Halloween

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Sabato.

Mi presentai a casa di Baylee in anticipo, pensando bene che avesse bisogno di aiuto per i preparativi.
«Gli invitati arriveranno fra un'ora e ancora non ho organizzato i letti per dormire», esclamò paonazza lei non appena mi aprì la porta per lasciarmi entrare.
A volte mi spaventava il tempismo di quella ragazza.
«Buonasera anche a te, Bay», la salutai sarcastica, accomodandomi in salotto e lasciando su un tavolo le bibite che mia madre aveva insistito che portassi.
«E comunque non sono i letti di cui hanno bisogno le persone ad una festa», la rassicurai, guardandomi intorno e notando le decorazioni macabre con cui aveva tappezzato le stanze.
«Dici che non dormiranno?», mi chiese così lei, mentre camminava nervosamente portando con sé pacchi di arachidi e tartine.
«Dico che dormiranno anche per terra», risposi io, ed ero seria stavolta.
Nessuno dorme nei letti alle feste.
Anche se ce ne fossero abbastanza per tutti, ci sarà sempre qualcuno che sverrà nella vasca da bagno o nello sgabuzzino.
Non è teoria, è pratica.
Succedeva sempre e basta, senza alcuna spiegazione logica.

Dopo aver sistemato meglio gli scheletri di carta e aver acceso le candele a forma di zucca, mi allontanai con l'intenzione di andare a prendere altri allestimenti in camera di Bay, ritrovandomi in uno stretto corridoio che aveva uno specchio sul fondo.
Strinsi i denti mentre mi avvicinavo al mio riflesso.

Cercai in tutti i modi di non guardarlo, e fui in grado di ignorarlo solamente abbassando gli occhi e chiudendo dolorosamente le mani in due pugni.

Non avevo la minima intenzione di vedere la mia faccia stanca proiettata su quella parete, ero già annoiata dalla mia immagine.

Proseguii quindi per la mia strada, raggiungendo la stanza e continuando così ad aiutare Bay.

I primi invitati arrivarono in un gruppo di sei, composto da Sarah, Maddie, Edith e altri tre ragazzi sconosciuti, probabilmente ripescati casualmente da chissà dove.
Dopo poco si presentarono invece Kyle e due giocatori della sua squadra, accompagnati da un paio di ragazze adornate da top e shorts che lasciavano ben poco all'immaginazione.

«Come stanno andando i preparativi?», esclamò Kyle alle mie spalle, mentre ero intenta a disporre delle fette di torta su un vassoio.
Feci spallucce.
«Tutto okay, spero solo di non combinare un disastro come al solito», risposi ridendo, e scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
Lui mi imitò.
Tutti erano a conoscenza della mia sbadataggine, nessuno come me era in grado di combinare così tanti guai e rendersi ridicola in qualunque tipo di situazione.
«Vuoi che ti aiuti?», si offrì il ragazzo, avvicinandosi.
Scossi la testa, mentre il suono del campanello irruppe nella casa.
«Arrivo subito, vado ad aprire», dissi prontamente, allontanandomi.
Sentii Kyle sbuffare, e quasi mi dispiacque per lui.

Quando aprii la porta tre visi sconosciuti mi si proiettarono davanti.
Uno di loro era tondeggiante e ricoperto da una peluria bionda, e sembrava essere più grande di me.
Gli altri erano femminili, una delle due ragazze spiccava con una chioma di capelli rosso fuoco e l'altra, mora, mi colpì invece con uno sguardo che mi fece rabbrividire.
«Ciao, entrate pure», li salutai sorridendo, ma non feci in tempo a farli passare che subito la voce di Baylee apparve dal niente.
«Matt, Liz, Allison! Finalmente, vi aspettavo».
Deglutii.
Matt, il biondo, Liz, la rossa, Allison, sicuramente la cupa e inquietante ragazza mora.
Li osservai velocemente, cercando di catturare il maggior numero di informazioni possibili da ciò che ero in grado di vedere.
Matt, alto, maggiorenne, tranquillo, indubbiamente omosessuale.
Liz, affascinante, sorridente, carattere aperto, sembrava simpatica.

