Colorami i pensieri.

363 97 43
                                    

La sveglia per andare a scuola mi riporta di colpo alla realtà.
Non è mai consigliabile stare troppe ore a pensare al proprio passato, sia esso bello o brutto, mai pensarci troppo, nel primo caso ci rattristerebbe perché già finito, e nel secondo caso torna presente.
Mai pensare al passato, mi sembra abbastanza chiaro no?
Eppure era così difficile nella pratica.
Ma ad ogni modo non faceva ancora così male.
Avevo dodici miseri anni, la mia vita scorreva liscia, forse troppo liscia mi permetterei di dire, nulla di interessante, nulla da raccontare, e se nessuna vita è banale io oserei dire che invece la mia lo era.
Pensavo spesso alla mia infanzia, che forse ancora neppure era finita nella mia mente.
I giochi per strada, le corse in campagna, gli alberi, la musica, gli amici, tutto ciò mi mancava e così ripercorrevo ogni singolo giorno con la mente.
E mi veniva in mente quando mangiavamo tutti insieme come famiglia, quando essere uniti nonostante tutto era una regola base, quando passavo le giornata giocando con i bambini del quartiere senza mai stancarmi facendo arrabbiare mamma che, lo dico sorridendo, stava ore a chiamarmi dal balcone per farmi salire e cenare.
Ma eravamo felici, ero felice, e permettimi di dilungarmi in questi pensieri felici, avremo tanto tempo per osservare cose tristi.
Ricordo quando il nonno suonava al citofono,《Vieni, andiamo a comprare un gelato.》
Ricordo quando andavamo al cimitero ma no non per piangere, ma per imparare,
per imparare sì, e così quel luogo divenne per me luogo di cultura, quando lui morì non piansi, come potevo piangere se non accettavo la sua assenza?
E ti svelo un segreto, per me è ancora vivo, è ancora in clinica, nella sua stanza, quella dove nell'armadio teneva soldi spicci da regalare a me, dove teneva delle marmellate, le mie preferite, e lui no non le mangiava, le dava a me, e io si mi ci leccavo i baffi.
Hai mai perso qualcuno di importante?
Io l'ho perso nel periodo più triste della mia vita, ma forse, più triste è esagerato, è esagerato pensando al dopo.
Forse è il caso di fare il quadro della situazione, senti che confusione, guarda che parole confuse, perdonami, i miei pensieri corrono veloci, veloci, sfidando la logica.
Vienimi dietro ok?
Tre anni.
Una campagna.
Una famiglia.
Una bambina felice.
Le ore a camminare non erano mai troppe, i sorrisi non stancavano mai, e le mani possenti di mio nonno materno sempre pronto a prendere me ancora così innocente, ancora così pura.
Ricordo che spesso andavamo a trovare i cavalli, se il nonno diceva che non dovevo avere paura io paura non ne avevo.
Una scala univa le mie metà, i miei genitori, e il resto della famiglia, così incasinata, così buia, ma a quattro anni come potevo rendermene conto.
Cinque anni.
Sei grande dicono.
Sei grande e devi andare a scuola.
Scuola?
Sì l'idea mi piaceva.
Correvo le scale con il mio zaino preferito in spalla.
Le prime amicizie.
La prima bambina simpatica.
Il primo bambino carino.
Era tutto la prima volta e questa cosa mi piaceva, Dio se mi piaceva.
Ma benedette elementari, benedetti compagni, benedette maestre che non avete mai capito nulla.
《Tu non puoi entrare nel nostro gruppo.》
No? Non posso? Perché non posso?
E una risposta non l'ho mai potuta trovare.
Io in quel gruppo non ci sono mai entrata, io quando le bambine giocavano ero la ruota di scorta, io facevo sorridere la mia amica se piangeva ma sorridendo si dimenticava di me.
Io ero fuori dal gruppo.
Hai capito no?
Fuori dal gruppo, fine, se sei fuori sei fuori, se sei fuori sei diverso, se sei diverso sei da scartare, se sei da scartare sei da prendere in giro.
Frasi sputate, frasi tristi, troppo tristi da sentir dire a un bambino, frasi che mi spezzavano i pensieri e il cuore da quanta cattiveria celavano, e quel bambino non era più così carino.
Vergogna dietro quelle frasi poco decenti, il mio viso fisso sul pavimento, come se fossi io il problema.
E lo ricordo, lo ricordo chiaramente quando correvo via e mi venivano dietro tirandomi i per la giacca e per i vestiti, eh si faceva male, eh no non lo so perché, eppure mi vergognavo, eppure piangevo, eppure mi sentivo sola ogni giorno in cui quei benedetti sguardi si posavano su me per farmi sentire sbagliata e diversa.
Erano bambini certo, erano bambini, ma anche io era una bambina, una bambina troppo chiusa.
Io non l'ho mai capito perché spesso mi ferivano, perché spesso mi odiavano, perché spesso mi lasciavano sola.
A volte penso di essere sempre stata io il problema, ci pensi mai tu?
Vedi, neppure a quella tenera età potevo dire di stare bene, non reggevo le critiche, avevo paura dei giudizi, avevo paura di stare sola ma ci stavo spesso, io non so cosa ci fosse dentro me ma qualcosa mi ripeteva continuamente che stavo sbagliando, che ero incapace di crearmi amicizia, ma le volevo, io la volevo un amica, ma le delusioni, le grida, le litigate, lei che mi spingeva a muro, che mi intimava di picchiarmi, ed era realmente colpa mia?
Dimmi, perché questo?
Perché odiarmi?
Perché non trovavo quell'amica?
Perché non stavo bene?
Perché mentivo?
Perché mi lasciavano sola seduta su un banco a disegnare?
Io volevo solo essere accettata, eppure mi riusciva così male, tanto male, troppo male.
E perdonami se tutta questa tristezza ha colto te in pieno, ti prometto che non sarà sempre così triste, non sarà sempre così buio, non sarà sempre così.
Eppure quella bambina crebbe, sempre più fragile, sempre più incapace di fermarsi e chiedersi quale fosse il problema.
Eppure, quella bambina crebbe, e credimi, avrei voluto salvarla finché c'era tempo.

L'Echo del silenzio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora