E mi dirai che sono un bambino, un bambino che mai piangerà, che sempre in equilibrio rimarrà sulla fune dalla quale tu cadrai.


William si sciacquò il viso con dell'acqua fredda, se lo asciugò e scrutò il suo riflesso nello specchio. Si sfiorò il mento, poi la mascella, adesso erano perfettamente lisci. Poté, allora, rilassarsi sul divano ad angolo del soggiorno, sebbene avesse ancora nove scatoloni da aprire.
Il primo che aprì fu quello su cui, lui stesso, aveva scritto fragile con un pennarello indelebile nero e che conteneva esclusivamente roba destinata alla dispensa del bagno. Deodorante spray, schiuma da barba, dopobarba, rasoio, tre profumi, acqua di colonia, pettine a denti stretti, gel per capelli ed altro ancora. Con ordine e pazienza, aveva sistemato ciascun oggetto nella dispensa in modo da far entrare tutto quanto, dopodiché si era affrettato a rifarsi la barba.
La detestava, la barba, a differenza dei suoi ex compagni del liceo, i quali credevano che desse quel senso di maturità, di mascolinità o di crescita. Si piaceva senza, come era sempre stato, pensava che lo cambiasse, che gli desse un aspetto quasi diverso.
Diciamo che non gli era mai interessato crescere o maturare eppure, adesso, il piccolo Willy si era trasferito nella graziosa città di Abergele con la paura nella tasche e con un futuro da organizzare. Non era pronto, ne era consapevole, così come non era pronto a sistemare l'intera casa e a rincominciare da zero con le proprie mani. Non aveva idee, non aveva alcun sogno o progetto e non se n'era mai preoccupato.
Sbuffò e si guardò attorno, i mobili di quella nuova sistemazione erano ancora vuoti ed impolverati. La sorella sarebbe tornata entro un paio d'ore e l'avrebbe di certo rimproverato. Riuscì già ad immaginarsi il suo viso infuriato, le guance arrossate e gli occhi stanchi. Le aveva promesso che, al suo ritorno, avrebbe trovato metà degli scatoloni sfatti e sistemati ma, per il momento, ne aveva aperti solamente due.
Posò i piedi sul tavolino, accese il televisore e sbuffò ancora quando dovette attendere il caricamento della sincronizzazione dei canali. Dopo vari tentativi, si soffermò su un canale che stava trasmettendo una puntata della rinomata serie Cucine da Incubo e d'un tratto si ricordò di un altro impegno imposto dalla sorella: avrebbe dovuto preparare la cena.
Amareggiato, William cambiò canale scegliendone uno che trasmettesse della musica, aumentò il volume e si rialzò dal divano. Riprese le forbici e, canticchiando, scartò un altro scatolone. Lo trascinò nella cucina e, dopo averla spolverata da cima a fondo, iniziò a sistemare piatti, tazze e bicchieri nelle mensole, dopo riordinò posate, tovaglie e stracci nei diversi cassetti. Appese i guanti ad un gancio vicino ai fornelli e i grembiuli ad un gancio attaccato alla porta. Prese una spugna, la bagnò e la insaponò con del detersivo e aprì il frigo per pulirlo. Nel trovarlo vuoto, si ricordò che avrebbe dovuto fare anche un po' di spesa. Si diede una manata sulla fronte e sbraitò per l'esasperazione. Aveva ancora un'ora a disposizione.
Gettò la spugna nel lavandino e corse a prendere il suo parka. Prese il portafoglio e il cellulare dal tavolino situato di fronte al divano, ma non trovò le chiavi della macchina. Gli venne in mente che la macchina l'aveva presa la sorella quella mattina per recarsi a lezione, perciò sarebbe dovuto andare a piedi.
Non ce l'avrebbe mai fatta.
Sbloccò il cellulare e chiamò la sorella.
«Willy» rispose lei poco dopo. La sua voce era calma e dolce come suo solito, ma sarebbe presto cambiata.
«Riesci a fare tu la spesa?» le chiese di getto. Sentì un lieve sospiro e dei sensi di colpa lo stuzzicarono.
«Sono le sette inoltrate e sono bloccata nel traffico» disse, «una volta arrivata in città tutti i supermercati saranno chiusi».
«Ordino delle pizze?»
Sentì il suono di un clacson e la sorella imprecare.
«Vada per la pizza».
William sorrise, la salutò e chiuse la chiamata. Si tolse il parka abbandonandolo sul divano, si risedette e cercò su internet il numero telefonico di una pizzeria. Quando una voce infastidita e tutt'altro che disponibile gli rispose, ordinò tre Margherite, dettò il nuovo indirizzo che aveva scritto tra le note del suo I-Phone poco prima di partire nel caso avesse dovuto cercare la nuova casa tramite il navigatore e buttò giù.
Un senso di disagio lo pervase nel rileggere il nome della via. Adesso viveva lungo la Clifton Rise, un viale verde, ben curato e ricco di alberi. Non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse nei pressi della zona. Quando aveva raggiunto l'abitazione la sera prima, aveva superato la stazione, tre piccoli bar e un negozio di abiti da sposa. Più avanti aveva scorto un ampio parco e il Mare d'Irlanda. Abergele sembrava essere la città perfetta, era esattamente come la sorella gliel'aveva descritta. Pur essendo perfetta, però, quella città continuava a essergli estranea. Non era la città dove era nato e cresciuto, dove aveva vissuto istanti, momenti e ricordi.
Bloccò il telefono e lo appoggiò sul tavolino. Non era ancora pronto, pensò, e la cosa lo spaventò. Ma la vita non l'avrebbe aspettato, lo sapeva, perciò avrebbe fatto comunque qualcosa.
Tornò nella cucina, spostò il tavolo al centro della stanza e lo pulì. Ci sistemò sopra una tovaglia color panna e poi apparecchiò. Piegò i tovaglioli unendoli alle estremità formando un triangolo e a mise il coltello alla destra della forchetta rivolto verso di essa, come la madre gli aveva sempre insegnato. Sin da piccolo aveva apparecchiato la tavola in quel modo e sorrise nel vedere che quella era una cosa che non sarebbe potuta cambiare.
Non avendo bottiglie d'acqua, riempì i bicchieri con l'acqua del rubinetto e li mise sul tavolo. L'ultimo bicchiere lo posò, preso dai pensieri, con estrema cura. Sistemò le sedie e guardò quella tavola apparecchiata per tre persone. Un altro sorriso gli dipinse le labbra sottili ma, a differenza dell'altro, fu un sorriso malinconico.
In quello stesso istante, il campanello suonò.



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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 13, 2016 ⏰

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