Allison.
Niente.
Il vuoto più totale.
Occhi scuri, capelli scuri, vestiti scuri.
Alta, magra, niente di più.
Scossi la testa, strizzando le palpebre per qualche secondo.
Non ero riuscita a captare di più, e non sopportavo quando succedeva.
I tre ospiti andarono a salutare gli altri, e in pochi attimi ecco che si ritrovarono tutti in salotto, stravaccati sui divani e già intenti a stappare qualche bottiglia di birra.

Il resto degli invitati arrivò poco dopo, accompagnati da altri super alcolici e nuovi cd da mettere ad un volume troppo alto per tutto il resto della serata.
Trascorsi un po' di tempo in compagnia di Kyle, Sarah e di Liz, la ragazza rossa, e scoprii ben presto di aver ragione quando avevo pensato che fosse simpatica.
Più tardi apparvero Bay e Matt, e non appena ci raggiunse anche Allison vidi un'espressione di disappunto prendere forma sul volto di Sarah.
«Di cosa parlate qui?», domandò Matt prendendo posto su una poltrona e sorseggiando un drink dal colore giallastro.
«Di quanto siano tristi le pareti verdi di questa casa», rispose Liz ironica.
«Andiamo, sono stati i miei a sceglierne il colore, non fatemi sentire in colpa», contestò Bay, e tutti insieme ridemmo per qualche secondo.
Ad un tratto Sarah alzò lo sguardo sopra le nostre spalle.
«Evan, aspetta», esclamò, e un ragazzo alto e sorridente apparve con una bottiglia di vodka tra le mani.
«L'hai portata, vero?», gli domandò poi la ragazza.
Ebbi un sussulto.
Sapevo già a cosa si riferiva, e subito migliaia di pensieri si fecero strada nella mia testa.
Guardai fugacemente Evan.
Attraente, muscoloso, iridi arrossate e due occhiaie violacee appena accennate.
Assottigliai le palpebre.
Evan, maggiorenne, alcolizzato, spacciatore, cocainomane.
Niente eroina, niente fumo, solo shot e sniffate.
Deglutii.
Posai lo sguardo su gli altri.
Li osservai.
Liz, Matt, Allison e Sarah avrebbero consumato le strisce, Baylee si sarebbe invece tirata indietro, gli occhi bassi e le mani intrecciate fra loro mi fecero capire che non aveva intenzione di deludere i genitori, sebbene la tentazione la confondesse.
Neanche Kyle si sarebbe drogato, voleva apparire per lo sportivo puro e indipendente che in realtà non era.
E io?
Io ero sempre la stessa.
Sarei stata ferma, impassibile, ad aspettare che finissero le loro dosi per poi attendere che si ubriacassero e aiutarli a tornare a casa evitando che si ammazzassero per la strada investiti da un tir.
Io non mi divertivo alle feste.
Io aiutavo gli altri a divertirsi.


La serata continuò normalmente, così come continuavano tutte le altre a cui ero abituata.
La situazione non aveva niente di speciale, accadeva esattamente ciò che ci si aspetta che accada ad una festa.
Sarah ed Evan, completamente fatti, distesi sul divano facevano unire le loro bocche a ritmo di musica house, mentre Matt e Baylee si esibivano in un ballo impacciato al centro della sala stando attenti a non far cadere i bicchieri che tenevano fra le mani.
Kyle e i suoi amici si erano invece riuniti a parlare con quelle che dovevano essere le 'ragazze da avventura' di turno, rigorosamente bionde e rigorosamente stupide – non che tutte le bionde fossero stupide.
Poi c'era Michael, degno amico di Evan, che tentava inutilmente un approccio con un paio di ragazzine del secondo anno che Baylee aveva tenuto ad invitare, entrambe truccatissime e sulla via delle altre.
Degli altri invitati neanche mi interessava, parlare con Liz con una bottiglia di birra accanto mi faceva distrarre abbastanza, tralasciando il fatto che metà delle sue parole fossero interrotte dalle risate dovute alla sniffata di poco prima e al volume troppo alto delle casse.

Dovette passare un bel po' prima che mi alzassi per andare al bagno, e lo capii dal fastidioso formicolio che pervase i miei arti non appena lo feci.
Mi incamminai lentamente verso il corridoio, barcollando per il buio e per i leggeri giramenti di testa.
Non era l'alcol, era il sonno.
Ad un tratto qualcosa di duro mi fece perdere l'equilibrio, e non mi scandalizzai quando scoprii di essere andata a sbattere contro un ragazzo accasciato per terra.
Mi scusai borbottando, non avevo tempo per occuparmi di quel disgraziato.

