Persa con me. (parte seconda)

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Io non avrei mai pensato che la mia vita potesse cambiare così drasticamente in meno di una settimana.
Io non volevo proprio pensare a quali conseguenze tutto ciò avrebbe avuto su me stessa e sul mio modo di concepire il mondo.
Tutto il rosa e l'azzurro che vedevo divennero bianco e nero.
I non-colori, i non-colori degli impressionisti.
La mia vita non era neanche bianca e nera, la mia vita era un non-colore,
io non vivevo più,
io esistevo soltanto,
come il bianco e il nero,
che esistevano sì,
ma non vivevano no.

La mia mente cieca che vedeva il nulla davanti a sé, il nulla intorno a sé.

Mi ero persa, mi ero persa, con me, mi ero persa con me.
Mi ero persa insieme a me.

Come vivere con una persona senza conoscerla veramente.
Come passare così tanto tempo con una persona fino a non capirvi più e mandarvi al diavolo.

Io, ero persa con me.
Così persa in me.
Così immersa in me da odiarmi in quell'immensa solitudine.

Io che finii per volermi mandare al diavolo senza poterlo fare.

E da quelle situazioni non ne esci mai illesa, non ne esci mai come ne sei entrata.

Ma come ci sono entrata?

Certe cose ti restano nella pelle,
certe cose non le dimentichi,
non vuoi, non puoi.

Inverno, era inverno, faceva freddo, molto freddo, o forse lo sentivo io il freddo, dentro ormai.
Era inverno e le vacanze di natale sembravano lontane anni luce.
Quelle medie pesanti come macigni sulle spalle.
Credetemi se io i buoni propositi li avevo.

Ricordo quando entrai in quella scuola.
Così felice, libera ancora, convinta di fare tante amicizia, di crearmi qualcosa, trovare il mio posto, così convinta di potercela fare.
Credetemi perché io ci credevo davvero, perché io guardavo gli occhi dei miei compagni e ci vedevo qualcosa di buono.

Credetemi perché poi io non ciò creduto più.

Gli insulti iniziarono molto in fretta.
Un adolescente su tre è colpito da bullismo.
Io non stavo tra quei due che colpivano.
Io ero l'uno, io ero una, io ero colpita ovunque, e quei colpi ben assestati alla mia mente cambiarono tutto.

《È tardi Greta, devi andare a scuola, fai sempre tardi, sempre. 》

Dovevo andare a scuola.
Anche quel giorno d'inverno.

Alzarmi, andare in bagno, occhi chiusi, accendere la luce e sbuffare.
Sbuffare mettendo i jeans.
Sbuffare accorgendomi di aver dimenticare di studiare matematica.
Era tutto uno sbuffare ogni mattina.
Ma forse sbuffavo soltanto per ciò che avrei dovuto affrontare ancora un'altra mattina.

Entravo in aula cercando di essere invisibile, proprio come gli amici che avevo.

Gli occhi dei miei compagni.

Quante preghiere facevo.

《Fa che non commentino il mio modo di vestire.》

《Fa che mi stiano lontani.》

《Fa che non mi tocchino.》

Tutto ciò rendeva la mia mente solo, sempre, immensamente più debole, più sola.

Il banco sempre vuoto, come se aspettasse compagnia, ma io poi compagnia non ne avevo.

So quanto può far piangere un ricordo, so quanto può torturare il cuore qualcosa che vuoi ma non puoi dimenticare.

Le lezioni andavano lente, troppo lente, quando arrivava ricreazione ricordo che scendevo sconfitta i gradini, accettando passivamente la solitudine di quei minuti.

Non ero forte, non ero neppure debole, ma perdevo pezzi di identità ogni giorno che passava, non ero più io, non ero più in me, e penso che nella vita ti puoi permettere di perdere tutto, ma non te stessa.
Questo tuttavia lo capii in seguito.

Questo è il principio, questo è l'inizio, l'inizio di una serie di avvenimenti che mi portarono a ciò che sono ora.





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