Capitolo 57

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DARK 57

Se la polizia avesse trovato Harry sulla scena, l'avrebbero arrestato. Nonostante la sua incredibile capacità nell'evitare l'argomento del suo passato da criminale, rimasi consapevole del rapporto che c'era tra lui e le autorità. Bastava un loro sguardo per etichettarlo come colpevole.

Decisi che probabilmente la cosa migliore era affrontare quelle luci lampeggianti, così lasciai l'uomo accartocciato sul pavimento del garage e mi girai a guardare l'auto della polizia con uno sguardo sconvolto. Non era mai stato tutto così difficile. Le mie lacrime erano fresche, ma non una conseguenza di ciò che era capitato; i rigoli delle lacrime sulle mie guance erano la prova di quanto fossi distrutta.

"Qui!" Urlai.

Ero lontana dalla commozione, appoggiata alla parete, ma non dimenticavo. Un'anziana poliziotta continuava a chiedermi se stavo bene, se avevo bisogno di sedermi. Il mio silenzio fu tradotto come uno stato di shock. Non sapevano nulla.

Poco dopo osservai il padre di Harry, che era su una barella nel retro di un'ambulanza, in attesa. Fui felice di sentire il rumore delle rotelle sul marciapiede. Una parte di me era ansiosa di stare ancora in quel posto con lui, piangendo gli angeli di quell'uomo, incolpandoli. Ringraziai i farmaci che scorrevano nelle sue vene, fonte del suo silenzio.

L'ambulanza fu scortata da due moto della polizia. L'accensione dei motori mi fece trasalire, facendomi sfiorare un poliziotto accanto a me, che portava una cintura con vari oggetti per far valere la sua presenza.

***

Non mi ero mai seduta in una macchina della polizia prima. Mi ha tranquillizzata il fatto che scorrevamo in mezzo ad altre macchine, rispettando ognuno il limite di velocità, senza sorpassare. Ero più che certa, che non appena fossimo scesi dall'auto, tutto sarebbe tornato normale e la polizia sarebbe tornata a fare i suoi giri di perlustrazione.

Il mio nome venne preso di nuovo alla stazione della polizia. Mi sentivo sola e fuori luogo. Avevo cercato conforto nella stretta delle dita di Harry tra le mie; lo faceva sempre con un sorriso in volto. Ma ora non c'era nessuno a tenermi la mano.

***

"Miss?"

I miei occhi si soffermarono dietro il giovane ufficiale seduto di fronte a me. Mi aveva dato un bicchiere di carta pieno di tè al latte, che usai per scaldarmi le mani fino a quando non fu tiepida e ormai imbevibile. Saremmo stati seduti lì per molto tempo; le pareti erano color magnolia, un colore tranquillizzante. Avevo immaginato che mi trascinassero in una stanza buia per l'interrogatorio, una lampada puntata nei miei occhi come quando sui film chiedono la verità. Invece no. Ero seduta su una sedia imbottita con i braccioli, foto di velieri appesi al muro accanto alla porta, un tavolino con sopra delle riviste.

Sembrava una discussione "informale".

Mi tremava il ginocchio, così una volta resa conto del movimento ci misi una mano sopra per bloccarlo e calmarmi. "Non sei colpevole", ripetevo a me stessa. Con poco aiuto.

"Sono in arresto?"

La mia voce era piena di nervi, sotto gli occhi attenti del poliziotto. Non mi importa come avevano decorato la stanza, i miei occhi non guardavano nulla, ma guardavano la telecamera in alto a destra.

"No, signorina" rispose con un piccolo sorriso.

Stava seduto sul bordo della sedia, di fronte a me. Il suo corpo era sporto in avanti, come se non volesse perdersi nessuna parola da me pronunciata, come se ogni mia sillaba fosse un indizio per ciò che era successo.

"Quindi posso andarmene quando voglio?"

Si mosse per prendere il suo secondo bicchiere di tè, la tazza era identica alla mia.

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