Parte 2

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Fedro, come suo solito, non rimase a lungo inerte. E cominciò ad azionare senza criterio le strane manovelle che campeggiavano su una parete. Così egli cercava di attenuare l'inquietudine che scaturiva dall'assoluta incapacità di trovare una risposta a innumerevoli domande. Polibio da parte sua percepì il pericolo che una simile iniziativa rappresentava. E senza giri di parole lo redarguì:

- Fermati! Vuoi forse attirare il castigo degli dèi con la tua noncuranza?

- Voglio solo capire cosa la sorte ci ha fatto trovare in questo sentiero sperduto...

Polibio sapeva che quello era l'irresistibile desiderio di entrambi. Ma occorreva essere prudenti. Mentre Fedro persisteva ostinatamente a sfidare la sorte, insinuando le mani laddove non avrebbe dovuto, il compagno fu folgorato da quanto rinvenne alle sue spalle.

Si trovò davanti centinaia di indefinibili oggetti che non aveva mai visto prima, neanche nelle più fantasiose immaginazioni. Si trattava di una serie di ordinate pile di arnesi che a uno sguardo attento, per via delle scritte che recavano impresse, potevano essere identificati come dei manoscritti. Per un momento egli vacillò davanti a quella sequenza infinita di scritte in latino che peraltro riusciva a decifrare, essendo originario di Roma; aveva ancora nitidi i ricordi della sua giovinezza trascorsa proprio fra i sette colli della città eterna, prima di dedicarsi al commercio in giro per il mondo.

Per lunghi secondi ignorò perfino chi egli fosse.

Non riusciva a leggere nella realtà che gli era franata addosso. Poco dopo invitò il socio a voltarsi per renderlo partecipe della straordinaria scoperta, avvenuta all'interno di qualcosa che era, se possibile, ancor più misterioso.

- Cosa... - le parole si spezzarono sulle labbra di Fedro. I suoi occhi rimasero spalancati. E il respiro gli divenne incerto.

Avvinti dalla superstizione che li animava, cominciarono a pensare di essere vittime di un diabolico sortilegio. Proprio quando si apprestavano a fuggire da ciò che essi per istinto riconobbero essere la porta d'accesso all'Ade, l'ingresso della macchina infernale si chiuse automaticamente. Quindi qualcosa si azionò facendo sperimentare ai due uomini il peggiore dei loro incubi.

Si produssero oscillamenti e potenti vibrazioni. Risuonarono sordi boati e vibranti echi. Si alternarono rapidamente un calore intenso e un freddo pungente. Finché infine tutto cessò, lasciando nondimeno senza fiato gli sventurati.

Essi si guardarono in faccia convinti che il congegno li avesse proiettati nell'oscurità infernale, alle cui porte avrebbero incontrato il mostruoso cane Cerbero, e Minosse, Eaco e Radamanto avrebbero giudicato la loro condotta terrena.

Dunque, nello spazio di una manciata di secondi ogni cosa si era quietata fra quelle metalliche pareti che essi, solo un attimo prima, pensarono fossero prossime a comprimerli in una funerea morsa. Con un pur labile senso di sollievo ricominciarono a percepire il proprio ansimante respiro. Il loro cuore batteva più che mai vorticoso nel petto, parendo sul punto di esplodere e schizzare ovunque tutto il purpureo sangue che fra le sue pieghe scorreva. A quel punto entrambi chiusero gli occhi come se, così facendo, potessero fermare il corso dell'indefinibile giornata che stavano vivendo. Ancora quell'esperienza inquietante non aveva espresso la sua sentenza.

Polibio richiamò l'attenzione del compagno sulla luminosa scritta che risaltava poco al di sopra delle manovelle. Essa di colpo si era come aggiornata:

- 335 avanti Cristo, - lesse con un filo di voce, guardando alla sua sinistra, e poi continuò seguendo con gli occhi l'enigmatica didascalia: - 27 Anno Domini... Cosa mai può significare tutto ciò?

- A mio avviso sto per sperimentare la collera degli dèi per tutte le frodi che ho praticato a scapito di miserabili che meritavano tutt'altro, - azzardò Fedro, assaporando già il gusto amaro che accompagna il castigo delle proprie colpe.

- C'è solo un modo per scoprirlo. Si tratta di andare incontro al nostro destino uscendo fuori da questo congegno infernale... - e, mentre diceva ciò, Polibio, esitando, allungò la sua incerta mano verso la manopola dello sportello. O essa avrebbe restituito loro la libertà o, con un riverbero orribile, li avrebbe consegnati a eterni supplizi.

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L'anatema dei sette peccatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora