attento a non sbavare nemmeno minimamente la matita che gli contorna ed enfatizza l'interno occhio di entrambi di questi. Solleva l'ennesimo bicchiere, ed ingerisce la tequila, tutto d'un fiato. È lì dentro più o meno dalla mattina stessa, e si sta letteralmente scervellando per trovare un modo ad un quesito piuttosto complicato, ma sa che lui non può fare nulla a riguardo. Usa la tequila come psicologa, e parla a lei come se, quella, potesse sapere tutte le risposte alle domande infinite che la sua testa ospita, e che probabilmente ospiterà per tutta la serata, prolungandosi fino alla mattina dopo. Gira e rigira il bicchiere sul bancone, facendolo volteggiare, gli occhi abissali fissi sul contenitore in vetro, pensieroso, ed il labbro inferiore fra i denti, leggermente innervosito, perché nemmeno l'alcool, per quanto potesse fargli perdere il senno, sa come aiutarlo. Si limita a spingere il bicchiere verso la barista, ed a borbottare, impaziente, un "vaffanculo", i gomiti sul bancone ed il capo fra le mani. Chissà se il prossimo shottino ha la risposta alla sua domanda.*