Capitolo terzo

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Warmness on the soul

capitolo terzo




8 Ottobre 1875

Berthold Hawkeye odiava frequentare la scuola. Avrebbe di gran lunga preferito essere istruito in casa, con lezioni private. A dire il vero avrebbe preferito non essere istruito affatto, non in quei modi e non a quelle condizioni. Bramava la conoscenza, ma a suo giudizio quella che veniva diffusa dalla maggior parte della gente, e, per l'appunto, dai suoi insegnanti, era pressoché inutile. Tuttavia, si costringeva a seguire le lezioni per compiacere i suoi genitori, che spendevano una fortuna per permettergli di andare a scuola, proprio perché credevano nell'importanza di quell'istituzione. Non capiva l'eccitazione degli altri ragazzi, così felici ed orgogliosi di avere la possibilità di essere lì, con le loro cartelle, appunti e cianfrusaglie varie. Berthold passava le ore di lezione ad aspettare la fine di quello strazio, e nei momenti di pausa, cercava di trovarsi uno spazio ben isolato dove poter pensare in santa pace. Appena poteva, si dedicava allo studio dell'alchimia, per poter ottenere la vera conoscenza: la verità nascosta dietro ogni cosa.

Anche quel giorno, come suo solito, si era sistemato su una panca in biblioteca, vicino alla finestra. Aveva le gambe poggiate al petto e osservava annoiato ciò che accadeva fuori.

«Ehi, ciao.» Berthold impiegò più di qualche secondo per capire che quel ragazzino ce l'avesse con lui.

«Io sono Zachary. Siamo compagni.» Continuò lui, nonostante l'altro non si fosse nemmeno degnato di ricambiare il saluto. Berthold, capendo che il molestatore non aveva intenzione di smetterla, si girò a guardarlo. Era un tipo magro ed alto, con i capelli scuri e degli occhi di un verde vivido. I suoi lineamenti erano delicati. Doveva avere quindici anni, ma ne dimostrava di meno, forse a causa del viso dall'aria innocente.
«Tu ce l'hai un nome?» Insistette il ragazzo, mentre si sedeva dall'altra parte della panca, di fronte all'altro.
«Hawkeye.»
«E sarebbe un nome?»
«È il cognome.» Rispose stizzito Berthold. L'idea di essere infastidito anche nelle pause lo disturbava. Decise di chiudere la discussione sul nascere, quindi si alzò e fece per andarsene.
«Aspetta, che fai?» Chiese Zachary, alzandosi e raggiungendolo immediatamente. «Devi andare a studiare?»
«No, non mi interessa quella roba. Mi stavo solo allontanando da te.»
«Mh, certo che non hai peli sulla lingua tu.» Berthold non si capacitava dell'insistenza del ragazzo. Cosa lo spingeva a cercare di avere una conversazione con uno che rispondeva a quel modo? Doveva avere qualche rotella fuori posto.
«Comunque, ci sarà qualcosa che ti interessa?»
«C'è, infatti.» Rispose Berthold, che era quasi giunto alla sua aula. Una volta arrivato, vide il ragazzo fermarsi qualche passo più indietro, ciondolando a destra e sinistra con le mani dietro la schiena. Gli fece talmente pena che gli concesse un saluto, prima di sparire al di là della porta.

«Ci si vede, ragazzino.»



«Potrebbe incartarmelo? È un regalo.» Domandò educatamente Roy alla giovane donna dietro la cassa, mentre estraeva il portafogli dalla tasca dei pantaloni.

«Oh, certamente» rispose lei, adoperandosi per fare quanto richiesto «è un'ottima scelta come regalo. Vedrà.»

«Ne sono convinto anche io. Grazie e arrivederla.» Salutò l'uomo, uscendo dal negozio, accompagnato dal suono delle campanelle attaccate alla porta.

Roy si avviò a piedi. Percorrere le strade della città con un passo calmo e rilassato lo metteva di buon umore, oltretutto aveva deciso di prendersi il pomeriggio libero, lontano dalla Centrale. Trovava piacevole osservare i vicoli di Central City, che a quell'ora erano affollati di persone. Sorrideva alla visione dei bambini che giocavano a rincorrersi, intrufolandosi tra le gambe dei più grandi, delle anziane signore che, agli angoli della strada, impiegavano un tempo oltremodo eccessivo per scegliere le mele da comprare, spazientendo i poveri venditori. Amava sentire il calore della vita, sprigionato da quei cittadini così indaffarati, ognuno con le sue gioie e i suoi dolori. Così umani. Il cuore gli si strinse al petto, nel ricordo di quell'umanità che avrebbe potuto esserci, ma che aveva fatto cessare con le proprie mani, anni addietro. Per quanto si stesse impegnando nella ricostruzione di Ishval, nulla avrebbe potuto cancellare quel dato di fatto. Era un assassino. Aveva lo sguardo e il cuore di un assassino: perché uccidere non era certo una cosa da niente. Non poteva rimanere indifferente di fronte ad una vita che si spegneva. Non poteva tornare a casa e mettersi a letto come se nulla fosse successo. Gli occhi strabuzzati di coloro che erano rimasti uccisi non lo avrebbero abbandonato mai, ma questo, all'epoca, Roy non poteva saperlo. Si rendeva conto del gravoso peso di quelle morti, soprattutto quando osservava l'aria serena e spensierata dei soldati più giovani, che non avevano mai vissuto quell'inferno. Anche Fury, che dal canto suo aveva partecipato alla guerra contro Aerugo, aveva ancora quella leggerezza nello sguardo. Non aveva mai sottratto la vita a qualcuno. Roy si era ripromesso che mai avrebbe permesso a quel ragazzino di commettere i suoi stessi errori. Se lui se l'era cavata grazie al suo carattere tenace, non avrebbe giurato che la stessa cosa sarebbe valsa per Fury, che era molto più emotivo. E così, tutto ciò che al Generale rimaneva da fare era prendersi cura delle persone a lui vicine, per espiare le sue colpe.

Warmness on the soul. (Fullmetal Alchemist) Where stories live. Discover now