Seguendo i consigli di un tizio, (storia lunga, millenaria), ho spaccato la croce, ne ho ricavato legna per una bagnarola lontana anni luce da una nave.
Ho stracciato le vesti ed ho indossato quelle da pirata che un tempo mi donavano, ma che ora mi stavano strette.
Ho ripreso il largo con quella specie di zattera, ma non era il massimo. In una tempesta durata un'intera notte, sono sprofondato negli abissi non sapevo nuotare e mi perseguitavano sentimenti pesanti come piombo.
Mi adattai facilmente a quell'ambiente, anche i più imbranati saprebbero nuotare nel mare dei propri pensieri, pur sprofondando dopo un po', riescono a rivedere la luce.
Respiravo e mi muovevo agilmente in quelle acque oscure e silenziose, mi avvicinai verso il fondale e vidi una figura.
Sul fondale spiccava un relitto, una nave abbandonata, corrosa dal tempo, ma che manteneva ancora intatta la struttura portante.
Era la mia vecchia nave, colata a picco anni or sono.
Conservava dignitosamente ricordi di un passato ormai andato, ciò che è stato e non può più tornare, al suo interno, nella cabina del capitano, la mia tra l'altro, un blocco di ghiaccio al cui interno riposava un bambino, perfettamente conservato dalle bassissime temperature.
Un epitaffio alla base ricordava la felicità di quei tempi e poi la circostanziale: "Non fiori, ma opere di bene"
L'opera di bene più grande che si possa fare in questi casi è andare avanti.
Tutto d'un tratto un rombo di tuono, o qualcosa di simile echeggiò nelle acque tremolanti, in questo misterioso ed inspiegabile maremoto, persi l'orientamento.
Mi ritrovai sbalzato via dalla nave, un enorme masso di ghiaccio era in rotta di collisione contro quel vecchio relitto.
Nessun atto di eroismo, era impossibile impedire la distruzione della nave, il corpo conservato di quel bambino era perduto, negli abissi più oscuri mi resi conto che ciò che un tempo fu non poteva più ripresentarsi.
Nessuna voce, nessun dialogo, nei miei pensieri regnava un silenzio di tomba, un gelido feretro che ospitava al suo interno il bambino che fui un tempo.
Non versai una lacrima, il mare ne versava abbastanza.
E' possibile perdere dei ricordi così importanti? Immagini indelebili?
No, non è possibile, ma è saggio ammirare quei bei vecchi quadri senza rimanerne assuefatti.
La vera bellezza risiede in quegli attimi, tutto il resto è vanità o noia.
Quel passato era andato ormai, non ero più un bambino.
Continuai a nuotare in quello strano mare seguendo le correnti del presente.
Mi distrasse un edificio in lontananza, grande, diroccato.
Avvicinandomi incuriosito notai con stupore che si trattava della mia vecchia scuola, riuscii ad entrare da una finestra distrutta, all'interno ritrovai, nonostante gli anni, gli stessi banchi, cattedre qua e là, porte distrutte.
Quella che un tempo fu dimora di studenti, ora era dimora di piccoli pesci ed alghe.
La mia vecchia classe era situata in un pianerottolo che tradiva l'andamento preciso delle scale.
Non fu facile trovarlo, la memoria ogni tanto mi tradiva.
Quando finalmente la trovai la porta era aperta, entrai e scorsi all'interno, perfettamente disposti come un tempo lo furono ai loro banchi, i compagni di classe.
Il tempo era passato anche per loro, occhi vuoti, bui.
Riconobbi il pallore delle ossa, riconobbi che di loro rimasero solo scheletri.
"Chissà da quanto tempo stanno qui", pensai, "Queste ossa, sfidano il tempo, vogliono parlare, vogliono raccontarsi, in ogni candido frammento il capitolo di una storia"
I banchi avevano la stessa identica disposizione dell'ultima volta, solo uno era vuoto, il mio ovviamente, tranne per un particolare, una rosa.
"Cosa ci fa una rosa sotto gli abissi?" pensai.
Cercai con lo sguardo un banco in particolare, quando vidi quello scheletro...Presi quella rosa e la porsi sul suo banco.
Come per darle una piccola dimostrazione di un amore mai confessato.
Il suo scheletro fissava, se così si può dire, il vuoto non so se mai apprezzerà la bellezza di questo fiore.
Un fiore di un colore rosso vivo.
Uscii da lì, da quell'edificio sommerso, ripresi la scia della corrente che mi stava lentamente riportando in superficie.
Quando iniziai a rivedere la luce del sole feci un'amara scoperta, il gelo perenne aveva congelato la superficie, una vitrea barriera ostacolava il passaggio.
Provai a romperla ma era impossibile.
Presi una rincorsa e provai con tutte le forze a romperla ma nulla.
Più colpivo con forza, più precipitavo verso il fondo.
Ad ogni tentavo segugi di gelo laceravano le mie carni, il freddo era insopportabile, ma non demorsi, mai, dovevo uscire di lì.
Ad ogni colpo mi facevo male, più aumentava il dolore, più aumentava la rabbia e la voglia di sfondare quella cazzo di barriera.
Nell'Atlantide della mia mente, un pazzo che cercava di uscirne, un sole sadico osservava divertito lo spettacolo in quella bara di ghiaccio.
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Fascia di bonaccia
Short StorySemplicemente i viaggi immaginari di un soggetto che conosco abbastanza: Me stesso.