capitolo 2

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Malgrado la mia ostilità, fui costretta ad ammettere che Lauren Jaure-qualcosa era piuttosto sveglia. Ci aveva scarrozzato fino all'aeroporto e poi sul jet privato dell'Accademia, dopodiché ci aveva lanciato solo uno sguardo, sospirando, e aveva dato l'ordine di separarci.
«Non lasciate che si parlino» aveva detto ammonendo il guardiano che mi scortava in fondo all'aereo. «Se passano cinque minuti insieme, prepareranno un piano di fuga.»
Le scoccai un'occhiataccia di sdegno e mi allontanai infuriata lungo il corridoio, sorvolando sul fatto che avevamo già pianificato una fuga.
A quanto pareva, le cose non si erano messe bene per i nostri eroi, o meglio, per le nostre eroine.
Una volta in volo, le probabilità di fuga si sarebbero drasticamente ridotte. Anche ammettendo l'avverarsi di un miracolo, ossia che riuscissi ad avere la meglio su dieci guardiani, avremmo senza dubbio avuto qualche problemino a scendere dall'aereo. Immaginavo che a bordo ci fossero dei paracadute da qualche parte, ma nell'incerta eventualità che fossi riuscita a farne funzionare uno,rimaneva comunque il problema di riuscire a sopravvivere, visto che con ogni probabilità saremmo atterrate da qualche parte sulle Montagne Rocciose.
No, non saremmo scese dall'aereo finché non fosse atterrato nel più remoto e selvaggio Montana.
A quel punto avrei dovuto farmi venire in mente qualcosa, qualcosa che includesse l'aggirare le difese magiche dell'Accademia e il vedersela con un numero dieci volte superiore di guardiani. Sì,certo. Nessun problema.
Benché Dinah fosse seduta davanti in compagnia della tizia russa, la sua paura riecheggiava in me,tormentandomi la mente come un martello. La mia apprensione per lei si fece largo attraverso la collera. Non potevano riportarla lì, in quel posto. Mi chiesi se Lauren avrebbe esitato, se mai fosse stata in grado di percepire ciò che io percepivo, e se avesse saputo ciò che io sapevo. Probabilmente no. Non led importava. Nel frattempo le emozioni di Dinah si fecero così intese che per un istante ebbi la sensazione disorientante di essere seduta al suo posto, nella sua pelle. A volte capitava. Senza preavviso, Dinah mi trascinò nella sua testa. Lauren mi sedeva accanto con la sua imponente stazza, e la mia mano -la sua mano - era stretta attorno a una bottiglia d'acqua. Lauren si chinò in avanti per raccogliere qualcosa, lasciando intravvedere sei minuscoli simboli tatuati sulla nuca: molnija. Somigliavano a due fulmini dentellati che si incrociavano a formare una X; un molnija per ciascuno degli Strigoi che aveva ucciso. Sopra a questi c'era una linea sinuosa, una specie di serpente, che lo identificava come guardiano. Il marchio della promessa.
Sbattendo le palpebre lottai contro Dinah, e con una smorfia riuscii a tornare nella mia testa.
Odiavo quando succedeva. Percepire le emozioni di Dinah era un conto, ma scivolare dentro di lei era qualcosa che detestavamo entrambe. Lei la vedeva come un'intrusione nella sua privacy, e così quando capitava di solito non ne facevo parola. Nessuna di noi era in grado di controllarlo.
Esistevano leggende sulle connessioni psichiche tra i guardiani e i loro Moroi, ma in quelle storie non si accennava a nulla di simile. Noi facevamo del nostro meglio per conviverci. Quasi al termine del volo Lauren venne dove ero seduta io e prese il posto del guardiano al mio fianco. Volsi platealmente lo sguardo altrove, guardando fuori dal finestrino con aria assente.
Trascorse qualche attimo di silenzio. Alla fine, lei disse: «Hai davvero intenzione di attaccarci?»
