Il nuovo arrivato!

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I banchi di scuola sono sempre così freddi e legnosi, scomodi e per nulla buoni come letti.
Anche le sedie le trovo particolarmente inutili. Perché non mettere un qualche tipo di cuscino? I professori possono tenere sempre quelle belle poltrone imbottite, e noi dobbiamo sentirci il sedere schiacciato, e la schiena a pezzi.
Sospirai appena e mi alzai con un leggero scatto della seggiola.
La campanella era ormai suonata, e l'unico rimasto in classe, ovviamente, ero io.
Non che mi piacesse, solo non mi andava di prepararmi di tutta fretta, ed aspettavo sempre l'ultimo minuto per iniziare a riporre la mia roba. Oltretutto fuori stava piovendo.
Un secondo sospiro lasciò le mie labbra, e trascinando i piedi a terra riuscii a raggiungere l'uscita della classe. Scesi le scale, attraversai il lungo corridoio ancora affollato di studenti,  e tra spinte e spintoni mi feci spazio all'esterno.
L'odore della pioggia: fresca ti riempiva le narici. Non sapevo come descriverlo, ma in qualche modo mi faceva sentire bene.
Era un mix di emozioni contrastanti.
Frugai distrattamente nella borsa e tirai fuori l'ombrello rosso scuro che avevo comprato giusto qualche giorno fa.
Era adornato con qualche macchietta nera a formare delle piccole impronte di gatto. Il negoziante diceva che sembrava fatto apposta per me, ma sinceramente non capì, e non capisco tuttora perché. Io non somiglio ad un gatto.

Le gocce scivolavano lente sopra la superficie impermeabile dell'ombrello, e piano cadevano ritmicamente sulla punta del mio naso, oppure lascive circondavano il mio braccio e lo bagnavano fino alla manica.
Stava diluviando.

Riuscii a rifugiarmi all'interno del negozio dove lavoravo part-time, prima che una seconda ondata di pioggia travolgesse me ed il mio povero ombrello, così zuppo da fare una pozzanghera all'ingresso.
Il mio cappotto era decisamente bagnato, con le maniche che grondavano acqua, ma non importava.
Lo avrei messo su un termosifone e avrei aspettato.
Posai dunque la mia roba,e con uno scatto felino mi allontanai dal bancone, scendendo le scale che portavano al ripostiglio. Oh no, scusate "spogliatoio dei dipendenti" -era il vecchio ripostiglio, dove tenevano scope, scopini, mochi... Ah no. Li tengono ancora. Questo già di per sé dovrebbe far capire, che il negozio, non andava poi così bene-.
Avevo quasi corso, e tutto perché non avevo voglia di incontrare e salutare il direttore generale.
Il mio capo è una donna, la signora Elenè, ma colui che ha davvero possesso dell'attività è un uomo: Lev Haiba.
Aveva un viso strano: era troppo perfetto, con quei capelli color grigio chiaro, e quegli occhi azzurri. Sembrava di potersi specchiate nel mare, se lo si fissava troppo a lungo.
Era giovane, ma nonostante tutto aveva già ereditato la società del padre. Non stava andando bene, ma quel ragazzo era riuscita a risollevarla in alcune zone. Non qui, ovviamente.
Era una catena di pasticceria/pizzeria molto famosa, ma poco apprezzata.
Si chiamava: Sweet and chips.
Era un nome divertente, che colpiva. O almeno così dicono. Lo trovo un nome come un altro, forse anche banale, o stupido.
Ma torniamo al problema principale: perché lo evito?
Il discorso è molto semplice. Quegli occhi mi mettono a disagio. Il suo modo di fare mi mette a disagio. Tutto di lui mi mette a disagio.
Mi guarda come se fossi una preda, e poi sfodera quel sorriso ammaliante.
Disagio.
Elenè mi ripete ogni volta di aver fatto "colpo", ma qualcosa non mi quadra in lui. Non mi fido. Mi spaventa.

Mi tolsi la giacca, sfilai la maglietta, e calai i pantaloni.
Ecco, ora dovevo solo trovare la divisa da lavoro.
Facevo il cameriere, in teoria, ma in pratica svolgevo anche un extra - non retribuito, parliamone- come assistente chef.
Eravamo molto a corto di personale.
Afferrai la camicia bianca, e sentii spalancare la porta.
Sgranai gli occhi per la tensione.
Di solito non scendeva mai nessuno lì, o almeno non a quell'ora.
Che fosse il signor Lev?!
Girai lo sguardo verso lo sconosciuto, ma non lo riconobbi.
Non era Lev, non era Elenè, e non era nemmeno Yamamoto, lo chef.
Era...un ragazzo, che mi fissava a bocca semichiusa.
Aveva gli occhi scuri, sembravano carbone, o catrame bollente.
Non so spiegare bene il motivo, ma un brivido attraversò il mio corpo non appena incrociò il suo sguardo.
Dopo secondi di silenzio imbarazzante, tornai alla mia camicia.
La infilai, sistemai le maniche, chiusi bene i bottoni, e passai al gilet nero.

Il ragazzo nel frattempo si era avvicinato, e continuava a guardarmi insistentemente.
Forse si aspettava un qualche tipo di rimprovero, o magari di accoglienza?
Non sapevo se fosse un cliente o meno, ma non avevo alcuna intenzione di rivolgergli la parola.
Avrei fatto presente la sua presenza ad Elenè, però.
Questo era ovvio.
Infilai i pantaloni neri, leggermente lucidi. Legai i capello biondi in un codino basso, e mi avviai all'uscita.
Solo a quel punto sentii una voce molto mascolina chiamarmi.
Il suo tono era basso, ma fermo.
Quasi autoritario.

« aspetta. » disse avvicinandosi.
Oh, voleva delle indicazioni? Proprio adesso?
Mi girai verso di lui e riposi il cellulare in tasca -mentre salivo le scale volevo giocare un po' ai videogames, ma a quanto pareva non sarei risalito molto presto-.
Il ragazzo si avvicinò ancora di un passo prima di parlare.

« mi chiamo Tetsurou. Kuroo Tetsurou.
Sei tu Kenma Kozume? »

Ora ero decisamente confuso.
Perché conosceva il mio nome?
Vedendo la mia espressione di disagio, il ragazzo continuò a parlare, sorridendo.
No, non sembrava un bel sorriso. Sembrava più un ghigno. Non mi piaceva.

« sono il Nuovo cameriere, e aiutante chef.»

No. Quel tipo non mi piaceva affatto.

Quel tipo non mi piace... (Kuroken)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora