Capitolo XVI

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La figura che mi trovo davanti è enorme. E' alta con le spalle larghe, se non fosse per la delineata forma dei muscoli si potrebbe facilmente scambiare per un armadio a due ante. E' impressionante quanto i suoi occhi perfidi mi ricordino quelli di Raphael. La bocca dell'angelo che mi sovrasta si contorce in un ringhio. Muove un passo nella mia direzione, il terreno sotto i miei piedi si muove pericolosamente rischiando di farmi perdere l'equilibrio. Mi giro alla ricerca di mia madre e di Raphael. Non li vedo. Un'ondata di angoscia mi travolge, sono sola. Cerco di distrarmi da questa stretta disarmante e di applicare ciò che ho appena appreso. Apro una piccola fessura nella mia barriera e provo a spingere fuori la rabbia repressa. Mi torna in mente l'ultima volta che feci uscire la mia rabbia. La sofferenza che creai a Michael. Scaccio quel pensiero dalla testa, ma è troppo tardi, la paura e la tristezza si impadroniscono di me sostituendo la rabbia dal mio petto. Faccio un respiro provando a riprendere la concentrazione persa. Non ci riesco. Improvvisamente un dolore acuto mi dilania la mente. Non credo di aver mai sentito così tanto dolore in una sola volta. Stramazzo per terra contorcendomi come una mosca che si brucia nel lampadario. Mi sforzo di non perdere i sensi. Se voglio salvarmi devo rialzarmi, devo concentrarmi per chiudere quel piccolo spiraglio della mia barriera che lentamente si sta allargando. So che se lasciassi cadere il confine fra la mia testa e quella del mio nemico morirei, ma non soffrirei più. Questo pensiero galleggia nella mia testa, diventa sempre più allettante. Tutti i problemi non ricadrebbero più sulle mie spalle, il dolore abbandonerebbe il mio corpo e... no, non posso. Dopo cosa farebbe Michael? E mia madre? Non riesco più a ragionare, il dolore si intensifica facendo uscire dal mio petto un urlo straziante. Sento il mio grido come fosse di un'altra persona. Sento la mia anima uscire insieme a quell'urlo. Il mio petto si alza togliendomi il respiro, la vista già da prima appannata si trasforma in un velo nero, sento un rivolo di sangue colarmi dalla bocca. Respiro a fatica. Attraverso il velo nero che mi oscura la vista intravedo un arma lucente pronta ad abbassarsi e a dilaniare il mio petto. Percepisco la morte fluire nelle mie vene. La mia vita sta per concludersi. Vorrei chiudere gli occhi ma sento una forza più potente che mi obbliga a tenerli aperti per vedere il viso dell'uomo di cui mi dovrò vendicare una volta andata in pace. Sembra che si sia fermato il tempo. La lama non si abbassa, torturandomi per l'attesa oltre che per il dolore del corpo. Succede tutto in una frazione di secondo. Vicino a quell'arma lucente appare un puntino dorato. Gli occhi gelidi del mio avversario perdono il loro colore e la loro intensità. La mente smette di dolermi, il velo nero davanti alla mia vista si abbassa leggermente dandomi la possibilità di vedere l'arma che cade verso il mio petto. Il mio corpo si muove da solo, rotolo da una parte, ma non abbastanza velocemente. Un dolore straziante mi pervade il braccio sinistro, di scatto mi volto verso di esso e inorridisco. Vedo l'arto coperto di sangue, tranciato da quella maledetta arma. Il sangue continua ad uscire dalla ferita provocandomi un conato di vomito. Le forze mi abbandonano, non ho neanche la forza di gridare. Chiudo gli occhi, mi sento morire. 

Non ho ancora la certezza di non essere morta. Vedo solo rosso e un'immagine che mi perseguita. Sangue, sangue ovunque. L'odore pungente, quasi metallico, il rosso sangue, il tatto viscido e bagnato e poi, la cosa più terribile, quegli occhi rossi accompagnati da una risata. Una risata dominata dalla perfidia. Sento ancora la ferita inflittami dal guerriero. Mi chiedo se mai si rimarginerà. D'improvviso un respiro mi scoppia nel petto e uno sputo di sangue mi esce dalla bocca inseguito di un colpo di tosse. Gli occhi mi si sbarrano rendendomi partecipe della realtà.
Mi trovo sotto una luce tanto forte da accecarmi. Eppure lo sguardo mi cade sul braccio ferito. Lentamente metto a fuoco. La parte interna di esso è attraversata da una linea nera lunghissima, da metà bicipite a metà avambraccio. Attorno alla riga nera c'è un alone rosso piuttosto evidente. Muovo lentamente il braccio e lo giro dalla parte esterna. L'orrore si impadronisce di me. Anche l'esterno è nella stessa situazione! Mi rendo conto solo ora. L'arma mi ha trapassato completamente il braccio. Vado alla ricerca di altre ferite nel mio corpo. Fortunatamente intravedo solo piccoli tagli e grandi lividi, niente di grave. Sento le voci di Raphael e di mia madre avvicinarsi.

"E' fortunata ad essere ancora viva. Un braccio trapassato da una lama angelica, l'altro rotto più due costole incrinate. Per di più quel mostro le ha quasi spezzato la testa in due."

"Sì, ma grazie al cielo Aria è forte e..."

"Grace, non sappiamo ancora come si sveglierà. Non voglio essere pessimista, ma potrebbe anche aver perso il lume della ragione... essere diventata pazza"

"NO! So che non è così! Riesco ancora a percepire la sua mente, ed è sana. Come è sempre stata"

Vorrei urlare, vorrei avvertire mia madre che sono sveglia e che non si deve preoccupare, ma non ne ho la forza. Provo a contattarla con la mente. Non so come, ma invece di contattare mia madre il segnale raggiunge Raphael. Sento la sua voce urlare

"Corri! E' sveglia!"

La porta della stanza in cui mi trovo si spalanca sbattendo contro al muro e provocando un rumore assordante.

"Aria?! Stai bene?"

Nonostante sia sveglia da qualche minuto non ho la forza di parlare. Decido così di fare un piccolo cenno affermativo con la testa. Provo a mettermi seduta ma mia madre mi blocca

"No, sei troppo debole, rischi di aggravare la situazione"

Vedo il viso ringiovanito di Raphael aggrottato in una smorfia di preoccupazione, incrociamo lo sguardo. Lui fa il giro del letto e si avvicina a me dalla parte opposta di mia madre. Mi prende poi la mano e me la bacia. Attraverso quel contatto sento una sensazione strana, come una specie di formicolio. Il suo sguardo non fa altro che rafforzare questa sensazione. 

"Ehi piccola. L'hai presa tosta stavolta."

Trovo la forza di rivolgergli un piccolo sorriso. Lui ricambia incuriosito da quel mio piccolo gesto. Mia madre si alza

"Raphael, andiamo, lasciamola riposare, come dici tu, ha preso una bella batosta."

Raphael mi rivolge un ultimo sguardo carico di quella cosa a cui non ho ancora dato un nome, e poi segue mia madre fuori dalla porta. Cado in un sonno senza sogni.

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