Non risposi. «Agire così... proteggerla in quel modo... è stato molto coraggioso.» Fece una pausa. «Stupido,ma coraggioso. Perché ci hai provato?» Le scoccai un'occhiataccia, scostando i capelli che avevo davanti al viso per poterla fissare negli occhi. «Perché sono il suo guardiano.» Tornai a guardare fuori dal finestrino. Dopo un altro silenzio, lei si alzò e tornò nella parte davanti del jet. Una volta atterrati, a Dinah e me non restò altra scelta che lasciare che il commando ci portasse all'Accademia. L'auto si fermò davanti al cancello, e l'autista parlò alle guardie, che si accertarono che non fossimo Strigoi pronti a dare inizio a una festosa mattanza. Trascorso un minuto ci lasciarono superare le difese magiche e poi salire fino all'Accademia. Era quasi il tramonto, l'inizio di una giornata vampiresca, e il campus era ammantato di ombre. Tentacolare e gotica, con ogni probabilità l'Accademia non era affatto cambiata. I Moroi erano fissati con le tradizioni; nulla con loro cambiava mai. Questa scuola non era antica come quelle in Europa, ma era stata costruita con lo stesso stile. Gli edifici sfoggiavano architetture elaborate,simili a quelle delle chiese, con alte guglie e sculture in pietra. Qui e là cancellate di ferro battuto racchiudevano piccoli giardini e camminamenti. Dopo aver vissuto nel campus di un college, mi ritrovai ad apprezzare in maniera diversa il modo in cui questo posto cercava di somigliare più a un'università che a una delle solite scuole superiori.
Ci trovavamo nel campus secondario, che era suddiviso in classi inferiori e superiori. Ciascuno degli edifici era costruito attorno a un arioso cortile quadrangolare abbellito da vialetti di pietra e alberi maestosi, secolari. Eravamo diretti al cortile della scuola superiore, che aveva le strutture per lo studio da un lato, e i dormitori dei dhampir e la palestra dall'altro. Gli studenti più giovani vivevano nel campus principale, più a ovest.
Attorno ai campus c'erano soltanto grandi spazi, e ancora grandi spazi. Eravamo in Montana,dopotutto, a chilometri di distanza da qualunque vera città. L'aria che sentivo nei polmoni era fresca e odorava di pino e di foglie marce bagnate. Foreste troppo rigogliose circondavano i confini dell'Accademia, e durante il giorno si potevano scorgere le montagne ergersi in lontananza.
Mentre ci spostavamo nell'ala principale dell'edificio della scuola superiore mi liberai del mio guardiano e corsi da Lauren.
«Ehi, compagna.» Continuò a camminare, e non volle guardarmi. «Adesso vuoi parlare?»
«Ci stai portando dalla Kirova?»
«Dalla preside Kirova» mi corresse. Dall'altro fianco di Lauren, Dinah mi scoccò un'occhiata che significava: Non creare problemi.
«Preside. Come ti pare. Rimane una vecchia convinta di avere sempre ragione, una stro...»Le mie parole si spensero mentre i guardiani ci scortavano attraverso una serie di porte, fino alla mensa.
Ed era ora di colazione.
I guardiani novizi, dhampir come me, e i Moroi sedevano insieme, mangiavano e socializzavano, i visi accesi dall'ultimo pettegolezzo capace di aggiudicarsi l'attenzione dell'Accademia. Quando varcammo la soglia il chiassoso brusio delle conversazioni cessò all'istante, come se qualcuno avesse schiacciato un interruttore. Centinaia di occhi si voltarono verso di noi. Ricambiai gli sguardi dei miei vecchi compagni di classe con un sorriso fiacco, cercando di capire se qualcosa fosse cambiato. Non sembrava affatto. Camille Conta aveva ancora quell'aria da stronza ricercata e agghindata di tutto punto che ricordavo, la guida auto eletta delle cricche dei Moroi di casata reale dell'Accademia. Più in là, Natalie, la goffa quasi-cugina di Dinah, ci guardava con tanto d'occhi, innocente e ingenua come sempre.
