Era stata una dura giornata.
L'assenza di personale in ambulatorio aveva costretto John a trasformarsi in una trottola e occuparsi di molti più pazienti del solito; una tortura tale che, tornando a casa, poteva ancora sentire nomi, cognomi e diagnosi rimbombargli nel cervello.
Promise a sé stesso che avrebbe preso un antidolorifico non appena fosse rientrato nel proprio appartamento, sentendosi però in colpa al pensiero di non poter prestare attenzione a Rosie come avrebbe voluto.
La piccolina gli aveva preparato una sorpresa che, secondo quanto aveva detto, sarebbe stata pronta per quella sera. E lui se la sarebbe persa per colpa di quel mal di testa infernale.
"Complimenti John Watson, sei il papà dell'anno", ripeteva tra sé e sé scuotendo la testa; non era certo colpa sua, ma non era la prima volta che dava alla piccola quella giustificazione.
Una volta entrato dal portone principale, appena messo piede sul primo gradino, le note di una musica piacevole ma decisamente troppo alta investì le sue povere orecchie.
Probabilmente il suono sembrava amplificato per via di quella maledetta emicrania.
Pensò che Sherlock stesse suonando il violino per la bambina, come faceva spesso negli ultimi tempi, e si sentì ancora più in colpa al pensiero di dovergli chiedere di smettere per qualche ora.
"Un bravo papà e anche un magnifico fidanzato, sei l'anima della famiglia, davvero."
Arrivato in cima alle scale aprì la porta di casa con un sospiro, immaginando di trovare la figlia seduta al tavolo della cucina, intenta a fare i compiti, mentre il consulente investigativo suonava qualcosa per aiutarla a concentrarsi, guardando distrattamente fuori dalla finestra.
Inutile dire che non aveva azzeccato su niente:
La musica non proveniva dallo strumento, ma da un registratore, ed era stata preparata precedentemente per l'occasione. Rosie non stava facendo i compiti, era nel bel mezzo del salotto insieme a Sherlock con i piedini scalzi appoggiati sulle sue scarpe, le mani strette nelle sue e lo sguardo rivolto verso il basso, mentre il moro la guidava nei movimenti.
Una lezione di ballo in salotto? Era quello lo spettacolo che Rosie aveva preparato?
Un sorriso si fece largo sul volto del dottore, un attimo prima che la figlia si accorgesse della sua presenza e si voltasse verso di lui, un po' dispiaciuta per essersi fatta trovare ancora impreparata.
Mise subito il broncio, alzando lo sguardo verso Sherlock in attesa che fosse lui a dire qualcosa.
«Le ho raccontato di quando ti ho insegnato a ballare per il tuo matrimonio...» mormorò il detective, mostrando un sorriso palesemente forzato per aver toccato quel tasto dolente. «Mi ha chiesto se potessi insegnarlo anche a lei, ma non abbiamo ancora finito.»
«Non sono ancora brava.» sbuffò Rosie, andando incontro al papà per avere un abbraccio di conforto.
Il mal di testa sembrò essere svanito nel nulla; contro qualsiasi pensiero razionale, da medico qual era, sapeva che per lui quella era la cura immediata per qualsiasi dolore: un abbraccio dalla sua piccola, un bacio dal suo detective, qualche ora trascorsa insieme a loro. Il suo piccolo rifugio dal mondo.
«Sei già bravissima invece. Me lo concedi un ballo, principessa?»
Rosie annuì timidamente, non era del tutto convinta ma ci teneva a mostrargli quel poco che aveva imparato, e aveva aspettato il suo ritorno solo per quel momento. Non poteva mandare all'aria tante ore di duro lavoro.
Tese le braccia verso di lui per permettergli di sorreggerla: stavolta decise di muovere i piedi senza nessun aiuto, ricordando i movimenti di Sherlock e imitandoli a memoria, con un'espressione incredibilmente seria e concentrata stampata in volto.
John non poté fare a meno di sorridere come un ebete per tutto il tempo, facendo bene attenzione a non pestarle i piedi; ricordava poco del suo ultimo ballo, e si sentiva molto più imbranato di lei.
Il detective nel frattempo era sprofondato sulla propria poltrona per gustarsi meglio lo spettacolo, osservando con un certo orgoglio i risultati delle sue lezioni.
«Non metterti troppo comodo, tu. Dopo voglio ballare anche con te!» lo avvertì il compagno, tenendo la mano di Rosie per farle fare una piroetta.
Il moro rise sotto i baffi: «Avrei paura per i miei poveri piedi, mi sembri arrugginito.»
La bambina, per nulla infastidita dal fatto che Sherlock stesse rubando l'attenzione del suo papà anche in quel momento, prese per mano il dottore per trascinarlo di fronte a lui: dopo essersi scambiati una rapida occhiata d'intesa, entrambi i papà accolsero la tacita richiesta della piccola:
Sherlock scrollò le spalle, alzandosi in piedi e aiutando il fidanzato a mettere le braccia nella posizione corretta, per poi appoggiare le mani sui suoi fianchi.
«Vorrà dire che ricominceremo da capo.»
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Murders & Diapers
Fanfiction[Johnlock + Parentlock] Una raccolta di One-Shots riguardanti momenti comici e/o fluff della famiglia composta da Sherlock, John e la piccola Rosie Watson. (Ogni One-Shot è indipendente dall'altra e probabilmente non saranno in ordine cronologico) ...