Capitolo 3

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«Indipendentemente dall'attitudine che possedete, se per il potere psichico o fisico, verreti istruiti nella Manipolazione. Si tratta di una tecnica, un'arte che per essere padroneggiata richiede allenamento costante, e che permette di alterare la Realtà. Maggiore è la vostra sicurezza, maggiore sarà la capacità di manipolare a vostro piacimento le varie situazioni. Possiamo partire intanto con le basi, Manipolazione della Materia. A tutti voi saranno distribuiti dei fogli. Vi illustreremo i vari passaggi per riuscire a trasformarlo in una scheggia di vetro.»

Sono in una cosiddetta Arena. È uguale a quelle costruite dai Romani, e mi ricorda il Colosseo, l'enorme monumento che osservavo in varie foto e che desideravo segretamente di visitare.

Dopo colazione una squadra di ragazzi sulla ventina di hanno consegnato delle borse contenenti indumenti scuri e istruzioni per raggiungere un posto. A metà pomeriggio l'Arena pullulava di giovani Geneta.

Amanda, la direttrice, sarà la nostra insegnante insieme a Stan, un tipo robusto e diretto. Quando sorride si formano delle fossette sul suo viso e perde l'aria da bulletto della scuola. Ha i capelli cortissimi, neri, e occhi sicuri e azzurri.

Passa davanti a noi tutti, sistemati in una fila eccessivamente lunga. Ci porge un foglio grigio, pieno di scritte illeggibili, sfumate nel tempo. Sembra essere stato strappato da un giornale vecchio almeno una ventina d'anni.

Nell'Arena il silenzio è così pesante che potrebbe essere benissimo tagliato da una lama. Non c'è nessun suono a riempire l'aria, neppure gli strilli degli uccellini. Mi chiedo se almeno qui esistano.

Il ritmo regolare dei nostri respire è rumoroso, stride nella quiete. Amanda ci fissa tutti con i suoi begli occhi verdi, strizzandoli per distinguerci meglio e contrastare la luce solare.

Fa molto caldo, e sono improvvisamente grata di indossare maglietta leggera a maniche corte e pantaloncini non troppo stretti. Blu. Tutto quello che indossiamo è blu, una sfumatura dolce che illumina l'ambiente. Non stona con il verde delle foglie lucide degli alberi, né con la costruzione marrone dove ci troviamo. Direi che è fatta in legno, legno vecchio e ammuffito. Non ci sono vetri che si affaccino dagli spogliatoi, solo spalti che incorniciano l'immagine offerta dallo sguardo. D'un tratto nasce in me un dubbio: l'edificio è abbastanza forte da reggere il peso delle persone?

Il pensiero dura un attimo, ma io mi sento scossa ugualmente. Incrocio lo sguardo di Jacob, alla mia destra. Poi mi concentro su Amanda, che stringe il foglio tra le mani. Lo fissa con insistenza, il suo sguardo percepisce solo quell'unico sottile pezzo di carta, le scritte confuse, i bordi scuri. Espira rumorosamente, e un attimo dopo il foglio è scomparso. Non ci sono stati bagliori, rumori o nuvole di fumo. Semplicemente, in una frazione di secondo, il foglio è diventato una scheggia di vetro, grande quanto un mignolo. Amanda la stringe, il suo sguardo torna a volare sui nostri volti e nel farlo solleva la mano in cui stringe il prodotto che ha ottenuto. Poi parla, con la sua voce chiara e squillante, spiegandoci il procedimento da seguire.

Non ascolto, ho già memorizzato tutto. Mi è bastato osservarla per capire. La rivedo con le mani afferrare il foglio per i bordi. Guardare un punto sulla sua superficie. Respirare con più convinzione. Concentrarsi sul pezzo di carta. Tendere i muscoli. Strizzare leggermente gli occhi. Il foglio diventa una scheggia di vetro.

Guardo entusiasta il piccolo frammento appuntito che mi graffia le dita, e sorrido. Qualche ragazzo mi vede, e sento delle mani toccarmi le spalle e mezzi sorrisi su volti sconosciuti.

Amanda mi si avvicina, stupefatta. Senza che possa fare nulla, mi prende dalle mani il pezzo di vetro. Ha gli occhi sgranati e non osa parlare. L'ho turbata?

«Questo lo tengo io. Relia, tu per oggi hai finito. Puoi andare»

Voglio obbiettare qualcosa. Non mi va di tornarmene agli alloggi, senza sapere che fare. D'altro canto, rifiutare mi sembra sconsiderato. E poi il suo tono non ammetteva repliche.

Abbandono il mio posto per avviarmi verso la porta di servizio che dà sui corridoi che si trovano sotto gli spalti. Per rafforzare il soffitto delle sbarre di ferro corrono come in una ragnatela in alto. Le pareti sono bianche, un bianco sporco e pieno di chiazze causate dall'umidità. Alla fine del corridoio, si aprono gli spogliatoi femminili e mascheli, scherati uno di fronte all'altro.

Siedo su una panca, mi cambio e mi sciolgo i capelli. Riccioli castani mi solleticano le guance. Sistemo i vestiti piegati nella borsa. Blu. Quando sto per varcare la porta, sento una voce sussurrare paroli incomprensibili nella mia mente. Afferro solo l'ultima, 'Prudenza', e capisco che è mio fratello a parlare. Sorrido e lo saluto senza aprir bocca.

Percorro il corridoio svoltando un paio di volte ed esco. Nessuno schiamazzo proviene dall'interno dell'Arena, solo un soffice silenzio. Corro fino agli alloggi, e lascio la borsa sopra il mio letto. Mi siedo per terra.

La giornata è ancora giovane. Non posso rimanere qui, aspettando qualcosa che susciti in me sufficiente interesse da spronarmi ad uscire. Fuori fa troppo caldo. Neanche qui dentro si sta troppo bene, ma almeno l'aria è meno soffocante.

Mi sdraio sul pavimento e chiudo gli occhi. È freddo, e brividi piacevoli mi attraversano il corpo. Posso sentire con la pelle il suo fresco gusto che si insidia tra le dita, nel collo, lungo gli arti.

Chiudo gli occhi e mi concentro sul colore scuro in cui affoga lo sguardo. Mi concedo questi momenti di calma lasciandomi invadere dalla tranquillità. Sospiro, senza rendermene conto.

Uno scricchiolio. Lo avverto ancora prima che rimbalzi nella stanza. Apro gli occhi con decisioni, i sensi in allerta. Da quando sono arrivata qui, le sensazioni che provo sono più intense e pesanti, il che ha i suoi lati positivi e negativi. Anche i miei sensi si sono svilluppati.

Scatto in piedi con rapidità allarmante e stringo le mani. Con i pugni chiusi e lo sguardo minaccioso, attendo che qualcuno varchi la soglia della porta.

È socchiusa, ma riesco comunque a vedere un'ombra che saetta nel corridoio. Poi una figura piomba nella stanza e una nausea improvvisa mi assale. Dura un attimo. Subito dopo, la testa mi vortica pericolosamente e sento le ginocchia cedere. Strizzo gli occhi per combattere la confusione che si crea nella mia mente.

La figura davanti a me ghigna, e un attimo dopo mi ritrovo in piedi con la mano stretta nella sua.

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