E sul lato opposto della sala... be', ecco qualcosa di interessante. Aaron. Povero, povero Aaron,che alla partenza di Dinah si era ritrovato di sicuro con il cuore spezzato. Sembrava carino come al solito - forse ancora di più, adesso - con quell'aria da ragazzo d'oro che faceva così bene il paio con quella di lei. I suoi occhi seguivano ogni movimento di Dinah. Sì. Non gli era ancora passata. Era triste, davvero, perché Dinah non si era mai lasciata coinvolgere più di tanto. Penso che fosse uscita con lui solo perché era la cosa che ci si aspettava da lei.
Quello che mi sembrava più interessante, però, era che Aaron avesse trovato un modo di passare il tempo anche senza di lei. Accanto a lui, a tenergli la mano, c'era una Moroi che non sembrava avere più di undici anni, ma che in realtà doveva essere più grande, a meno che in nostra assenza lui non fosse diventato un pedofilo. Con le guancine paffute e i boccoli biondi, aveva proprio l'aria di una bambola di porcellana. Una bambola di porcellana malvagia e parecchio incazzata. Stringeva così forte la mano di Aaron e guardava Dinah con uno sguardo carico di un odio così bruciante che la cosa mi lasciò stupita. Ma chi diavolo era? Nessuna che conoscevo. Soltanto una fidanzata gelosa, pensai. Mi sarei incazzata anch'io se la mia ragazza avesse guardato qualcuno in quel modo. La nostra sfilata della vergogna grazie al cielo si concluse, anche se l'ambiente in cui ci ritrovammo - l'ufficio della preside Kirova - non migliorò affatto le cose. La vecchia megera era proprio come la ricordavo, il naso affilato e i capelli grigi. Era alta e magra, come la maggior parte dei Moroi, e mi aveva sempre evocato un corvo. La conoscevo bene perché nel suo ufficio ci avevo passato un bel po' di tempo.
Quando Dinah e io ci mettemmo a sedere, gran parte della nostra scorta ci lasciò, e io mi sentii un po' meno prigioniera. Rimasero soltanto Alberta, il capitano dei guardiani della scuola, e Lauren. Si sistemarono lungo la parete, assumendo un'aria stoica e terrificante, proprio come richiesto dal loro ruolo.
La Kirova ci puntò addosso gli occhi furiosi e aprì la bocca per dare inizio a quella che, senza dubbio, sarebbe stata una tirata da grandissima stronza. Una voce profonda, gentile, la interruppe.
«Dinah Jane.»Sbigottita, mi resi conto che nella stanza c'era qualcun altro. Non l'avevo notato prima. Un atto di negligenza per un guardiano, persino per una novizia. Con grande sforzo Simon Cowell emerse da una sedia nell'angolo. Il principe Simon Cowell.
Dinah balzò in piedi e corse da lui, gettando le braccia attorno a quel fragile corpo.
«Zio» sussurrò. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime mentre lo abbracciava più stretto.Con un timido sorriso lui le diede qualche pacca sulla schiena, con dolcezza. «Non hai idea di quanto mi renda felice vederti sana e salva, Dinah.» Guardò nella mia direzione. «E vedere te,Mila.»Gli feci un cenno d'assenso, cercando di mascherare quanto fossi sconvolta. Quando ce ne eravamo andate lui era già malato, ma questo... questo era orribile. Era il padre di Natalie, e doveva avere all'incirca quarant'anni, ma sembrava ne avesse il doppio. Pallido. Avvizzito. Le mani che gli tremavano. A vederlo mi si spezzò il cuore. Con tutte le persone orribili che esistono al mondo non mi sembrava per niente giusto che proprio lui dovesse soffrire di una malattia che avrebbe finito per ucciderlo ancora giovane, impedendogli, in definitiva, di diventare re.
Anche se non era tecnicamente suo zio - i Moroi usavano il lessico familiare con una certa disinvoltura, soprattutto quelli di sangue reale - Simon era un caro amico della famiglia di Dinah e si era dato un gran da fare per aiutarla quando i suoi genitori erano morti. Mi piaceva; era la prima persona che ero contenta di rivedere.
La Kirova concesse loro qualche momento e poi riportò con risolutezza Dinah alla propria sedia.
Era il momento della predica.
