Capitolo 1

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Freddo. Ecco cosa mi ritro a provare. Un angustiante e viscido freddo esteso per tutto il corpo, facendomi sentire attaccate alle ossa come gomme da masticare degli stracci umidicci. Sicura che accanto a me non ci sia più nessuno di cui possa fidarmi, e aggrapparmi nel caso di un altro incubo reale. Sì incubo, azioni solo credute possibile nei sogni più oscuri di una persona, ma reale per il dolore e l'angoscia che tutt'ora mi accompagnano come fedeli amici. I ricordi confusi ma limpidi nei momenti più terrificanti, mi portano a svegliarmi con un nodo in gola e la fronte grondante di sudore, temendo di essere riportata nella realtà dove posso sentire tutto sulla pelle ancora una volta; senza concedermi il lusso di rimanere nella momentanea e quasi beatitudine di questo oblio oscuro e appena piacevole.

Aprendo gli occhi la situazione non cambia poi così tanto da quando ero addormentata, ammettendo per un istante di avermi fatto sospirare di sollievo. Il buio riempie la stanza, fatta esclusione per un paio di candele consumate e fiacche che di illuminazione fanno ben poco. Risvegliando memorie vivide della stessa visione, ma trasmettendo sensazioni opposte dall'ultima volta. Non ho idea se mi trovo ancora in quella sporca e piccola stanza di quattro mura gelida come la morte, o vicino Roxborn, o in chissà quale altro luogo sconosciuto che può rivelarsi un paradiso o un inferno in una frazione di secondo. Guardare attorno è fatica sprecata, l'oscurità è tale da non lasciare via di scampo a un qualsiasi dettaglio; e non so per quale motivo, ma voler sapere dove sono non mi interessa affatto in alcun modo ormai. Il candelabro che regge due candele al minimo della loro vita posto su un ripiano, dà la possibilità di scorgere solo un lieve profilo di quello che sembra un mobile posto dall'altro capo della stanza difronte a me. Chiudo gli occhi approfittando del momento tanto atteso di una pausa. Tener chiusi o avere gli occhi aperti non cambia in alcun modo la mia vista, e questo in qualche modo mi rasserena, forse per il fatto di non riuscire a vedere chi si può avvicinare tra un secondo o l'altro. Mal volentieri, forse più per un dolore pungente proveniente dal corpo, mi rotolo su un fianco assumendo una posizione a riccio per sentirmi più a sicuro. È vero che non posso vedere, ma riesco a sentire che sotto di me c'è un materasso, non tanto morbido ma di gran lunga più accogliente rispetto allo sporco pavimento in cemento provato fino a ora. L'odore di muffa e umidità che impregna la stanza è stato assorbito anche dalle lenzuola su cui sono posata, provocandomi una forte nausea dallo stomaco ancora sotto sopra da quel momento. "Quel momento", non avrei trovato un termine migliore, i soli ricordi che mi sono rimasti sono sfocati e confusi, ma anche volendo, la mia mente rifiuta di trovare lo sforzo necessario per riaverli. Troppe cose sono successe in un lasso di tempo a dir poco breve, realizzando di aver perso la cognizione del tempo da quando ho messo piede a Roxborn. Settimane, mesi, fatico a credere di aver passato ogni genere di situazione in quello che doveva succedere siciramente in molto più tempo. Solo ieri mi sembrava di stare con i miei genitori sulla spiaggia, pronti per iniziare un picnic con tutti i piatti che mia madre preparava solo per me.

Un suono metallico, fin troppo riconosciuto, scatta all'improvviso assieme ai miei occhi. Istintivamente corro nel buio, anche se equivale a un arrancarsi sul materasso fino a schiacciarmi alla testiera, facendo galoppare il cuore dentro al mio petto colmo d'ansia. Un suono freddo da farmi fare una smorfia di disprezzo, se solo in questo momento il volto non fosse occupato a mantenere la naturale espressione di paura mista a disperazione. Il corpo si è già messo sulla difensiva, raggomitolandosi il più possibile e con la gola secca e piena di suppliche nel disperato tentativo di una clemenza. La voce è pronta a uscire quando invece si blocca, ostacolata a causa del nodo d'aria nella gola ma anche per quello che gli occhi vedono. Dopo essersi spalancata una robusta porta in legno con parti in ferro battuto scuro, sicuramente più recente in confronto alle altre parti della stanza ormai già marce e cadenti per il tempo trascorso, dei piccoli esseri grotteschi dalla carnagione marroncina e con una leggera tonalità innaturale di arancione, irrompono all'interno della camera. Il primo con in mano un mazzo di grandi chiavi dall'aspetto rustico, spiana la strada ai suoi compagni che entrano in fila portando ognuno qualcosa: alcuni torce dalla luce più abbagliante delle candele così da illuminare tutta la stanza, che incastrano ai ganci alla parete arrampicandosi sul mobilio fatiscente, altri bacinelle e secchi che sembrano pieni d'acqua fumante che subito dopo posano sopra un mobile con dei teli vicino. I loro sguardi sono simili fra loro, con lineamenti appuntiti e nasi aquilini, e un'ombra di rassegnazione addosso tale da essere evidenziata dal caratteristico corpo curvo e basso con capelli grigiastri cresciuti dove più vogliono che li accomuna tutti quanti, muovendosi svogliatamente e ricoperto da abiti sporchi e rovinati che sembrano più stracci che vesti. Si muovono nella stanza con grande organizzazione, sembrando che ognuno svolga un proprio compito. Li guardo con confusione, non capendo da dove possano essere usciti creature così stravaganti e se davvero esistano nella realtà. Senza accorgermene tutti i piccoli mostriciattoli raccapriccianti sparsi per la camera si radunano in massa verso la porta, uscendo. Solo uno, con ancora in mano il cerchio con le chiavi che pendono, non esce ma bensì si avvicina di qualche passo al letto su cui sono seduta, mantenendo comunque una certa distanza da esso. Mi guarda con i suoi piccoli e appuntiti occhi neri, e un volto dalle proporzioni e lineamenti irregolari. La sua corporatura, già chiaramente bassa e gobba, comprende delle spalle larghe che sembrano finte per il resto del corpo piccolo con gambe corte e braccia stranamente lunghe, facendolo sembrare la creatura di fantasia di un libro per la particolarità disumana che strabocca in lui e i compagni andati spariti. Il viso marcato da profondi solchi e orecchie fini e a punta sembra rilassato, ma allo stesso tempo martoriato da quelli che sembrano anni di sfruttamento, e il sacco di canapa consumato che indossa come indumento fermato solo da una corda, mostra un corpo esile di pelle e ossa inginocchiato dalla fame. Nonostante tutto, un sorriso raccapricciante affiora sul volto dell'essere dando la visuale a piccoli denti aguzzi posti uno davanti all'altro, come se non ci fosse abbastanza posto per tutti in quella piccola bocca.

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