A un passo dal possibile

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Quella sera ero distrutta, avevo fatto, in un solo giorno, 1200 km.
Avevo appena dato una svolta alla mia vita, ero andata incontro al mio futuro, avevo solo voglia di infilarmi a letto, chiudere gli occhi e non pensare a nulla.
Invece, con le ultime forze che mi rimasero, raccolsi il coraggio necessario e lo chiamai.
Composi il suo numero con la certezza che non avrebbe risposto, invece, appena dopo due squilli la sua voce fermò i miei presagi.
Saltai i convenevoli, non mi appartenevano e andai diritta al punto, avevo necessità di incontrarlo e volevo farlo quella sera stessa. Non era una cosa che volevo rimandare. Non più.
Avevo rimandato per così tanto tempo, per così tanti anni.
Era arrivato il momento di prendere in mano la mia vita. Non potevo più aspettare.
Così, senza troppi giri di parole gli diedi appuntamento sotto casa mia.
Feci una doccia al volo, infilai un pantaloncino, una canotta e un paio di infradito e scesi in giardino.
Il tempo di una sigaretta e squillò il telefono, era lui. Era arrivato.
Gli andai incontro, e le mie mani cominciarono a sudare, il cuore mi arrivò in gola.
E se non avessi trovato le parole?
E se le avessi trovate e mi fossi pentita un attimo dopo di averle dette?
Mille domande invasero la mia testa.
Lo vidi nella penombra, bello come solo lui sapeva essere, con la sua solita aria di superiorità, classica di chi è convinto che il mondo giri intorno a lui, mi avvicinai e con la voce rotta dal pianto dissi "Buonasera" lui accennò un mezzo sorriso e non proferì parola.
Mi appoggiai alla sua macchina e tutto d'un fiato, senza dargli il tempo di farmi domande, dissi: "Tra due settimane parto, vado a vivere a Roma".
Lui mi guardò, dopo qualche secondo di perplessità scoppio in una risata fragorosa.
In quel momento fu il mio sguardo a diventare perplesso.
Aspettai qualche secondo e continuai: "Volevo dirti che questa sarà l'ultima volta che ci vedremo, tra qualche giorno comincerò una nuova vita e voglio che tu non ne faccia parte".
In quel momento il suo sguardo diventò serio. Non disse nulla, abbassò il capo, si infilò in macchina e fece come per andarsene.
Credo si aspettasse in quel momento che lo fermassi, ma per la prima volta in tanti anni, non lo feci.
Allora si fermò lui. Capì che non scherzavo.
Trovò il coraggio di guardarmi negli occhi e disse soltanto con voce rotta: "Quando parti?"
"Il tempo di sistemare le ultime cose e di trovare casa, credo non più tardi di 15 giorni"
"Come mai hai preso questa decisione? Avevi detto che saresti rimasta qui"
"Avevo detto. Ma, mi voglio bene, voglio bene alla mia famiglia e voglio costruire il mio futuro lontano da qui, voglio ricominciare, voglio fare nuove esperienze, conoscere gente nuova. Voglio crescere e so che se resto qui non cambierà mai nulla"
Mi guardò per l'ultima volta, accennò un mezzo sorriso, consapevole del fatto che le mie parole non suonassero più come uno scherzo, rientrò in macchina, mise in moto e andando via mi disse: "Buona fortuna".
Lo guardai andare via come si guarda il mare alla fine dell'estate.
Lo guardai come si guarda qualcosa che si sa già che ci mancherà.
Ma, quella storia mi stava logorando l'anima. Erano anni che continuavamo così.
Mi sono sempre accontentata delle briciole come un'elemosinante.
Di un "uomo" fantasma.
Ma ero stanca, volevo di più.
Mi ero resa conto che oltre quegli occhi, al mondo c'erano altri 6 miliardi di occhi.
Quando lo conobbi ero poco più che tredicenne. E a 13 anni si sa, si ha sempre tanta fretta e poco sospetto.
Chi ti spiega a 13 anni che l'amore è un'altra cosa?
In quella fase della mia vita che va dai 13 anni ai 18 anni mi sembrava di non poter più fare a meno di lui. Se provavo, per qualche mia strana presa di posizione, ad allontanami da quella storia, di colpo sentivo come se la terra sotto i piedi mi crollasse e il mondo mi cadesse addosso.
Lui era uno dei tanti ai quali piaceva l'idea di piacere alle donne in generale, e io ero una delle tante a cui piaceva l'idea di piacere ad uno come lui.