Non fu niente male, una delle migliori della Kirova, il che era tutto dire. Era davvero una maestra, nell'arte delle prediche. Era quella la sola ragione che l'aveva spinta a intraprendere una carriera nell'amministrazione scolastica, ci avrei scommesso, perché non avevo ancora avuto una sola prova del fatto che le piacessero gli studenti. La filippica riguardò i soliti argomenti:responsabilità, impulsività, egoismo... Che palle! Cominciai subito a distrarmi, e a valutare la logistica di una fuga attraverso la finestra dell'ufficio.
Ma quando la tirata prese me come bersaglio, tornai a concentrarmi.
«E tu, signorina Cabello, hai infranto la più sacra delle promesse della tua specie: la promessa di un guardiano di proteggere un Moroi. È una grande responsabilità. Una responsabilità a cui tu sei venuta meno portando egoisticamente via la principessa. Gli Strigoi sarebbero deliziati all'idea di mettere fine alla dinastia degli Hensen; tu hai quasi permesso loro di farlo.»
«Mila non mi ha rapito.» Dinah parlò prima che potessi farlo io, la voce e l'espressione serafiche malgrado le emozioni che la turbavano. «Ho voluto andarmene. Non date a lei la colpa.»
La signora Kirova ci zittì prontamente e si mise a camminare per l'ufficio, le mani intrecciate sul didietro rinsecchito.
«Signorina Hensen, per quel che so avresti anche potuto orchestrare tu l'intero piano, ma ciò non toglie che fosse una sua responsabilità assicurarsi che tu non lo mettessi in atto. Se la signorina Cabello avesse fatto il proprio dovere, avrebbe avvisato qualcuno. Se avesse fatto il proprio dovere, ti avrebbe tenuto al sicuro.»
«Io ho fatto il mio dovere!» gridai, saltando in piedi dalla sedia. Lauren e Alberta trasalirono, ma mi lasciarono in pace visto che non avevo intenzione di colpire nessuno. «L'ho fatto per la sua sicurezza! L'ho protetta quando nessuno di voi» feci un ampio gesto percorrendo la stanza con la mano «avrebbe saputo farlo. L'ho portata via per poterla proteggere. Ho fatto ciò che dovevo. Voi di certo non l'avreste fatto.»
Attraverso il legame percepii i messaggi tranquillizzanti che mi mandava Dinah nell'ennesimo tentativo di convincermi a non farmi travolgere dalla rabbia. Troppo tardi.
La Kirova mi fissava, il viso privo di espressione. «Signorina Cabello, mi perdonerai se non sono in grado di comprendere in base a quale logica proteggerla significhi portarla via da un ambiente sorvegliato in maniera massiccia, e difeso con la magia. A meno che tu non ci stia nascondendo qualcosa.»
Mi morsi il labbro.
«Capisco. Molto bene, allora. Secondo la mia valutazione, l'unica ragione per cui siete partite...tralasciando la novità dell'impresa in sé, ovviamente... era di evitare le conseguenze di quell'orribile, devastante prodezza compiuta poco prima della vostra sparizione.»
«No, non è...»
«E questo non fa che rendere la mia decisione ancora più semplice. In qualità di Moroi, per garantire la sua incolumità la principessa dovrà restare all'Accademia, ma verso di te non abbiamo obblighi. Verrai allontanata quanto prima.»
Tutta la mia sfrontatezza svanì. «Io... cosa?»
Dinah si mise in piedi accanto a me. «Non può farlo! Lei è il mio guardiano.»
«Non è nulla del genere, prima di tutto perché non è un guardiano. È ancora una novizia.»
«Ma i miei genitori...»
«So cosa avrebbero voluto i tuoi genitori, Dio conceda pace alle loro anime, ma le cose sono cambiate. La signorina Cabello è sacrificabile. Non merita di essere un guardiano, e ci lascerà.»
Guardai la Kirova, incapace di credere alle mie orecchie. «Dove mi manderete? Da mia mamma in Nepal? Almeno lo sa che me ne sono andata? Oppure mi manderete da mio padre?»
Di fronte al sarcasmo di quelle parole i suoi occhi si ridussero a una fessura. Quando tornai a parlare, la mia voce era fredda, a tal punto che stentai a riconoscerla.
