Capitolo 2

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Madrid, 02 febbraio 1731

Il palazzo reale di Madrid era in fermento, come la regina Elisabetta, che richiedeva tutta l'attenzione dei presenti con la sua furia "Odio essere preceduta negli affari politici" protestò balzando in piedi dal suo trono.
"La notizia della morte di Antonio ci ha colti di sorpresa" aggiunse re Filippo V, indignato "come è possibile che non ci abbiate avvisato sulla sua salute?"
Il messaggero rispose mortificato, "Sembrava una semplice influenza e avevo pensato..."
"Non vi paghiamo per pensare, Sebastiano, voi dovevate essere i nostri occhi e le nostre orecchie. La vostra presenza alla corte di Antonio è stata voluta per preservare gli interessi miei e dei miei eredi" la regina sbuffò acida, "cosa dovremmo farcene di una notizia vecchia di giorni?"
La domanda retorica fece tacere l'uomo.
"C'è altro che dovremmo sapere?" intervenne il re.
"Il conte Carlo Stampa di Soncino ha occupato Parma con 24 compagnie per presidiare la successione."
"Avvoltoi!" esclamò la regina senza celare l'astio.
Dopo aver fatto evaporare l'ira di quelle parole, l'uomo aggiunse, "Anche papa Clemente XII vuole far valere i suoi diritti di alta sovranità sul ducato."
"Sciocchezze, l'unico ad ereditare il ducato sará mio figlio Carlo" replicò la regina, sprezzante.
"In realtà..."
"Cosa c'è ancora?" lo sollecitò la donna.
"Il duca, prima di morire ha rogato il testamento nominando erede universale il 'ventre pregnante'."
"Mossa astuta!" esclamò il re, osservando il volto della moglie dall'espressione sorprendentemente calma.
"Già, talmente astuta che dubito sia stata sua" replicò lei storcendo le labbra in modo pensoso, "dobbiamo entrare in Italia."
Il re prese il controllo della situazione liquidando il conte, "Ora potete andare, vi manderemo a chiamare nel caso avessimo un incarico per voi."
Dopo il doveroso saluto, l'uomo lasciò il salone in assoluto silenzio.
La temperatura, se possibile, in quel momento divenne ancora più gelida. La regina osservava assorta il velluto dei tendaggi, intenta ad escogitare un piano per risolvere quel problema.
"Possiamo far valere gli accordi di Siviglia per entrare" disse il re avvicinandosi alla sua sposa.
Elisabetta parve riaversi "Sì, sarei più tranquilla se avessimo anche noi degli armati in Toscana."
"Immaginavo" ammise il re con sicurezza, consapevole che la sua perspicacia, unita alla lungimiranza della sua sposa avevano sempre giovato ai loro affari, "Bene, allora procedo" disse, prima di chiamare il suo fidato ambasciatore.

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