IL PIANISTA

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C'erano tantissimi spettacoli tra cui scegliere nella nostra città: chi preferiva una sana commedia si ritrovava con i suoi simili nella via del vecchio pub, chi invece aveva con sé tanti fazzoletti era solito girovagare nel piccolo locale vicino al ponte sul fiume, chi ancora restava tutta la notte sveglio a riflettere sui temi sollevati durante la serata probabilmente veniva dalla vecchia biblioteca. Molte persone erano abituali in uno solo di questi posti, ma almeno una volta nella vita le avevo viste oltrepassare la porta del teatro, anche solo per puro caso, spinti dalla curiosità della locandina o stanchi di sentire la vicina parlarne benissimo.
Entravano allibiti quasi aspetta dosi uno scherzo e uscivano desiderosi di restare per il prossimo spettacolo.

OVER THE PIANO STRINGS

Così si chiamava. E quasi nessuno che l'avesse visto poteva dire che loro due non erano bravissimi. Eggià, delle persone dotate si riconoscono. Lui si chiamava Will, capelli castani sempre ordinati nel loro disordine e occhi verdi come l'erba sotto la rugiada. Lei era Amelie simile all'acqua nei suoi movimenti, con i capelli biondi come il grano che quando venivano, anche leggermente, spostati sembrava la facessero volare.
Perché il loro spettacolo riuscisse si erano impegnati anche i più famosi scienziati. Iniziato quindici anni fa, il progetto era stato pensato da me, quando amcora mi trovavo all'universitá. Mentre per otto anni loro abituavano e esercitavano il loro corpo, gli uomini in camice bianco elaboravano dati su dati su lavagne piene di calcoli complessi. Così alla fine un giorno arrivarono mostrando una piccola scatolina argentata. Venne aperta da mani tremanti, come se contenesse al suo interno il tesoro più grande dell'umanità. Dentro poggiate su un velo di seta color luna, c'erano due palline simili a biglie azzurre. Vennero prese e inghiottite dai due ragazzi , che in pochi secondi si ritrovarono ad essere della stessa altezza di un carillon. E così nacque quella piccola particolarità: l' unico spettacolo in tutto il mondo a potersi permettere due ballerini sulle corde di un piano. Venivano infatti poggiati sulle corde e danzavano delicatamente su di esse. Il loro lavoro era certamente frutto di anni di pratica, ma si poteva ben vedere che nessun altro ci sarebbe mai riuscito: non sussultavano ai leggeri sbalzi quando veniva suonata una nota, non erano distratti da niente e sembravano ogni volta delle piume.
Anche quella sera si esibivano. Davanti a loro gli spalti del teatro erano piani di persone, sia nuove che vecchie, che attendevano con ansia l'inizio di tutto. Quella sera ballavano sulle note di una canzone molto famosa, che ora non ricordo con precisione. La prima nota, il primo passo. In quella piccola magia si raccontava di una ragazza che era capace di volare e un giorno innamoratasi di un ragazzo, venne trasportata a terra da ciò. Ma si sa, una farfalla non può passare i suoi unici due giorni di vita chiusa in un barattolo, quindi per non abbandonare il suo amore, cercò di insegnargli a volare. Ma quando buttatosi dal dirupo non riuscì nell'impresa, la ragazza straziata dal dolore lo seguì verso l'altra vita. I due salivano sul bordo del piano e mentre si gettavano sul pavimento ridiventavano di nuovo grandi. Era una cosa di cui non mi sarei mai stancato. E mentre tra gli inchini si prendevano gli applausi e le rose, nessuno vedeva lui, quel ragazzo che rimaneva dietro, nascosto degli altri due e dalla loro ombra che sembrava ingrandirsi sempre più per inghiottirlo nel buio. Quel ragazzo che era indispensabile per lo spettacolo, ma di cui neppure i colleghi sapevano il nome. Era solito restare lì fino a che tutto era finito, suonando quello che gli pareva, per poi alzarsi e premendo un'ultima nota, andarsene. Camminava per i vicoli bui della città e salutava di tanto in tanto il macellaio o un amico di vecchia data. Arrivato sull'uscio apriva lentamente la porta di casa e scostandola appena entrava. Viveva in un piccola casetta vicino alla piazza. L'esterno era come tutte le case nei dintorni, piuttosto rurale se così si può dire. L'interno era il ritratto della sua mente fatto da Van Gogh. La confusione regnava quasi ovunque: trovavi fogli di spartiti in ogni stanza, la cucina abbastanza rifornita e pulita, la camera da letto che conteneva tutti i suoi ricordi come uno scrigno: vecchie foto in compagnia dei genitori, la collezione di monetine, il diploma, il primissimo tasto del pianoforte rotto e tante cianfrusaglie che si stagliavano qua e là tra i pezzi di carta. E infine il salotto, probabilmente l'unico luogo sempre in ordine. Ospitava due poltroncine e un caminetto che davano le spalle ad un'enorme libreria e in un angolo, vicino alla finestra, il suo bene più prezioso: il vecchio pianoforte del nonno. Gli era stato regalato quando era ancora un bambino dal nonno ormai morente ed era sempre stato il suo unico modo per fuggire da tutti quei pensieri che affliggono l'uomo. Il ragazzo appoggiava il cappotto sull'attaccapanni e si guardava velocemente allo specchio. I capelli castani sparpagliati ovunque lo facevano sembrare un pazzo e gli coprivano ogni tanto anche gli occhi celesti e quando succedeva, sapeva che era giunto il momento di tagliarseli e allora tirava fuori dal cassetto le forbici dorate. Per chi ancora non lo avesse capito, quel ragazzo, sono io. Già, io sono colui senza cui non si farebbe niente, ma che se manca non si nota subito l'assenza. Certo, di questo non mi arrabbiavo, non mi piaceva tantissimo essere al centro dell'attenzione, ma mi sarebbe bastato un grazie o un minuscolo complimento per ...
Mi sedevo sulla piccola poltrona e osservando dalla finestra le stelle in cielo, mi addormentavo, a volte riflettendo sul fatto che forse quel progetto doveva restare nelle mie mani, anche perché solo io sapevo degli effetti collaterali di quelle piccole palline azzurre

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