«O forse volete mandarmi via per farmi diventare una sgualdrina di sangue? Provateci, e ce ne saremo andate prima che questa giornata sia finita.»
«Signorina Cabello» sibilò, «hai superato il limite.»
«Hanno un legame.» La voce bassa, dall'accento marcato di Lauren spezzò la pesante tensione, e tutti ci voltammo verso di lei. Penso che la Kirova si fosse dimenticata che era lì, ma io no. La sua presenza era troppo imponente per poterla ignorare. Era ancora appoggiata alla parete, e con addosso quel ridicolo, lungo soprabito dava l'impressione di essere una specie di cowboy, un guardiano-cowboy. Teneva lo sguardo fisso su di me, non su Dinah; i suoi occhi chiari scrutavano dentro di me. «Mila sa cosa prova Dinah. Non è così?»
Alla fine ebbi almeno la soddisfazione di vedere la Kirova colta alla sprovvista, mentre spostava in continuazione lo sguardo da noi a Lauren.
«No... è impossibile. Sono secoli che non accade.»
«È evidente» disse lei.
«L'ho sospettato fin da quando ho cominciato a sorvegliarle.»
Né Dinah né io dicemmo niente, e io smisi di guardarla negli occhi.
«Questo è un dono» mormorò Simon dal suo angolo. «Una cosa rara e magnifica.»
«I migliori guardiani hanno avuto quel legame» aggiunse Lauren. «Così si racconta.»
L'indignazione della Kirova tornò a farsi sentire. «Lo si racconta in storie vecchie di secoli»esclamò. «Non starai per caso suggerendo di permetterle di restare dopo tutto quello che ha combinato?»
Lauren scrollò le spalle. «Può anche essere sregolata e irriverente, ma se ha un potenziale...»
«Sregolata e irriverente?» La interruppi. «E tu, comunque, chi diavolo saresti? Manodopera in subappalto?»
«Il guardiano Jauregui ora è il guardiano della principessa» disse la Kirova. «Il guardiano incaricato.»
«Per proteggere Dinah vi servite di manodopera estera a basso costo?»
Era una cosa squallida da dire, soprattutto perché la maggior parte dei Moroi e i loro guardiani erano di origine russa o rumena, ma la cosa mi era parsa più intelligente di quanto non fosse in realtà. E poi da che pulpito. Ero cresciuta negli Stati Uniti, certo, ma i miei genitori erano nati all'estero. Mia madre, una dhampir, era scozzese - capelli rossi, un accento ridicolo -e mi avevano detto che mio padre, un Moroi, era turco. Quella combinazione genetica mi aveva regalato una pelle color mandorla, insieme a quelle che mi piaceva considerare caratteristiche semi-esotiche da principessa del deserto: grandi occhi scuri e capelli di un castano così intenso da sembrare neri. Non mi sarebbe dispiaciuto ereditare i capelli rossi, ma bisogna accontentarsi di quello che si riceve.
La Kirova alzò le mani in un gesto di esasperazione e si rivolse a lei. «Lo vedi? Del tutto indisciplinata! Qualunque legame psichico e tutto il potenziale ancora molto grezzo del mondo non potrebbero compensare una cosa simile; essere un guardiano senza disciplina è ancora peggio che non essere affatto un guardiano.»
«Allora insegnatele la disciplina. Le lezioni sono appena iniziate. Rimettetela a studiare e tornate ad addestrarla.»
«Impossibile. Rimarrà comunque indietro col programma rispetto agli altri, non c'è speranza.»
«No, non succederà» ribattei. Nessuno mi stava ascoltando.
«Allora fatele seguire dei corsi supplementari» disse Lauren.
Continuarono così per un po', e il resto di noi seguì lo scambio come se si trattasse di una partita di ping-pong. Il mio orgoglio era ancora ferito per la facilità con cui Lauren ci aveva beffate, ma dovetti ammettere con me stessa che poteva riuscire a farmi restare lì, con Dinah. Meglio restare in quel posto d'inferno che stare senza di lei. Attraverso il legame riuscii ad avvertire un flusso di speranza.
«E chi la seguirà nel suo programma supplementare?» domandò la Kirova.
