In teatro

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La fila di gente percorre il marciapiede per tutta la lunghezza dei due isolati che separano il teatro da casa sua.

Sono lì da due ore, in silenzio, camminando un passo dopo l'altro, lentamente. Una processione di persone. I volti contriti, gli occhi lucidi, pieni di lacrime. Qualcuno singhiozza sulla spalla dell'amico, del compagno, uomo o donna che sia.

Due ragazzi si stringono in un abbraccio struggente, cercando di farsi forza.

Lo sbigottimento, il rifiuto di accettare ciò che è accaduto, segna i visi di chi si guarda attorno smarrito.

L'hanno persa, non c'è più. Colei che gli dava forza a continuare, ad andare avanti, che dava un po' di gioia in vite in cui non c'era niente da rallegrarsi.

Tra povertà, sporcizia, disperazione, case di eternit e lamiera ondulata, la sua voce li aveva risvegliati al mattino, accompagnato il loro lavoro, fatto da colonna sonora a baci rubati o amplessi di fuoco. Era stato canto di guerra e di libertà, in un paese stretto tra le spire di una dittatura subdola e silenziosa.

Le auto percorrono la strada fermandosi davanti alla porta del teatro. Pochi secondi. Le persone a bordo inviano a un pensiero, una preghiera. Qualcuno fa cenno con il capo, qualcun altro si fa il segno della croce, altri salutano.

Il silenzio stagna come metallo liquido che cola dalle pareti dei palazzi circostanti.

Il traffico procede a rilento. Cominciano i primi ingorghi, ma nessuno impreca, nessuno suona il clacson. Sembra quasi che non vogliano svegliarla dal suo sonno.

Forse è proprio così, lei sta dormendo e non è il caso di svegliarla.

Resto sulla porta del teatro. Fa caldo, ma sento un brivido di freddo scendermi lungo la schiena. Ho bisogno di qualcosa di forte. Il bar di fronte è vuoto. Guardo a destra ed a sinistra. da entrambi i lati il lungo serpenti di facce e corpi, sembra allungarsi ad ogni minuto che passa.

Come al solito Carlos ci aveva visto giusto. Aveva detto che sarebbe stato uno di quegli eventi che nessuno avrebbe voluto perdersi. Che sarebbero arrivati da tutto il paese per vederla per l'ultima volta. Per questo aveva allestito la camera ardente in quel teatro. Il più grande del paese.

E pensare che lei ci aveva cantato solo due volte e non le era mai piaciuto. Diceva che era freddo e le faceva sentire il pubblico lontano e questo le faceva paura. Lei aveva bisogno del suo pubblico, aveva bisogno di sentirlo vicino, di sentire il suo calore, di sentire il supporto della gente.

Una cantante che aveva paura del palcoscenico. Timida, nonostante la sua energia, da farla apparire quasi spavalda, era profondamente timida.

Sapevo che non era l'unica a provarla, ma non potei fare a meno di ridere, quando me lo disse, ridemmo insieme di gusto e lei mise in mostra i suoi denti bianchissimi che rendevano quel sorriso così simile a quello di un bambino.

Carlos. Una iena. L'aveva venduta e ricomprata mille volte e lei glielo aveva lasciato fare. Era il suo agente, il suo manager.

L'aveva trovata in uno dei quartieri più poveri della città e ne aveva fatto la sua fonte di ricchezza.

Ripenso al suo volto sorridente ed il freddo si fa insopportabile.

Decido di entrare nel bar a bere qualcosa.

Accelero il passo per scacciare quel pensiero, ma non ci riesco.

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