L'incidente

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"Amelie"
Incurante degli sguardi dei passanti fissi su di me,continuai a saltellare sul posto,nel vano tentativo di scaldarmi.
Mia madre,la mia svampita madre, si era dimenticata di me,per l'ennisima volta,con il risultato di un'ora e mezza di ritardo e quasi sicuramente una mia mano in meno,o solo qualche dito,in quel gelido inverno di New York.
Quando tirai fuori impavidamento la mano dalla tasca per chiamarla,partì la segreteria con la sua voce squillante "Salve,dolcezze,non ci sono! Non richiamate,sono sicura che i Santi Spiriti mi manderanno un messaggio per comunicarmi che mi avete chiamato! B..." misi giù il telefono con un moto di stizza,rimpiagendo quasi gli sportellini dei vecchi telefoni. Con quelli almeno c'era il gusto di attacare. Ah si,mia madre era una medium,e direi anche mezza figlia dei fiori.
Fra le due,l'adulta responsabile che si occupava di tutto,ero io.
Avevo finito i soldi,e dopo circa mezz'ora mi avevano buttata fuori dal bar alle mie spalle in cui mi ero introdotta abusivamente per sfuggire al freddo gelido,la pelledel viso e delle maniche era quasi congelata.
Mentre stavo per imprecare così forte che nemmeno il nostro vicino, camionista croato,si sarebbe azzardato,una macchina rosso ciliegia con un rumore agghiacciante di freni non del tutto funzionanti, inchiodò di fronte a me.
Alzai gli occhi al cielo quando mi trovai i jeans inzuppati di neve,congelandomi ancora di più.
-Ciao,mamma- dissi esasperata salendo in macchina e ranicchiandomi sul sedile per scaldarmi.
Niente in quel momento,mi sembrò così bello come il riscaldamento acceso a palla della nostra vecchia Toyota.
-Ciao, Amelie - mi regalò uno dei suoi sorrisi entusiasti e contornati da un pesante rossetto rosa.
-Eri in ritardo,di nuovo - puntualizzai seccata. Non ero infuriata come quella volta che mi lasciò in un luna park,dimenticandomi per mezzo pomeriggio, ma quasi.
Da allora, ho cominciato a portare io le chiavi della macchina in tasca. E della casa. E qualsiasi cosa potesse servirle per muoversi lontano da me troppo in fretta.
-Oh,scusami tesoro, stavo facendo una seduta e...-
-Di quasi due ore,Barbara- la interruppi,chiamandola per nome, per sottolineare la gravità della cosa.
Era raro che la chiamassi per nome, ma era come una bambina. Se le chiamavo per nome,capiva di essere nei guai.
Vidi le labbra colorate piegarsi all'ingiù e le lunghe dita coperte di anelli tamburellare sul volante.
-Mi dispiace davvero...- disse tenendo la frase in sospeso,ma, non sentendo alcuna mia risposta, si girò a guardarmi mentre io fissavo le mie mani.
Sospirai ancora. -Mamma...dobbiamo parlare..- non finii la frase,degluetendo a vuoto.
Erano tanti anni che avrei voluto andarmene da quella casa,e prendere alcune distanze da mia madre,e ora ne avevo l'opportunità.
Il problema? Lily. Chi era Lily? La ragazza più dolce dell'universo.
La persona che mi aveva salvata,la ragazza che amavo più di me stessa.
La mia Lily.
Anche senza guardarla sentii mia madre irrigidirsi e l'aria crepitare di tensione accumulata nel tempo.
Sapeva già cosa volevo dirle,ma ciò non significava che lo accettasse. Era un po'...antiquata e chiusa su questo punto di vista.
-Mamma..io me ne vado- mormorai piano,ma con voce ferma e decisa. -Vado a vivere con Lily,come ti avevo già detto mesi fa.- dissi con voce un po' più alta,sperando che non mi cedesse.
Se non lo avesse accettato,mi avrebbe buttata fuori di casa quel giorno stesso.
Ed era in programma la seconda opzione; Lily mi aspettava già nella nostra futura casa,un buco di appartamento in periferia,ma che a me sarebbe sembrato il paradiso con lei al mio fianco.
-No.- dissea bassa voce,le labbra strette e pallide sotto il rossetto. -Tu non te ne vai di casa.- il tono duro e tagliente come un coltello.
-Io voglio andarmene,voglio andare a vivere con Lily,voglio uscire da casa tua- le risposi,la voce più alta e presa dall'emozione.
Mia madre si girò di scatto verso di me.
I capelli scarmigliati e gli occhi,un tempo dolci con tutti,ora li vedevo come due pietre dure come il diamante e freddi come il ghiaccio.
Le labbra, tirate di solito in sorrisi dolci e cordiali per i clienti,più raramente per me, erano rigide.
Mi puntò un dito contro e dischiuse la bocca per parlare,forse per inveirmi contro.
Ma io non lo seppi mai,perchè,in una frazione di secondo, mentre mia madre era distratta a guardarmi e probabilmente ad odiarmi,un boato ci assordò e la macchina venne sballottolata con noi dentro mentre girava su se stessa,le ruote stridevano producendo un fumo che oscurava la vista già ofuscata.
Sentii delle urla,di mia madre e una che subito non riconobbi,ma che capii mia.
L'adrenalina mi pompava nelle vene e afferrai il volante facendolo sterzare,per fare fermare la macchina o almeno per raddrizzarla.
Ma ciò portò solo a farci sbattere contro un muro laterale.
Il rumore di lamiera accartocciata e l'odore di fumo furono l'ultima cosa che sentii,prima che il buio si chiudesse attorno a me.



Spero che vi sia piaciuto, lasciate pure una recensione! Ho deciso di rivisate il personaggio di Alec Lightwood,in modo femminile e costruirci dietro una storia! Buona lettura cari Con il supporto di Nightlight (scrittrice e parabatai)  

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