Non avessi una volta una gioventù graziosa, eroica, favolosa, da scrivere su foglia d'oro, - troppa bontà! Per quale errore, quale delitto, ho peritato la mia attuale debolezza? Voi che affermate che le bestie innalzano singhiozzi di dolore, che i malati disperano, che i morti sognano male, cercate di raccontare la mia caduta e il mio sonno. Quanto a me, non posso spiegarmi più di quanto lo possa il mendicante coi suoi continui Pater e Ave Maria. Non so più parlare! Eppure, oggi, mi sembra di aver terminato il resoconto del mio inferno. Era proprio l'inferno; l'antico, quello di cui il figlio dell'uomo aprì le porte. Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si risvegliano nella stella d'argento, sempre, senza che i Re della vita mi scuotono, i tre magi, il cuore, l'anima, lo spirito. Quando andremo, oltre i greti oltre i monti, a salutare la nascita di un compito nuovo, la saggezza nuova, la fuga dai tiranni e dai demoni, la fine della superstizione, ad adorare - noi primi! - Natale sulla terra! Il canto dei cieli, il cammino dei popoli ! Schiavi, non malediciamo la vita.
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Arthur Rimbaud - Una Stagione all'inferno
PoetryTesto originale di Rimbaud, da me solo ricopiato dalla versione italiana di Pierre Lepori, per riproporlo su questa piattaforma. Adatto a chi ama i poeti maledetti...