La verità è che a volte il vero limite sta nel conoscere troppo bene una persona e nonostante ciò, quasi in maniera masochistica, decidere che in fondo, quella persona ti va bene anche così.
E' per questo che ho passato la mia adolescenza a rincorrere chi non voleva essere rincorso.
A piangere quando non mi chiamava per giorni e giorni. A ridere quando tornava.
Ad urlare quando non mi capiva. A disperarmi quando sentivo che non mi amava.
Ma oggi lo so, oggi l'ho capito, non lo amavo neanche io. Non l'ho mai amato.
Le due settimane dopo il nostro addio mi sembrarono un incubo.
Ovunque andassi, con chiunque fossi, in ogni dove e in ogni quando lo incontravo.
Un venerdì sera, con un gruppo di amiche decidemmo di andare a ballare, era una delle ultime sere d'estate, l'aria era ancora calda e il cielo sembrava un dipinto quella notte.
Sapevo che le probabilità di incontrarlo sarebbero state alte, ma era l'ultimo venerdì prima della mia partenza e mi piaceva l'idea di chiudere in bellezza quell'estate così strana con le mie amiche di tutta una vita con una serata sotto le stelle e la musica che faceva da padrone.
Quella notte ballammo come se non ci fosse un domani, come se non ci fosse niente di più esaltante al mondo che stare lì ad assaporare ancora per qualche istante i nostri 18 anni in attesa di un futuro incerto, di un domani tutto da scrivere.
Intorno alle 4 dalle casse cominciò a pompare la musica che io più preferivo, anni 70' 80' 90'.
Mentre tutti cantavano e ballavamo senza sosta "Urlando contro il cielo", un braccio mi cinse la vita.
Inizialmente pensai fosse una delle mie amiche. Quando però mi accorsi che il braccio non mollava la presa e anzi, mi tirava a sé con una certa veemenza, mi voltai di scatto e ci trovammo viso a viso, occhi negli occhi, labbra a labbra.
Feci come per allontanarmi, ma la sua presa mi strinse a sé ancora di più.
Alzai gli occhi al cielo e pregai che non mi baciasse.
Non lo fece.
Si limitò a sfiorarmi le labbra e nei suoi occhi c'era il desiderio di avermi. C' era fame di me. Lo vedevo. Lo sentivo.
Mi sussurrò all'orecchio: "Stai con me, non andare via". Lo guardai e a mezza voce dissi: "Non posso". Mi guardò con gli occhi di chi ti vorrebbe dire tante cose ma non ci riesce e si limitò a dirmi: "Concedimi 5 minuti quando vai via da qui".
La mia testa diceva "NO", il mio cuore diceva "SI" e io sono sempre stata una persona troppo passionale e troppo istintiva per dar retta alla ragione.
Così quella notte rimanemmo in spiaggia fino all'alba io, lui e il mare.
Parlammo tanto. Parlammo come non avevamo mai fatto prima.
Non sapevo se la persona che avevo davanti era la stessa alla quale avevo elemosinato attenzioni e amore per quasi 7 anni della mia vita.
Parlammo di quanto eravamo stati stupidi, di quante occasioni di essere felici ci eravamo persi.
Ci baciammo tanto e alla fine facemmo l'amore, lì, in quel pezzo di spiaggia dove eravamo soliti andare a fumare le prime sigarette quando eravamo ancora ragazzini.
Facemmo l'amore con la consapevolezza di chi sa che sarebbe stata l'ultima volta. Fu il nostro addio o almeno era quello che entrambi volevamo credere.
Ci salutammo sotto casa mia con un lungo silenzio e l'abbraccio di chi vorrebbe rimanere lì in quella tra quelle braccia ancora, ancora e ancora.
Era il nostro modo, di dare un finale diverso ad una storia che non avrebbe mai avuto futuro.
Volevamo che ad entrambi, nonostante tutto, rimanesse il ricordo di quell'abbraccio, di quella notte, di quell'addio.
I nostri occhi erano carichi di nostalgia. Sapevamo entrambi che ci saremmo mancati.
Ma entrambi, sapevamo anche che, senza saperlo ci stavamo dando la possibilità di essere felici.
Nei giorni a seguire decisi di evitare i posti nei quali sapevo lo avrei incontrato.
Non fu facile, ma decisi di seguire quella linea.
Il giorno della mia partenza era ormai vicino.
Avevo così tante cose da fare, così tante cose da preparare, così tante persone da salutare, che quasi per fortuna, non ebbi il tempo di pensare a tutto il resto.

Malinconia PuttanaWhere stories live. Discover now