«Tu?»Le argomentazioni di Lauren subirono una brusca battuta d'arresto.
«Be', non è proprio...»La Kirova incrociò le braccia con aria soddisfatta. «Già. Proprio come pensavo.»
In evidente difficoltà, Lauren aggrottò le sopracciglia. Il suo sguardo corse da Dinah a me, e io mi domandai che cosa vedesse: due ragazze patetiche che la guardavano con occhi grandi, supplichevoli?
Oppure due fuggiasche che erano riuscite a scappare da una scuola dotata di elevate misure di sicurezza, e che avevano dilapidato metà dell'eredità di Dinah?
«Sì» disse infine. «Posso insegnare io a Mila. La seguirò negli addestramenti che andranno ad aggiungersi a quelli già in programma.»
«E poi?» ribatté la Kirova, adirata. «Se la caverà senza alcuna punizione?»
«Trovate un altro modo di punirla» le rispose Lauren.
«Il numero di guardiani si è così assottigliato che perderne un altro è un rischio. Soprattutto una ragazza.»
Ciò che quelle parole sottintendevano mi fece rabbrividire, al ricordo della mia precedente uscita sulle "sgualdrine di sangue". Soltanto poche dhampir diventavano guardiani, ormai.
All'improvviso Simon parlò dal suo angolo.
«Sono propenso a dirmi d'accordo col guardiano Jauregui. Cacciare Mila sarebbe un peccato, uno spreco di talento.»
La Kirova guardò fuori dalla finestra.
All'esterno era buio fitto. Considerato il regime notturno dell'Accademia, mattina e pomeriggio erano termini relativi. E in più le finestre erano oscurate per schermare gli eccessi di luce.
Quando si voltò tornando a noi, Dinah incontrò i suoi occhi. «La prego, signora Kirova. Permetta a Mila di restare.»
Oh, Lissa, pensai. Fa' attenzione. Servirsi della compulsione su un altro Moroi era rischioso,specie in presenza di testimoni. Ma Dinah ne stava utilizzando giusto un non nulla, e per spuntarla avevamo bisogno di tutto l'aiuto possibile. Per fortuna nessuno parve accorgersi di ciò che stava accadendo.
Non so neppure se fu la compulsione a fare la differenza, ma alla fine la Kirova sospirò.
«Se la signorina Cabello rimane, ecco quali saranno le condizioni.»
Si rivolse a me. «La tua permanenza alla St. Vladimir è esclusivamente a titolo di prova. Se oltrepasserai il limite una sola volta, sarai fuori. Dovrai seguire tutti i corsi e gli addestramenti previsti per i novizi della tua età. E inoltre ti allenerai col guardiano Jauregui in ogni momento libero, prima e dopo le lezioni. In più, ti sarà proibita qualunque attività sociale, fatta eccezione per i pasti, e sarai confinata nel dormitorio. Se mancherai di sottostare a una sola di queste condizioni, verrai... cacciata.»
Proruppi in un'aspra risata. «Mi è proibita ogni attività sociale? State forse cercando di tenerci separate?» feci un cenno a Dinah. «Paura che possiamo scappare ancora?»
«Sto prendendo delle precauzioni. Sono sicura che ricordi bene di non essere mai stata punita per aver distrutto delle proprietà della scuola. Hai un grosso debito da saldare.» Le sue labbra sottili si serrarono fino a disegnare una linea retta. «Ti viene offerto un accordo molto generoso. Ti suggerisco di non lasciare che il tuo caratteraccio lo comprometta.»
Feci per dire che non era affatto generoso, ma poi colsi lo sguardo di Lauren. Era difficile da decifrare. Forse mi stava dicendo che credeva in me. Forse mi stava dicendo che ero un'idiota a continuare a litigare con la Kirova. Non sapevo.
Distogliendo da lui lo sguardo per la seconda volta, abbassai gli occhi a terra, consapevole di avere Dinah al mio fianco e percependo il suo incoraggiamento attraverso il nostro legame. Alla fine espirai e tornai con lo sguardo alla preside.
«D'accordo. Accetto.»

Vampire Academy (Camren & Norminah)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora