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Un fischio sordo trafigge l'aria squarciando il tempo e lo spazio, facendola tornare alla realtà. La vista è annebbiata e la mente confusa, un suono insistente e pungente le martella nelle orecchie come un fabbro impazzito. Una mano si stringe al suo braccio, stringe forte, tanto da rendere visibile le pulsazioni del suo cuore impazzito che urla nel suo petto a squarciagola la propria paura, la propria forza, la propria angoscia di morire e quella peggiore di vivere senza aver combinato qualcosa di buono, senza uno scopo.

I battiti aumentano e le gira la testa. Pensa che se non riesce a calmarsi il petto tremerà ancora ed echeggerà l'ultimo suo grido di rabbia prima che tutto finisca.

Per sempre.

La mano stringe ancora più forte.

Dalle narici penetra l'odore acre della battaglia, della polvere che si alza per lasciar spazio a questioni di onore e sangue e che poi, totalmente indifferente, si poserà esattamente dov'era prima.

La vista si fa nitida.

«Presto!», una voce sovrasta i battiti sconnessi e frenetici e il suono acuto, ormai ricordo in declino, di un'esplosione.

«Presto! Dobbiamo andare!».

«dove sono gli altri?», trova il coraggio di chiedere. Le gambe le dolgono.

«Sono andati avanti, ma non so se ce l'hanno fatta, probabilmente sono saltati in aria», una raffica di proiettili li interrompe e li costringe a chinarsi e farsi scudo con un riparo debole e malconcio quanto loro.

Lui molla la presa e afferra con due mani un'arma, si alza e spara senza sapere nemmeno dove, urlando, poi torna a ripararsi.

«Dobbiamo andare o moriremo anche noi», lei gli fa un cenno affermativo, rimanere lì significherebbe rimanerci per l'eternità e diventare polvere indifferente.

«Adesso!», i due partono correndo all'impazzata, sentendo grida nemiche inveire e farsi sempre più vicine.

Spari, un'esplosione lontana, ma non troppo.

Corri Clarissa, corri, e Clarissa corre più velocemente che può.

Un pugno forte come un tuono la colpisce alla spalla sinistra e lei cade a terra.

Due braccia forti la sollevano di peso, «alzati, alzati!», lei non pensa a niente, esegue gli ordini.

Si alza. Alzati Clarissa, alzati.

Trova il coraggio di guardasi la spalla e capisce di essere stata ferita, quel pugno era un proiettile che l'ha passata da parte a parte lasciandole il fuoco dentro. Non è grave, lo sa, ma il dolore è comunque molto forte, come non l'ha mia sperimentato prima d'ora.

Corri Clarissa, corri.

Hanno trovato un riparo, un posto dove nascondersi, almeno momentaneamente.

Anche l'udito è tornato a essere se stesso, come la vista, il tatto, la forza nelle gambe e nelle braccia, ma il coraggio ancora stenta a risalire da quel pozzo senza fondo dov'era sprofondato, dov'era stato cacciato a forza e senza ritegno.

«Non capisco» dice lei senza convinzione

«non so nemmeno io cosa sia successo, c'è stata un'esplosione, ma non come tutte quelle che ho visto sino a questo momento. Sono volati tutti a terra, l'onda d'urto è stata terribile, i più vicini sono morti all'istante, come un soffio la vita li ha abbandonati, gli altri, feriti. Tu non sei rimasta ferita nell'esplosione, ma ti è successo qualcosa, sembravi frastornata, assente e completamente pietrificata», Clarissa sta muovendo la testa come se volesse sgranchire il collo e rilassare le spalle mentre cerca di richiamare a sé tutte le proprie forze.

«Comunque non abbiamo tempo per parlarne, non ora»

«gli altri?»

«te l'ho detto»

«nessuno è riuscito ad andare avanti?»

«forse, ma cosa importa, saranno già morti. Dobbiamo andare.»,

Clarissa cerca di pensare ma un muro alto come il cielo glielo impedisce e la sua mente pesante e confusa non ha la forza di librarsi alta, oltre ogni cosa.

Non ancora.

«c'è una vecchia costruzione a circa duecento metri in quella direzione, lì potremo guadagnare un po' di tempo, potrò anche tentare di medicarti.

Clarissa si ricorda della ferita alla spalla. L'incredulità e lo stupore per la situazione inaspettata in cui si sono trovati le ha fatto scordare il dolore, il sangue, il colpo subito.

Presto sarà tutto come prima, lo sente, ma per adesso non lo è.

Prima di lanciarsi verso la prossima tappa si accertano di non avere nemici nelle immediate vicinanze. Lei li può spiare senza essere vista da una fenditura di quell'antico e logoro rimasuglio di muratura isolato come una torre in un deserto.

Li può vedere, li stanno cercando, ma ancora non hanno capito dove si sono rintanati.

Topi in trappola.

«Come ci arriveremo?» chiede con un tono di voce ritrovato, meno vibrante e insicuro di qualche attimo addietro,

«tenteremo la fortuna, penso»

«abbiamo solo un'arma, vero?»

«sì, solo questa e i colpi non abbondano». Clarissa calcola, pensa, più lentamente del solito, ma pensa e calcola. Sono una decina circa, armati.

Non è sicura di riuscire a fare quello che fa di solito, quello in cui è brava e capace, quello che la rende unica e maledetta.

Uccidere.

«Dammi l'arma e quando te lo dico corri», si limita dire solo questo, senza possibilità di replica. Il suo tono è secco, autoritario e non ammette contestazioni, ma la paura è sovrana e governa il mondo alla pari con la cupidigia e l'ambizione,

«moriremo, in questo modo moriremo», ma Clarissa è ormai quasi la Clarissa di sempre, «nessuno vive in eterno», si alza, mira e grida «adesso! Vai!», spara.

Spara Clarissa, spara.

Ne colpisce uno, che cade a terra come un sacco sgonfio.

Ne colpisce un secondo.

Si scansa, si sposta per schivare i proiettili, non si rende conto se si è spostata abbastanza, ma a questo punto non importa.

Spara Clarissa, spara ancora.

Un frastuono infernale copre ogni suono e ogni pensiero possibile, ma Clarissa non ha il tempo per capire cosa sta succedendo, una lama tagliente come un bisturi le riga la guancia. E' un proiettile che arriva da dietro.

Sono circondati.

Frastuono, rumore di ferraglia e odore di morte che incombe.

Il suo corpo è scosso e ancor prima di potersi voltare e i vestiti le si macchiano di sangue, il suo sangue. Le sue gambe cedono e crolla in ginocchio.

Un'esplosione dalla luce verde abbagliante la scaraventa a terra con violenza.

«Jacob», pronuncia questo nome mentre i suoi occhi velati di sudore e lacrime sono rivolti all'amico a cui doveva coprire le spalle. Clarissa è coricata su un fianco e da quella posizione le sembra che il mondo sia in verticale, in salita, ma Jacob è infondo, ai piedi di quella montagna che chiamiamo vita, steso a terra. può solo scorgere il suo viso e non le serve essergli vicina per cogliere l'inespressività totale del suo volto senz'anima. Cerca di rialzarsi e l'orizzonte torna a essere dove deve essere per sua natura, ma Jacob è sempre sul fondo, da qualsiasi parte lo si guardi è morto.

I nemici stanno arrivando, da tutte le parti.

Alzati Clarissa, alzati.

Il corpo non risponde più ai comandi e la mente non riesce più a formularli.

Alzati Clarissa. Ci prova, prova a riprendere l'arma che giace a terra lì vicino, ma i sensi la stanno abbandonando. La paura prevale e inghiotte tutto.

I nemici sono vicini, vicinissimi.

Un rombo, rumori di ferraglia arrabbiata, grida da tutte le parti e alla fine, il buio.

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