Lo odio

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Cercavo come un disperato dentro l'armadietto, ma della mia maglietta nessun segno.
Mi guardai intorno e sentii il suo sguardo sul mio corpo seminudo, ancora una volta.
Mi girai verso il proprietario di quelle occhiate indesiderate, ma invece di trovare Kuroo trovai il signor Lev. I suoi occhi erano così magnetici, e così assorti a contemplare la mia pelle da cima a fondo. Lo vidi mordere il labbro per pochi secondi, poi si risvegliò dalla sua fase di trance, e portò lo sguardo ad incatenarsi al mio.
Io rimasi in silenzio, senza parole, con ancora la camicia bianca in mano.
Avanzò di un passo e sentii il bisogno di scappare, come se uno squalo stesse per divorarmi; ma allo stesso tempo sentii come se il mio corpo fosse andato a fuoco.
Le sue intenzioni erano chiare al mio subconscio, all'istinto primitivo che, bene o male, abbiamo tutti. Al mio inconscio no, però, ed a quanto pare nemmeno alle mie gambe dato che non si volevano allontanare.
Immerso nei pensieri non mi ero accorto di quanto ormai fosse vicino, così vicino da sentire il suo respiro contro la mia pelle, e le sue mani ad accarezzare le spalle esili.
Socchiusi gli occhi, ma intravidi Kuroo entrare dalla porta: aveva la bocca semiaperta, gli occhi sgranati, ed un'espressione di fastidio dipinta in volto.
Si avvicinò anche lui a gran passi, e fece anche molto rumore, tanto che Lev dovette rimettersi composto, con le mani a scivolare lungo i fianchi.
I loro occhi si incontrarono e vidi l'odio passare per l'uno e per l'altro.
Rimasi ad osservarli come se nulla fosse successo, ed in un certo senso non era successo nulla. Sembrava così irreale, come se avessi vissuto un sogno, e mi fossi svegliato ora.
Kuroo continuò a guardare il signor Lev, almeno finché non lasciò la stanza, lasciandoci soli.


<< Ti ha fatto qualcosa, Kenma? >>



La sua voce risuonò dolce, ma autoritaria come al solito. Sembrava preoccupato, oltre che irritato. Potevo notare il modo in cui stava cercando di trattenersi dall'urlare, o probabilmente dal prendere a pugni qualcosa.
Mi accigliai ed alzai le spalle in modo disinvolto.
Mi girai di spalle e, finalmente, notai la maglietta: era appallottolata sul fondo dell'armadietto.
La infilai e chiusi l'anta d'acciaio, slegando i capelli biondo tinti.


<< Non mi ha fatto nulla. >>


Mi limitai a rispondere, infilando anche le scarpe da ginnastica con cui ero arrivato.
Presi di nuovo in mano l'ombrello rosso, e vidi il viso di Kuroo rilassarsi per qualche millisecondo. Durò davvero poco, probabilmente perché vedendo il modo in cui stavo ignorando la cosa si irritò maggiormente.
Sbatté la porta del suo armadietto e si passò una mano tra i capelli neri, gellati.
Deglutì in un modo rumoroso e davvero fastidioso.

<< Ah! Quindi quello non era nulla? Allora fallo fare anche a me, no? Non è nulla, giusto?! >>

Il suo tono era molto più alto adess, ed un po' mi metteva paura. Non capivo cosa volesse, non ci conoscevamo nemmeno. Ci eravamo appena incontrati, ed eravamo solo colleghi di lavoro, non aveva il diritto di intromettersi così nelle mie faccende private.
Strinsi i denti ed afferrai il giacchetto scuro. Lo misi e mi avviai all'uscita, ma prima di andarmene dissi un'ultima cosa, giusto per fargli abbassare la cresta.


<< Non so di cosa tu stia parlando. Il signor Lev non mi ha fatto nulla, e poi cosa vorresti fare tu? Ti rendi conto che ci conosciamo da appena sette, otto ore? Non sono affari tuoi, questi.>>

Risultai davvero freddo, tagliente, come una freccia scoccata in pieno petto. Centrato.
Lo vidi con la coda dell'occhio: stringeva un pugno contro l'armadietto, mentre il viso era scuro e dispiaciuto.
Aveva capito che non era assolutamente nella posizione di poter dire qualcosa.
Era uno sconosciuto per me.
Salii le scale in modo pesante, rigido, ma non mi sentivo in colpa.
Non ne avevo alcun motivo, avevo solo esposto i fatti.