Poi, ecco di nuovo che spuntò lo specchio di qualche ora prima.

Lo stesso che avevo orgogliosamente ignorato, evitando di perdermi nel mio triste riflesso.

Ma stavolta niente fu in grado di impedirmi di alzare lo sguardo e avvicinarmi.

E fu un corpo vuoto quello che vidi.

Una figura scura e priva di personalità, una sagoma informe che non presentava niente di diverso dal resto, una fonte di oscurità che non riusciva a distaccarsi dal buio che la circondava.

Una comune rappresentazione di un'adolescenza anonima appesantita dal nero di tutti quei problemi che gli adulti ritenevano insignificanti, e che in fin dei conti non avevano alcun motivo di essere considerati realmente importanti.

Allungai una mano verso il vetro, e il freddo della superficie mi fece rabbrividire.

La festa di quella sera non era poi tanto diversa dalla temperatura di quello specchio.

Una festa congelata dalla musica alta e dagli sguardi persi nel vuoto degli invitati, animata da una malinconia ferma nelle occhiaie arrossate di chi sarebbe restato sveglio o nelle vene gonfie di chi le avrebbe riempite di eroina, o ancora celata in tutti quei respiri sporchi e appesantiti dall'alcol.

Scossi la testa turbata dai miei stessi pensieri, avanzando per la mia meta spinta dall'impellente bisogno di raggiungerla.


Entrai così nel bagno, aprendo la porta sbadigliando, e ritrovandomi a dover strizzare più volte gli occhi per capire cosa stesse succedendo.
Una ragazza stava vomitando, china sul water, mentre con le mani cercava di farsi forza per non scivolare.
Impiegai qualche secondo prima di rendermi conto che si trattasse di Allison, ma non appena lo capii non esitai ad avvicinarmi.
Le posai una mano su una spalla, e lei riuscì a voltarsi solo quando ebbe finito di svuotarsi.
Così due occhi lucidi e iniettati di sangue mi guardarono improvvisamente, e mi ritrovai a dover indietreggiare per paura di aver fatto qualcosa che non avrei dovuto.
Ma immediatamente sentii la debole forza di cinque dita aggrapparsi al mio braccio, e non potetti fare altro che avvicinarmi di nuovo.
Questa volta, il suo sguardo implorava aiuto, e niente fu in grado di uscire dalla sua bocca, se non gli ultimi rigetti dei troppi drink che aveva bevuto.
La aiutai quindi a sollevarsi, cingendole un fianco e portandomi un suo braccio al collo.
Lentamente la feci camminare fino alla camera di Baylee, per poi farla distendere sul letto e chiudere la porta, così da isolarla dal rumore.
«Come ti senti?», le domandai dopo qualche minuto di silenzio, sedendomi sul bordo del materasso.
La ragazza restò immobile per un po' prima di annuire e rispondermi con fatica che stava meglio.
Annuii di rimando.
La osservai più attentamente, in quella posizione mi era più semplice guardarla.
I capelli neri le ricadevano spettinati giusto sotto le orecchie, e il rossetto, color magenta, era ancora ben visibile, e spiccava nel buio del suo volto.
Gli occhi erano chiusi, e mi fu inevitabile notare il trucco pesante e ormai rovinato che li ricopriva.
Respirava lentamente, e fu gratificante sentire e vedere il suo petto alzarsi per poi sgonfiarsi verso il basso, se non addirittura rassicurante.
Ero abituata a situazioni del genere, dopotutto salvare gli altri dal coma etilico era sempre stato il mio compito.
Ma in Allison vidi qualcosa di più della semplice sbronza.
Mi resi inspiegabilmente conto che non era stato il divertimento il movente deisuoi gesti, a differenza di come è solito essere per le altre persone.
C'era della malinconia in quella ragazza, un rifiuto verso la vita, un completo abbandono all'inerzia.
E mi sentii in dovere di preoccuparmi per lei, restando al suo fianco per tutto il resto della notte, seduta per terra e con la schiena poggiata dolorosa mente al letto.     

Arriverà la primaveraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora