Gli sventurati si chiedevano quale spettacolo terrificante li avrebbe travolti oltrepassando quella labile soglia che ancora li proteggeva dal repentino materializzarsi dei loro più inquietanti incubi. Forse che li attendeva ansioso di punirli Plutone, il temuto dio dei Mondi sotterranei, il quale ne avrebbe sancito la condanna a mille anni di atroci sofferenze fra fiamme ustionanti, lacerazioni fisiche, visioni orribili, miasmi soffocanti e una disperazione senza tregua? Certamente questa era la credenza divulgata dall'insigne Platone in relazione ai più indegni fra gli uomini, prima che ne avvenisse la reincarnazione in un nuovo involucro corporale e traesse così origine un altro ciclo vitale. Quale maledizione era dunque piombata su di loro proprio quel giorno, che prima dell'ora fatidica, pareva scivolare quieto e docile come tanti altri?
L'indugio non poteva protrarsi oltre.
Polibio afferrò la strana manopola e in qualche modo riuscì a produrre uno scatto. A seguito di ciò lo sportello lievemente si aprì. Un timido bagliore di sole si fece spazio fra quelle anguste pareti. Eppure, in effetti, non pareva che delle creature orribili li stessero realmente aspettando all'esterno, assetate di sangue e pronte a fare scempio di loro. Che quel raggio di luce piuttosto fosse un assaggio della pace che accarezza senza fine le anime dei giusti negli sconfinati Campi Elisi? Davvero non sapevano più cosa pensare.
- Pare che il sole splenda più che mai... - disse Fedro appena uscì all'esterno insieme al compagno. Quelle prime sensazioni quietarono un poco la loro dirompente angoscia.
In apparenza il paesaggio naturale non era cambiato da come lo avevano lasciato poc'anzi. Ovunque svettavano imponenti querce, cipressi e pini carichi di frutto. I ginepri continuavano a spandere intorno a sé un intenso profumo. Più in basso, fra i folti cespugli, il movimento prodotto da piccoli animali alla frenetica ricerca di cibo testimoniava il persistere delle dinamiche della vita. Nel cielo i volatili tracciavano senza sosta le loro parabole, alla ricerca di insetti con cui poter nutrire i propri piccoli che, affamati, pazientavano tutto il tempo nei nidi. La natura dominava incontrastata. Fra quei rigogliosi alberi la realtà umana, con tutte le sue contraddizioni, non faceva sentire il suo fiato.
- Non riesco a capire... - sentenziò Polibio. - Quale diabolico scherzo ci ha riservato il destino?
- Non ci resta altro da fare che ritornare senza indugio presso la carovana e provare a dimenticare questa singolare esperienza. Qualsiasi significato essa racchiuda. La seppelliremo nei nostri ricordi, - ragionò Fedro.
Eppure, raggiunto il sentiero a pochi metri di distanza, essi non ritrovarono alcuna traccia del nutrito convoglio, composto da decine di carri carichi di ogni genere di mercanzia, che con la sua imponente mole era diretto verso Atene. Per lunghi minuti, dimenandosi, perlustrarono la strada sterrata oltre ogni svincolo e ogni barriera visiva costituita da grossi alberi o dalla fitta vegetazione.
Tuttavia, niente.
A quel punto si guardarono in faccia a bocca aperta, chiedendosi come potesse d'un tratto essersi volatilizzato ciò che, secondo ragionevolezza, avrebbe dovuto occupare ampiamente quel remoto sentiero.
Dunque, era veramente successo qualcosa d'imponderabile.
In quegli istanti davanti a loro una leggera brezza increspò i rami frondosi di alti sicomori. Essi parvero assumere le sembianze di inquietanti creature intente impietosamente a sorridere della devastante paura che li pervadeva. Ogni cosa pareva prendersi gioco di loro.
- Vedo in tutto ciò la potente mano di Giove, governatore del cielo e della terra, - osservò, senza riuscire a fermarsi un attimo, Polibio.
- Ma che senso può avere quanto stiamo vivendo? - Non si dava pace Fedro.
- Io penso che la risposta alla tua domanda la possiamo trovare solo tornando laddove quest'oggi ha avuto origine ogni nostra sventura.
- Non so se sia una buona idea.
- Qualora pure ci attenda un amaro destino, preferisco affrontarlo da uomo come avrebbero fatto i nostri nobili antenati, piuttosto che nascondermi in un cantuccio o scappare vilmente al pari di un ignobile coniglio, - affermò con uno scatto d'orgoglio Polibio.
- Non posso certo essere da meno...
Non impiegarono molto a individuare nuovamente fra la vegetazione l'imponente congegno. Si ergeva ancora minaccioso e inquietante. Quando ormai erano sul punto d'introdursi al suo interno, dalle nubi appena addensatesi nel cielo saettò un potente fulmine che andò a infrangersi, squarciandolo, su di un alto olmo proprio a due passi da loro. La mente intrisa di superstizione degli sventurati giudicò questo come un ulteriore presagio infausto circa la bontà dell'iniziativa che avevano assunto. Ma ormai non potevano sottrarsi a qualcosa che stimavano ineludibile.
Una volta dentro, Polibio localizzò immediatamente su una sporgenza metallica alla sua destra dei rotoli di papiro. Stranamente né lui né il suo compagno durante la prima visita li avevano notati. Pareva senz'altro che qualcuno li avesse lasciati in bella vista deliberatamente. Preso fra le mani il più vicino fra quelli lì deposti, il mercante romano lo srotolò con cura. Quindi, reprimendo a stento l'ansia, si approssimò all'intensa luce che filtrava attraverso lo sportello da cui erano entrati.
- È vergato in latino, - riferì subito all'amico.
- Coraggio, leggi quanto vi è riportato.
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L'anatema dei sette peccati
Ficção HistóricaL'idea della storia raccontata scaturisce dalla suggestione che ha avvinto molti di noi quando abbiamo ipotizzato di disporre di una macchina del tempo: quale epoca storica avremmo voluto visitare? Forse quella in cui era vissuto Gesù di Nazareth? Q...