Capitolo 11

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[Third Person POV]

 

Jimin prese fiato.

Incanalò tutto l’ossigeno possibile, aria autunnale fredda e fastidiosa, atmosfera tesa. Strinse i pugni, nascosti nelle tasche del cappotto, e alzò lo sguardo. Due occhi pieni di aspettative fissi nei suoi: un bel luogo in cui perdersi, pensò.

«Deve finire.»

Taehyung è immobile, davanti a lui. Portando a mano ancora la valigia, reduce da ore di sonno negate e da un viaggio di ritorno condiviso con Yoongi e una vecchia compagna di vita, l’ansia.

Le parole di Jimin vengono accolte da un’espressione innocente di incomprensione, accompagnate da una piccola apertura della bocca, confusione e preoccupazione sempre più ovvie.

A quella visione, Jimin sospirò. Affondando le mani chiuse nelle tasche profonde, recuperando ogni briciola di coraggio e volontà. Mantenne il contatto visivo, per quanto la previsione della reazione che sarebbe comparsa in quegli occhi potesse ferirlo.

«Questa situazione tra noi due, qualsiasi cosa sia.. Siamo migliori amici e i migliori amici non fanno ciò che facciamo noi. Tae, torniamo ad essere quelli di prima.»

La delusione non fu la prima sensazione a colpirlo. Quando Taehyung comprese il significato di quelle parole, ogni speranza, ogni aspettativa, ogni piano progettato per quel giorno, per quel confronto, finì in mille pezzi. Si definì patetico per aver creduto in una possibilità, dignità e amor proprio uniche ancore che lo trattennero dal lasciar fluire liberamente le lacrime. L’odio che provava poteva solo essere indirizzato verso se stesso, Jimin non aveva colpa, era sempre stato ben chiaro riguardo le sue intenzioni. Si definì stupido, e incosciente, e sognatore: la rabbia si fece lentamente spazio nel suo petto, spingendolo a rispondere. A finire la conversazione in fretta, a raggiungere una qualsiasi stanza vuota e lasciarsi andare.

«Se è ciò che vuoi, Jimin-ah.»

Taehyung ringraziò gli anni di canto e la sua capacità di regolare la voce nonostante le condizioni fisiche. Perché in quel momento, se non fosse entrata in gioco la sua esperienza nel settore, il giovane avrebbe mancato una nota, spezzando la naturalezza della frase e mostrando come no, non era ciò che voleva Taehyung.

La serietà dell’amico rese Jimin più convinto nella sua decisione. L’espressione di Taehyung era indecifrabile, benchè i suoi occhi cercavano di non incrociare quelli dell’amico.

«Ok, allora.»

«Ok.»

Chiuso il discorso, Taehyung avanzò e superò l’amico sulla soglia della porta, dirigendosi verso la loro camera. Dopo aver notato il suo comportamento freddo, Jimin uscì dall’appartamento, diretto verso lo studio. Cercò di passare la giornata lontano e impegnato, convincendosi di aver fatto la cosa giusta.

Rifiutandosi di riposare e metabolizzare quanto appena accaduto, Taehyung iniziò a disfare la propria valigia. La realtà lo colpì sotto la forma di un cappello verde comprato in Giappone, mentre appoggiava i vestiti nell’armadio, indumento ben noto al giovane. Taehyung vide comparire piccoli cerchi bagnati sul materiale stretto nelle sue mani, il verde scuro attaccato da particelle d’acqua indesiderate. Portandosi una mano al viso, si pulì le guance dalle lacrime.“Don’t pine for me”

È orribile come oggetti di un passato felice abbiano il potere di renderci tristi e nostalgici riguardo il presente. L’ironia della scritta non bloccò il pianto di Taehyung, il quale decise di abbattere ogni difesa, ogni parete, e di lasciarsi travolgere dai pensieri. I ricordi non resero più facile il processo.

your heart fits like a key  | vminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora