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Federico aveva tredici anni ma non li aveva. Quelli che camminavano al suo fianco erano i suoi amici ma non lo erano.

L'unico fatto certo era che l'inverno era arrivato in anticipo e la neve ricopriva i marciapiedi dove la gente passava. Federico si sentiva in colpa a calpestare quel soffice strato bianco e sporcarlo con gli stivali infangati. I ragazzi al suo fianco erano degli sfigati, come lo era lui, anche se era il solo punto in comune. Tutti loro erano contenti di aver finto la scuola prima, mentre Federico era disperato, quasi depresso al pensiero. L'idea di essere privato di un giorno intero di nozioni utili, di studio e conoscenza, lo faceva sentire debole. Alla fine, presto sarebbe arrivata l'università e con essa, la maturità. In questo caso, non mi riferisco alla maturità scolastica che bisogna affrontare l'ultimo anno di superiori, ma ad un complesso piuttosto ampio di crescita a livello psicologico e fisico.

Il più delle volte, sua madre Tatiana, doveva ricordargli che aveva solo tredici anni e che non necessitava tutta quella mole di informazioni. A Federico, però, piaceva portarsi dietro il suo bagaglio di conoscenze, nonostante le ricorrenti frasi materne. Ovviamente - pensava - è facile per lei parlare, quando non è arrivata nemmeno all'ultimo anno di scuola.

Ecco, Federico non era cattivo.
C'era qualcosa dentro di lui che non gli permetteva di essere comprensivo. Odiava la stupidità delle persone e, ancora di più, non essere in grado di rispondere ad un semplice quesito. Per questo si sforzava così tanto ogni giorno, per questo leggeva così tanti libri. Non voleva sentirsi superiore rispetto agli altri ma non poteva non sentirsi tale quando si trovava con dei coglioni attorno a lui.

"E dai, Fedez, sorridi. Sono le otto e mezza di mattina e non siamo a scuola. Meglio di così?" gli ricordò Davide, coprendosi i folti ricci con il cappuccio.

La neve iniziò a scendere delicatamente, posandosi sulla punta del naso di Federico. Il ragazzo rabbrividì, più per le parole di Davide che per il freddo che gli aveva fatto congelare il naso, di un colore rosa scuro.

"Come se ci fosse qualcosa per cui sorridere. Vorrei ricordarti che oggi avremmo dovuto fare una verifica di scienze. Io non passo i pomeriggi a studiare per niente" ribatté infastidito, nascondendo le mani nelle tasche del giubbotto.

Bugia.

Avrebbe studiato quel libro per il solo gusto di farlo, trascorrendo pomeriggi interi a scoprire di più sull'anatomia, chimica o biologia. Il fatto era che le verifiche gli piacevano: era bello poter rispondere a delle domande, conoscendo la risposta e, così, sentirsi importanti.
Davide non rispose, forse non l'aveva nemmeno ascoltato di proposito. So per certo che si chinò per raccogliere un po' di neve tra i guanti, per formare una palla e lanciarla contro Gennaro. Il biondo, lo guardò molto male quando atterrò sui suoi capelli castano dorati. Successivamente, rispose all'attacco e iniziarono una battaglia di palle di neve.

Federico sospirò, in modo teatralmente esagerato, poi tirò fuori dallo zaino la Commedia di Dante Alighieri. Sfogliò le pagine fino ad arrivare al canto sei dell'inferno, proseguendo lungo la strada per casa sua. Ignorò i versi, le risate e gli urli dei suoi cosiddetti amici, troppo intento a leggere quel capolavoro.
Gennaro si scostò il ciuffo ribelle sulla fronte, appallottolando la neve tra le mani nude. Era senza guanti perché sua sorella aveva deciso di rubarglieli quella mattina.

Babbei.

Federico li riteneva davvero dei completi idioti e sperò con tutta l'anima che a Gennaro venisse un gelone per la sua deficienza. Sì, forse Federico era cattivo ma forse Federico non lo era così tanto.

Un paradosso vivente.

I due ragazzi lo raggiunsero, correndo e con il fiatone. L'aria fredda era in circolo nei polmoni e alcune parti del loro corpo non riuscivano a sentirle.

Tragic Attraction (Midez AU)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora