«Capitolo 3»

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-A domani Gin!
-A domani- rispondo, salutando con la mano Anna che si allontana verso la macchina di suo padre che l'aspetta parcheggiata davanti a scuola.
Perla e Bianca sono già corse a prendere l'autobus, quindi mi incammino sul marciapiede, lottando con gli auricolari per districare i fili; quando finalmente ci riesco, premo il tasto play e mi lascio trasportare dalla musica. Ne sono davvero dipendente, l'ascolterei ovunque. È una delle poche cose che può distrarmi dai pensieri quando diventano troppo pesanti. Se una persona riesce a sostituire queste cuffiette ha già la mia stima.
Sono talmente presa dalla canzone (ndt Let it be, The Beatles) che per poco non attraverso con il rosso. Una macchina mi suona: è il prof. Plebani, di chimica.
Figura di merda giornaliera: fatta. Questa giornata è cominciata bene e sta andando anche meglio.

Per arrivare a casa mi ci vogliono 33 minuti esatti, durante i quali posso ascoltare 11 canzoni, con una media di 3 minuti a canzone.
E mi piace. Mi piace andare a piedi perché è l'unico momento che ho per me, dove posso pensare e liberare la mente. A casa c'è troppa confusione, con tre sorelle e una mamma single che corrono da una stanza all'altra.
Gemma, Lidia e Beatrice, sono le mie piccole pesti, ma le amo più di ogni altra cosa. Hanno rispettivamente 12, 7 e 4 anni e ancora mi chiedo perché la mamma non si è fermata dopo di me. Quella donna ha una forza straordinaria: ha cresciuto 4 figlie da sola ed è riuscita a darci tutto l'amore possibile.
Nostro padre se n'è andato non appena ha saputo che la mamma era incinta di Bea, ma in realtà non c'è mai stato, perché era sempre via, giornate intere, a volte anche settimane, per lavoro.
Stiamo meglio senza di lui.
L'unica cosa buona che ci ha lasciato è la consapevolezza di sapersela cavare da sole e una casa nel centro, al primo piano di un palazzo senza ascensore, con una bellissima vista sul Duomo.

Quando arrivo davanti alla porta è appena finita We don't look back in Anger degli Oasis, così stacco le cuffiette e spingo il battente.
In casa mi fiondo sul divano: di solito non sono così stanca, ma oggi sento una specie di peso sullo stomaco.
Per fortuna sono sola.
Rimango sdraiata ad occhi chiusi, pensando a quello che ho sentito oggi in classe. Chissà cos'è successo?
Ho la fortissima tentazione di mandare un messaggio ad Andrea su whatsapp, ma non avrebbe senso.
La nostra chat riguarda esclusivamente scuola e compiti e non so neanche se possiamo definirci amici.
È così ridicolo.
Come posso essere innamorata di un ragazzo che non frequento? Cosa mi spinge ad interessarmi a lui?
Lo conosco solo attraverso ciò che vedo e sento dall'esterno, e forse ha cominciato a piacermi proprio per questo, ma non l'ho detto a nessuno, nella speranza forse che quest'infatuazione non sia nulla di serio, perché non può piacermi una persona che non frequento. Punto.
Forse è perché, come ogni persona a quest' età, vorrei vivere una storia d'amore, ma non so cos'è.
Non capisco.
-Meglio mangiare, va'- borbotto, dirigendomi verso il frigo.
Metto a scaldare due pezzi di pizza prosciutto e funghi e li divoro in meno tempo di quello che mi ci è voluto per prepararli. Una perfetta sintesi della mia vita.

Nel pomeriggio, mentre sto studiando storia dell'arte, mi arriva un messaggio su whatsapp:

[Chat Perla - Me]

Perla: Ehilà

Perla: Sei libera oggi?

Me: Sto finendo di studiare

Perla sta scrivendo...

Blocco il telefono nella speranza di riuscire a concentrarmi, ma il trillo dei messaggi mi disturba impertinentemente.

Perla: Ah ok

Perla: Quando hai fatto usciamo?

Perla: In centro

Perla: Dai

Perla: Non mi va

Perla: Di stare

Perla: In casa

Alzo gli occhi al cielo.

Me: Va bene, ma smettila

Me: Di scrivere

Me: Tutto

Me: Così

Perla: Okay, messaggio ricevuto

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 09, 2022 ⏰

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