Questo capitolo consideratelo come una storia a sé.
Voglio dire, avete letto di un impiegato che viaggia con la mente vivendo amori platonici, che si ritrova a parlare con strambi tizi in una via Crucis per dei bar e che da ragazzino era un pirata.
Un po' confusa la faccenda.
"E quella specie di feretro in cui ti stai dimenando? Dove lo metti?"
Ci sto ancora dentro e prima o poi ne uscirò, sto cercando il mio Sole, quello che mi aiuterà a sciogliere questi ghiacci apparentemente perenni...L'avevo messo da qualche parte, ma ora non lo trovo più.
E' da un po' che non lo cerco, non lo vedo splendere, tuttavia riesco ancora a sentirlo e sento che da un po' nella sua lucentezza è stato oscurato da un qualcosa.
In preda ad innumerevoli "perché" ho guardato l'immagine riflessa su quel gelido specchio che ostacolava il mio passaggio, e sì, lì non ho avuto più alcun dubbio.
Di quello che un tempo chiamavo "Sole", restava il ricordo di un disco opacizzato da un'ombra.
Vi chiederete come potrà mai esserci finita un'ombra lì? Chiedete a qualche docente di fisica, non a me che ero una schiappa in quella materia.
Vorrei fare un po' di chiarezza, giusto per ispirare il mio Sole affinché torni a splendere come un tempo e per farlo dovrò passare da quell'ombra.
L'ombra che ha preso le chiavi della mia mente e ne ha chiuso le porte dall'interno.
Una volta ero dell'idea che la navigazione fuori dal porto della quotidianità, in quel mare aperto e sconfinato, avesse potuto darmi risposte. Le risposte che cercavo.
Quando sono partito ho lasciato lì il mio fardello personale, era un fardello sì, ma posso giurarvi che pesava come un macigno. Ho anche lasciato un cartello con su scritto: "Pericolo! Non aprire", purtroppo c'è stato chi non ha seguito quell'avvertimento ed aprendo quel fardello ha visto il demonio ed è fuggito via a gambe levate.
Sono partito e solo dopo un po', su quella che azzarderei a chiamare nave, mi sono reso conto che non sapevo nuotare, insomma capite, un "uomo di mare" che non sa nuotare, qualora malauguratamente capitasse di imbattermi in una tempesta, come ne uscirei se questa bagnarola venisse distrutta?
E alla fine è accaduto, forse prima avrei dovuto almeno imparare a nuotare (non so neanche galleggiare, sarà perché non sono abbastanza stronzo per farlo, perdonate la franchezza).
La tempesta l'ho incontrata, mi ha distrutto la zattera, bagnarola... insomma qualcosa di non proprio adatto alla navigazione e sono sprofondato qui. Se avessi saputo nuotare, forse mi sarei salvato.
Sinceramente quest'azione impulsiva, volgarmente definita cazzata la rifarei, anche perché senza di essa sarei rimasto ancora fermo, nella fascia di bonaccia.
Che poi parliamo di cazzate in termini dispregiativi, ignorando il fatto che molte volte fungono da "motore immobile": muovono il corso degli eventi verso un senso senza però, apparentemente, averne uno alla base.
E' un po' come aprire il cassetto e trovare tutti i calzini in perfetto ordine, e cosa ci fate con l'ordine? Lo contemplate, anzi siete pure timorosi di smuovere qualcosa rompendo un equilibrio creatosi in precedenza.
Sapete quando vi muovete? Quando in quel cassetto che non sistemavate da Pasqua '92 non ritrovate neanche mezza calzetta, e allora cercate, imprecate, disfate tutto, lo svuotate per poi riempirlo nuovamente.
Rovistate ed alla fine ritrovate un paio di calze, impetuosi come il vento, dal caos siete riusciti a trovare un vostro ordine personale.
Ed è quando l'ordine lo si trova personalmente che si vive, e tra l'altro, non è soggetto solo alla mera contemplazione.
Immaginerete dunque che preferisca quel vento che scombussola il tutto, piuttosto che il sostare in una fascia di bonaccia, ferma, statica, come questa bara di ghiaccio.
Preferisco un vento freddo, umido e dal puzzo insopportabile, ma che scorra, piuttosto che la sua assenza.
Poi magari, da quella putrescente fragranza se ne esce e quel vento è servito a trovare porti nuovi, isole inesplorate di inaudita bellezza.
Isole sormontate da profumatissimi prati, pieni di fiori.
Magari prati fioriti del mio fiore preferito e di tutti, ne amo uno solo in particolare, che spesso passa inosservato, tant'è che quando Dio dava un nome alle piante, pare che gli abbia detto:
"Non ti scordar di me!"
E Dio gli ha risposto:
"Nontiscordardimé! Questo sarà il tuo nome!"La preghiera di un fiore che non vuole essere dimenticato, ha compreso la vita eterna pur non avendo alcun precetto religioso, la vita che continua nei ricordi di chi vuole portarti con te.
Monumentali sono questi ricordi, fatti con le pietre della memoria, e come ogni monumento che si rispetti, verrà infangato dallo sterco dei piccioni, ma alla fine poco importa, voglio dire, ci sarà sempre qualche turista che scatterà una foto, contemplando la bellezza di quel ricordo.
Di monumenti poco convenzionali, chiamiamoli così, ne sa qualcosa una donna che conobbi in un porto.
Si chiamava Storia, una bellissima donna che su di sé portava tatuati i nomi dei numerosi amanti avuti nel tempo.
Detto così sembrerebbe una donnaccia di porto, effettivamente aveva un carattere molto difficile, sarebbe definita come una che "se la tira".
L'ho vista nuda e sul suo corpo non ho letto né il mio nome, né quello del "Nontiscordardimé", forse ignora la nostra esistenza, ma dall'altra parte non si può dire lo stesso.
Tutti in fondo sognano di trovare uno spazio per imprimere il proprio nome su quella pelle, ma anche lei d'altronde sa che senza i vinti, i vincitori di cui il nome fieramente mostra, non sarebbero nessuno e tacitamente li rispetta. Non lo ammetterebbe mai, ripeto è una che se la tira, ma li rispetta.
Ma io non sono un vinto, non mi darò mai per vinto e un giorno su quella pelle troverete impresso il nome delle monumentali azioni di un folle che pur non sapendo nuotare è riuscito a sopravvivere nel gelo degli abissi.
Sarò io il vincitore, l'ombra vinta, ma la ringrazierò, senza di essa il mio Sole non sarebbe tornato più quello di un tempo.
Che poi sto qui a parlarvi della mia storia, dell'ombra e del Sole, ma in superficie scorgo diverse figure scure.
Non sono ombre, me ne basta una voglio dire...Sembrano essere persone in carne ed ossa.
Riconosco volti familiari, e gettano fiori su quella superficie congelata, ma cosa fate?
Anche il fiore più fresco gettato sul ghiaccio, s'infrange come una promessa fatta al vento.
Lasciate stare e teneteli quei fiori, che qui non è morto nessuno.
C'è anche chi ride e chi piange.
Lasciate perdere le lacrime, non servono a nulla, qui cristallizzano, congelano, come tutto, come dell'acqua comune senza sentimenti alle spalle.
Di acqua in quest'abisso inoltre ce n'é abbastanza.
Anche il Sole sta piangendo versando lacrime di fuoco, lacrime che accendono candele.
Candele che celebrano la memoria di qualcuno, la memoria di colui che visse sotto la mia pelle.
YOU ARE READING
Fascia di bonaccia
Short StorySemplicemente i viaggi immaginari di un soggetto che conosco abbastanza: Me stesso.