Una volta tornato a casa accesi subito la console, infilando uno dei miei videogames preferiti nel lettore.
Presi il controller e quasi non lo baciai. Mi sembrava un'eternità passata lontana da lui.
Accarezzai  i tasti, poi premette quello al centro per far partire il gioco.
Solo così mi sentivo tranquillo, rilassato, sereno.
Giocare mi aiutava a distrarmi dalla vita reale, quella dove non c'erano istruzioni, dove non ti insegnavano i tasti per far sì che tutto fili liscio, con la vittoria assicurata.
Nella vita non potevi salvare un determinato evento, e giocarlo più volte, oppure decidere di giocarlo dopo. Non potevi mettere in pausa quando volevi, ma soprattutto se morivi non potevi tornare in vita.
La vita era troppo complicata, era un gioco dove non sembrava esserci una vittoria, o delle mosse giuste e sbagliate.
A quanto dicevano in molti nella vita si perdeva e basta, ed io odiavo perdere.

Era mezzanotte passata ormai, ed io non avevo ancora cenato.
Un brontolio piuttosto imbarazzante si levò dal mio stomaco, e richeggiò nella stanza come un urlo disperato.
Sospirai e misi in pausa proprio sul più bello. Dovevo sbrigarmi, non potevo permettere che i miei bisogni da umano normale, mi distraessero dal poco tempo che avevo da dedicare ai videogames.
Mi alzai molto velocemente e mi diressi in cucina: mi bastava una cosa qualsiasi, niente di cucinato o troppo impegnativo. Forse avevo ancora del ramen in scatola.
Presi una sedia e la appoggiai al mobile, ci salii sopra e mi allungai per arrivare allo sportello più alto.
Nulla, oltre polvere e ragnatele non sembrava esserci nient'altro in quella credenza.
Passai una mano sul volto. Mi sarebbe toccato uscire, se non volevo cucinare.
Un rumore attirò la mia attenzione, però. Sembrava avessero bussato alla porta del mio appartamento.
Scesi da quella posizione precaria che avevo assunto per cercare del cibo, ed andai a vedere.
Chi poteva essere a quell'ra della notte?
Posai una mano sulla maniglia, lasciato però inserito il catenaccio in caso avessi dovuto chiudere di fretta.
Presi un gran respiro, poi aprii.
Una chioma nera ondeggiava  sotto la pressione del vento, mentre le mani erano tese e con un sacchetto bianco tra le mani.
In viso aveva un gran sorriso, e gli occhi sembravano piuttosto stanchi.
Rimasi immobile a contemplare la sua figura, poi chiusi di scatto la porta con un sonoro tonfo.



<< Oh, dai micino! Non fare così, ti prego aprimi, dai! Ti ho portato anche del buonissimo sushi, su! Hai gatti non piace il pesce...?>>


A quelle parole chiusi anche con il lucchetto, tanto per fargli capire che non avevo alcuna intenzione di farlo entrare.
No, non dopo la scenata che mi aveva fatto negli spogliatoi.
Come osava Kuroo presentarsi a casa mia, con quale faccia tosta.
Il mio stomaco brontolò ancora più forte, e l'odore del sushi mischiato alla salsa di soia mi arrivò come un pugno in pieno viso, o in pieno stomaco.
Tolsi il catenaccio, la catena, ed aprii la porta.
Cercai di afferrare la busta per chiuderlo nuovamente fuori, ma sembrò come prevedere i miei movimenti, ed infatti mi spostò di lato per entrare, sollevando le vaschette in aria.
Aprii la bocca per parlare, ma come al solito lui mi interrompeva.

<< Ascolta, mi dispiace per oggi.
Sono venuto qui per farmi perdonare, e per dirti che hai ragione: non ci conosciamo nemmeno, non posso farti una specie di paternale, o di scenata. Perciò sono venuto qui. Sono venuto qui per conoscerti, e conoscerci a vicenda! Così poi riprenderemo il discorso su cosa ha fatto/ non ha fatto quel damerino dai capelli bianchi>>.


Rimasi davvero a bocca aperta. Era serio? No, ditemi che non era serio.
Non potevo credere a ciò che stavo ascoltando.
Era venuto solo per farmi arrabbiare ulteriormente con lui?
Decisamente io odiavo quel tipo!

Quel tipo non mi piace... (Kuroken)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora