Capitolo 5

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Past day

Rimasi senza fiato. Paralizzata. Era come se mi avessero inchiodato al pavimento. Le gambe si fecero pesanti e i piedi divennero come un blocco di cemento. Sentivo le urla di tutti gli invitati, ma per quanto volessi gridare fino allo sfinimento, non ci riuscii. Persi il controllo di ogni cellula del mio corpo, come se fossi un'estranea, intrappolata nel corpo di un'altra. Qualcuno mi chiamò, probabilmente Taylor, ma non riuscii a voltarmi. Mi strattonò dal braccio, ma non ottenne niente. Una ragazza stesa al centro della stanza con una pasticca in mano e il sangue che le usciva dappertutto formando un'enorme pozza rossa. Era morta.

Percepii un forte senso di nausea e cominciai a tremare come un'ultima foglia attaccata a un ramo di un albero un attimo prima di cadere. Questa volta capii cosa Taylor mi stesse dicendo. "Dobbiamo andare via da qui".

Tentai nuovamente di pronunciare qualche parola. Niente.

Cominciò a girarmi la testa ed ebbi le prime vertigini. Non so come, né da cosa fu stimolato ma riuscii a ottenere il controllo delle mie gambe. Il blocco di cemento scomparve e le mie gambe si rassestarono. A grandi passi mi allontanai da tutto quel caos. Mi lasciai alle spalle tutta quella gente, e Taylor. Cominciai a correre come non avevo mai fatto prima. Non sapevo neanche di esserne in grado. L'ascensore che mi avrebbe dovuto portare all'ingresso era spento. Qualcuno non voleva che noi ce ne andassimo. Si annebbiò la vista e tremai ancora di più. Un enorme telo bianco si distese sui miei occhi bloccandomi la visuale. Respirai molto faticosamente e iniziai a sudare ovunque come se mi trovassi in una stanza con una temperatura di cinquanta gradi. Sentii dei passi farsi sempre più vicini, secondo dopo secondo, ma non potei fare nulla. Non vedevo più. Mi appoggiai alla parete, l'unico sostegno che riuscii a trovare in tutto quel casino. Qualcuno mi fece girare e mi chiamò per nome. Non riconobbi la sua voce o forse ero troppo stordita per riuscirci. Stavo per perdere i sensi. Faticai a tenere gli occhi aperti, cominciarono a chiudersi lentamente finché non vidi un buio, nero come la pece.

Aprii gli occhi molto lentamente, abituandomi alla luce della stanza. Come sono arrivata in questa stanza? L'ultima cosa che ricordavo era l'ascensore, il corridoio e qualcuno che mi chiamava per nome. Era come svegliarsi dal coma dopo aver dormito per diverse settimane. Mi trovai distesa su un letto con la testa appoggiata a un morbido cuscino. Mi alzai leggermente per scorgere qualcuno ma ero sola. Mi misi seduta cercando di capire cosa stesse succedendo. La ragazza morta al centro della stanza! Mi venne nuovamente in mente, spaventandomi terribilmente. Mi alzai di scatto, dovevo andarmene da lì se non volevo finire in guai seri. Qualcuno mi precedette aprendo la porta.

Logan era lì, davanti a me. Ero così spaventata e sollevata allo stesso tempo. Stavo provando così tante emozioni che non avrei mai più dimenticato questa serata.

«Che stai facendo in piedi? Torna a letto». Mi riproverò chiudendosi la porta alle spalle.

«Devo andare via da qui. La ragazza morta. Gente che urlava. Tutto quel sangue». Il senso di nausea stava ritornando. Parlai così velocemente che neanche mi resi conto di essere tornata a parlare.

«Che cosa ci fai qui? Sei sola? Queste non sono feste adatte a te, non saresti dovuta venire». Continuò a rimproverarmi senza accorgersi che stavo per sentirmi male di nuovo.

«Non urlare ti prego». Mi accovacciai in un angolo, prendendomi la testa fra le mani. Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi su qualcos'altro. Perché non ero rimasta a casa a dormire? Mi schiaffeggiai mentalmente per aver ascoltato Taylor e sua cugina. Logan si avvicinò sedendosi di fronte. Mi prese le mani e se le portò al petto.

«Andrà tutto bene. Te lo prometto. Non svenire di nuovo, ti prego». Sembrava quasi una supplica ma non poteva esserlo. Dov'era finito quel Logan egocentrico e arrogante? Forse era il suo gemello.

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