1 - Scriverei qualunque cosa

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«Ascolta, è un bel pezzo, non puoi negarlo. E poi ci ho lavorato un casino, non accetto un "No" come risposta» dissi, sporgendomi un po' più verso di lui.
Giacomo sospirò, come se tra le mani avesse solo una scocciatura, anziché il mio fantastico articolo. Sollevò le sopracciglia e riprese a leggere, di tanto in tanto scuotendo la testa, senza commentare.
«Senti, Cal, non lo nego, è un articolo interessante, ma non possiamo pubblicarlo neanche questa volta» disse restituendomelo, evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo. «È che... è troppo aggressivo. Di nuovo.»
«Ma deve esserlo, è quasi morto un ragazzo! Sono stati commessi degli errori! Io...» mi mancavano le parole. Davvero dovevo spiegare al caporedattore del giornale universitario come girava il mondo? Okay, non era morto nessuno, ma se non fosse stato per me e se al posto delle mentine ci fossero realmente state delle pasticche... ora qualcuno sarebbe dietro le sbarre. E qualcun altro sotto terra.
«Sto facendo giornalismo» ribadii a denti stretti.
«Sì, lo so, ma... non posso ugualmente pubblicartelo. Mi dispiace. Ora devo andare.»
Così dicendo Giacomo si alzò e fece il giro della scrivania, raggiungendo la porta, mentre io me ne restavo impalata e senza parole.
Era successo di nuovo: quello era il terzo articolo che mi rifiutavano.
«Aspetta.» Lo rincorsi. Giacomo stava già percorrendo il corridoio che dal suo minuscolo ufficio in ateneo portava agli ascensori, e poi ai bellissimi chiostri del giardino dell'Università. «Dammi un'altra possibilità, per favore. Lo sai che sono brava e a questo giornale ci tengo. Scriverei...» mi bloccai incerta, ma poi lo dissi lo stesso: «qualunque cosa.»
Lui mi guardò dall'alto e gli sfuggì un mezzo sorrisetto.
Era molto bravo a farsi detestare, con quell'espressione stampata in faccia. Supponente, arrogante, il tipico sorriso di un uomo che crede di avere il controllo su una donna soltanto in quanto uomo – e, in questo caso, in quanto caporedattore del giornale universitario. Sapeva che desideravo tantissimo far parte del loro team.
Porca miseria.
«E allora scrivi qualcosa che non sia così macabro e sconveniente, Calliope» mi disse.
Presi fiato e contai mentalmente fino a tre per non dire la cosa sbagliata. Poi annuii.
Odiavo dover essere così remissiva, ma c'era il mio futuro in ballo.
Mio padre aveva iniziato in questo modo, col giornale della scuola, ed era così che era diventato la più grande firma del giornalismo romano. Per mia madre era andata diversamente, ma lei era un vero talento, uno di quelli che non ha bisogno di farsi notare per emergere.
«Ci tengo a farti entrare nel giornale, Madeo, e ammiro la tua determinazione. Sai usare la penna, ma... lo fai per le cose sbagliate» continuò Giacomo, con un tono paternalistico che mi diede davvero sui nervi.
Incassa, pensai. Incassa e non rispondere, o non ne usciamo più.
Un familiare formicolio mi spinse a nascondere rapidamente le mani nelle tasche dei jeans, il più a fondo possibile.
Annuii di nuovo. Occhi bassi e lingua stretta tra i denti.
Giacomo riprese a camminare verso gli ascensori. Premette il tasto e le porte si aprirono; tornò a parlarmi solo quando le porte si furono richiuse. Come se stesse per rivelarmi qualcosa di veramente scottante.
«Hai presente Nazzaro? Il rappresentante di Lettere e Filosofia?»
«Quello con la barbetta rossa, simile a una capra?»
Giacomo arricciò un angolo della bocca. Io alzai le mani sospendendo il sarcasmo.
Comunque Nazzaro, con quella fronte alta e il pizzetto, sembrava davvero una capra.
«Dicevo, abbiamo ricevuto una soffiata su di lui. Sembra faccia cose... poco opportune per un rappresentante degli studenti.»
«Che intendi?»Nella mia testa già avevo iniziato a macinare titoli da prima pagina.
Sesso, droga e lettere moderne: nuovo trend universitario?
Mi piaceva sognare. Forse troppo.
«Tutti i venerdì mattina salta l'orario di tutoring delle matricole, lo abbiamo pedinato e a quanto pare... trascorre la notte in un club a luci rosse, rientrando solo all'alba.»
Ora sì che scoppiai a ridere. E non solo perché "club a luci rosse" era una cosa che non avrebbe detto nemmeno mia madre, ma perché di certo non avrei mai scritto un articolo del genere.
L'ascensore si fermò al piano terra, le porte si aprirono.
«Mi stai davvero dicendo che dovrei scrivere un articolo di gossip?»
«Ti sto chiedendo di scrivere una cosa che abbia senso, che sia di interesse, e che possiamo pubblicare.»
Giacomo uscì e mi superò, dirigendosi a passo spedito fuori dall'ateneo.
«È ridicolo.» Gridai per farmi sentire: «Io non scrivo articoli di gossip!»
Mi fece un cenno. «Fammelo avere per venerdì mattina!»
Continuò a camminare senza nemmeno voltarsi.
Io rimasi in piedi nella hall della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Statale di Roma, la stessa che aveva frequentato mio padre, mentre un fiume di studenti mi travolgeva nell'indifferenza più completa.
A Giacomo non dissi niente. Non c'era niente da dire, dopotutto. Dovevo solo scrivere l'articolo: il quarto articolo di prova per essere ammessa al giornale universitario. Uno stupido pezzo di gossip su un bavoso pervertito col pizzetto da capra che passava i suoi giovedì sera tra ragazze seminude.
Le dita delle mani iniziavano a bruciarmi, sentivo le tasche in fiamme.

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