Capitolo I - Si vive insieme, si muore soli parte 1

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« È una storia da dimenticare

È una storia da non raccontare

È una storia un po' complicata.

È una storia sbagliata.

Cominciò con la luna sul posto

E finì con un fiume d'inchiostro.

È una storia un poco scontata.

È una storia sbagliata »

Una storia sbagliata – Fabrizio De Andrè

Diagon Alley non era altro che un cupo agglomerato di casupole plumbee e vecchi negozi dai muri incrostati e dagli interni polverosi. Gli antichi sogni di gloria che aveva vissuto, e che molti maghi ricordavano ancora, si erano infranti insieme ai vetri delle botteghe che un tempo costeggiavano la strada. La luce era diventata presto memoria sbiadita: uno spesso strato di nuvole copriva il cielo ormai grigio del luogo. Il sudiciume aveva preso possesso di ogni mattone, incuneandosi tra gli stretti vicoli che separavano le dozzinali case dalle finestre ricoperte di sporco, e rigagnoli fangosi scivolavano lungo le strade, tuffandosi in pozzanghere dall'aspetto altrettanto lercio. Il lezzo che si respirava, un misto di denso putridume e afrore grasso, marciume e sudore, era il risultato di anni di incivile incuria e sporcizia accumulata. L'opaca fuliggine dell'aria era stemperata solo da vaghi e incerti sprazzi di cielo che si intravvedevano tra un tetto e l'altro.

Una figura incappucciata si muoveva furtivamente tra i vicoli cupi, le braccia avvolte attorno a un fagotto che emetteva piccoli lamenti inconsistenti. Il mantello che ricopriva il viso della strega scivolò indietro, rivelando una ciocca di ricci neri e una pelle di pesca, imbrattata qua e là da macchie di terra e fuliggine. Un vagabondo, fermo in un angolo nella vana speranza di ottenere un po' di elemosina, le sorrise, scoprendo la macchia scura di un dente mancante e indirizzandole proposte oscene. L'unica risposta che ricevette fu un mugolio – la lingua stretta tra i denti e l'orgoglio sepolto sotto terra. La giovane donna arricciò il nasino, sistemò meglio il cappuccio sul capo e, dopo aver sussurrato dolci parole al fagotto che stringeva tra le mani, proseguì a passo spedito verso il piccolo negozio che occupava il fono della via.

L'insegna della farmacia doveva aver conosciuto senz'altro tempi migliori, e di sicuro un tempo le vetrine erano stato pulite, perché tra le macchie di unto e sporco riuscivano ancora a intravvedersi flaconi di unguenti miracolosi e pubblicità che promettevano risultati definitivi contro la maggior parte delle malattie del mondo magico.

Quando la strega spinse la porta, uno scampanellio stranamente allegro e dissonante annunciò il suo ingresso. Un untuoso ometto spuntò all'improvviso da sotto il bancone, sistemandosi sul naso gli occhiali dalle spesse lenti e rivolgendo alla donna un'occhiata sospettosa. Ne sondò per qualche istante il volto in penombra, soffermandosi sui ricci scomposti e sugli occhi sfuggenti, per poi abbassare lo sguardo sul fagotto.

« Come posso aiutarla? » domandò con tono professionale, il dubbio un'acquosa nota di sottofondo che non intimorì la giovane.

Hermione trasse un respiro profondo e si avvicinò un po' di più al bancone. Un cono di luce le colpì il profilo dritto e la bocca morbida, rivelando un viso dai tratti fini e delicati e uno sguardo deciso e profondo. Con una leggerezza delicatissima poggiò il fagotto sul legno liscio del tavolo, sotto gli occhi attenti e curiosi del farmacista; poi, scostò un lembo.

L'uomo emise un mugolio a metà tra il sorpreso e l'infastidito quando il minuto visetto di un neonato fece capolino dal mucchio di stracci che ne avvolgevano il corpicino. Aveva un colorito pallido e guance fin troppo scavate per un bambino della sua età: era evidentemente malato.

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