Capitolo 1.

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Le strade di Manhattan brulicavano di persone che si muovevano ritmicamente come all'interno di un gigantesco alveare. Sui marciapiedi, centinaia di passanti accelleravano il passo per non arrivare in ritardo. Gli automobilisti gridavano furiosi agitando le braccia fuori dai finestrini, cercando di far smuovere la colonna di macchine ammucchiata sulle strade. Il ritmo era veloce, lo era sempre. Il tempo era più prezioso dell'oro. Perché il tempo è denaro, il tempo era successo, il tempo era sempre insufficiente. Non bastava mai. Vivevo in un contesto nel quale le riunioni e i colloqui di lavoro erano più importanti dei bambini. La sera, appena tornati a casa, i genitori non avevano tempo per giocare con i propri figli, perché erano talmente stanchi, da crollare sul divano di fronte ad un televisore che trasmetteva le notizie locali. Ricordo bene la faccia di mio padre quando tornava a casa la sera. Le rughe attorno al viso sembravano ancora più marcate, e gli occhi, iniettati di sangue, sembravano non aver visto sonno da giorni. Mia madre lavorava in una grande azienda che produceva scarpe. Ricordo di esserci stata una volta o due. Sembrava un grande contenitore grigio e spoglio. Un'immensa stanza in cui tutto si muoveva, ma era così immobile, da sembrare soltanto apparenza. La sera quando tornava a casa, salutava la nonna con cui avevo passato la giornata, e appena lei andava via, si accasciava lungo la porta. Quando però sentiva i miei piedini venire a contatto con il parquet, si alzava di scatto, e tirava un sorriso, cercando di rendere meno evidenti i segni della stanchezza. Così faceva anche mio padre, che mi abbracciava forte, prendendomi in braccio subito dopo. Era il 27 marzo. La casa sembrava così fredda e vuota da quando la nonna stava male, io mi sentivo sola più che mai. La signora Willer, una amica della mamma, dormiva beatamente sul divano, emettendo dei rumori che sembravano dei profondi grugniti. Avevo provato a svegliarla un paio di volte, ma non ci ero ancora riuscita. Avevo preparato un bel disegno per la mamma, un ritratto della nostra famiglia. Dietro al foglio c'era una scritta che recitava "Alla mamma più bella e brava del mondo! Da Kate"
Kate era un bel soprannome con cui mi chiamava sempre, il mio vero nome, Katelynn, era molto lungo e ancora non avevo ben presente come scriverlo correttamente. Le ore passavano e la mamma non faceva ritorno. Avevo l'impressione che fosse tarda sera, dato che la luce era quasi del tutto sparita. Ero preoccupata per lei, non volevo che degli uomini cattivi le facessero male ancora, come era successo qualche settimana prima. È per questo che presi il mio zainetto, ci infilai il mio disegno, afferrai Ciuffo, il mio panda di peluche, aprii silenziosamente la porta ed uscii dal mio condominio. I miei passi rimbombavano nella tromba delle scale, ma io, ostinata come un mulo, mi alzai sulle punte ed uscii dal complesso. Sapevo più o meno come trovare la fermata della metropolitana, ci andavo quasi tutte le mattina con mamma per andare al mio asilo. Il posto non era distante, avrei soltanto dovuto prendere una metro, per andare a vedere se al lavoro andava tutto bene. Le avrei fatto una bella sorpresa. In poco tempo mi ritrovai a fissare l'imboccatura della metropolitana. Scesi saltellando le scale e mi ritrovai di fronte ad un tornello di metallo che aggirai senza troppa fatica. Strinsi più forte il mio piccolo Ciuffo e osservai tutte le vie che portavano ai binari delle metropolitane. Il mio piccolo naso all'insù, captava l'odore delle gomme da masticare attaccate al pavimento e un mix di nauseanti profumi provenienti dalle donne che attendevano pazienti. Mi avvicinai a un binario, mi sporsi e guardai a destra e a sinistra, fino a quando sentii una voce provenire da dietro di me.
-Kate!
Mi voltai di scatto, e vidi mia madre che mi guardava interrogativa. Io le sorrisi, ma in quel momento mi resi conto della mancanza di qualcosa, o meglio, qualcuno. Ciuffo. Notai che stava appoggiato al binario impolverato, così con un salto mi affrettai a recuperarlo e mi voltai verso mia madre. Alzai il mio panda in alto, così da mostrarle che stava bene, quando la vidi correre disperatamente verso di me.
-Katelynn!
Continuava a gridare il mio nome piangendo, ma io non capivo quello che mi stava dicendo perché il suono della sua voce era sovrastato da un rumore stridulo. Lei continuava a correre, e sul suo viso arrossato scivolavano delle lacrime. Non riuscivo a capire il motivo della sua disperazione, quindi avanzai lungo il binario per scavalcare il blocco di marmo e risalire. Lanciai lo zaino sul pavimento e mi aggrappai al bordo cercando di sollevarmi. Mia madre era a qualche metro di distanza. Alzai lo sguardo, le sorrisi. Poi un boato, seguito da delle urla. Un forte colpo che fece calare il silenzio, un silenzio freddo. Ma se con ciò è tutto finito, perché riesco ancora a vederti, mamma?

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