Capitolo 4

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Realizzo tutto questo con lentezza impressionante. Un attimo prima sono stordita e vulnerabile, distesa sul pavimento; un attimo dopo mi ritrovo in piedi accanto ad un ragazzo alto, con i capelli lunghi e la pelle chiara.

Sono le prime cose che mi saltano all'occhio. Non assomiglia agli altri ragazzi che ho conosciuto qui, ha qualcosa che a tutti noi manca. Qualcosa di sinistro.

«Suppongo che non ci conosciamo.» esordisce lui come se nulla fosse. Sembra che per lui piombare nella stanza di una sconosciuta sia all'ordine del giorno.

«Si può sapere chi diavolo sei e che cosa mi hai fatto?» sbotto brusca allontanandomi da lui. Mi innervosisce, perché non lo conosco e se ne sta di fronte a me sorridendo con l'aria da prepotente.

«Se non rispondessi a nessuna delle due domande? Sono venuto qui solo per scusarmi.»

Non ho ben capito che cosa intende. Lui non sembra minimamente preoccuparsene e si volta. Alza la mano in segno di saluto, e appena chiusa la porta sento le sue parole nella testa. «Per lo scherzo, intendo». Stop. Silenzio.

D'un tratto capisco. E lo ricollego alla lista di fatti-strani-e-improbabili-che-si-sono-verificati-negli-ultimi-due-giorni. Come la serratura nella quale non riuscivo ad infilare la chiave della stanza. O la doccia che sembrava programmata esclusivamente per regalare malanni dovuti alle basse temperature dell'acqua.

, mi dico. sembra proprio il tipo da queste cose.

Mi siedo sul letto distendendo le gambe. E, visto che non ho nulla con cui tenermi impegnata e non ho sonno, opto per passare le successive due ore con un libro in mano. L'alternativa è uscire.

Si chiama I Geneta: viaggio alla scoperta del mondo delle giovani creature. Non è un granché come titolo, e il volume in sé non è neanche poi così tanto recente. Almeno, mi informa quanto basta sull'argomento 'Geneta'.

Nelle prime righe del primo paragrafo della prima pagina del primo capitolo è riportato in caratteri maiuscoli 'I GENETA SONO CREATURE LE CUI CAPACITÀ SONO PIÙ EVOLUTE RISPETTO A QUELLE DI UN QUALSIASI ESSERE SIMILE AD ESSI GRAZIE AL FUNZIONAMENTO PARTICOLARE DI SPECIFICHE PARTI DEL CERVELLO'.

Quindi niente abracadabra, solo un organo più sviluppato rispetto a quello di altre persone. Questa definizione mi delude un po', ma proseguo con la lettura.

'LA LORO PARTICOLARE CAPACITÀ DI ADATTARSI, DOVUTA AD UN INTELLETTO PIÙ SVILUPPATO, LI PORTA A RIUSCIRE A CONFONDERSI CON IL GENERE UMANO SENZA DIFFICOLTÀ.'

Mamma era una Geneta? Nel chiedermelo sento una fitta nel petto. Una valanga di domande mi sommerge la mente. Avrà letto anche lei questi libri? Sentito l'odore invitante che scappa dalla mensa? Ascoltato la pioggia battere sulla finestra nel cuore della notte? Avrà dormito anche lei su questo stesso letto, mentre leggeva libri vecchi e profumati per poterne sapere di più sulla sua vera natura?

D'istinto afferrò con le dita tremanti un lembo della coperta. Lo avvicino al viso e cerco la minima traccia dell'odore di mamma: pane sfornato e ciliegie appena colte.

Nulla. Solo lo sporco odore di detersivo.

Stringo la coperta con più insistenza, senza accorgermene, e ripenso al suo viso. Ho paura di dimenticarne i dettagli ogni volta che la rivedo, eppure eccola qui, sempre soffocata dalla stanchezza e dalla tristezza, sempre nascosta dietro abiti lunghi e chiari.

Una volta le ho confessato che con il suo vestito bianco sporco mi ricordava una sposa. Lei ha riso con quella sua risatina educata, non troppo rumorosa per non disturbare le persone.

Non capivo che ci fosse di così divertente. Io ero serissima. Mamma era di una bellezza che solo alle spose è concesso vestire. Niente trucco pesante o soppracciglia rifatte, solo un volto sincero e timido.

Ho sempre considerato il viso di mamma un libro aperto. Non riusciva a nascondere nulla. Le notti insonni, le lacrime che bagnavano il cuscino. La pesantezza che derivava dai suoi movimenti, la vergogna nel dimostrare incapacità verso azioni che prima dava per scontate. Leggevo tutto, lo elaboravo e lo interpretavo a modo mio. Ho cercato di aiutarla. Le preparavo il caffè ogni mattina e le stiravo il vestito bianco sporco. Cambiavo le lenzuola al letto e lucidavo le sue scarpe preferite. La notte mi rifugiavo nel suo letto, ranicchiandomi contro il suo petto mentre papà se ne stava fuori con gli amici a partecipare all'ennesima cena coi colleghi di lavoro. Le stringevo la mano, sussurravo parole dolci che solo dalla bocca di una bambina possono uscire e le regalavo dei bigliettini speciali per il compleanno.

Poi un errore. Uno stupido, insulso errore, che però ha cambiato l'andamento dei fatti.

Basta basta basta.

Ho lasciato ancora una volta che le mie debolezze scivolassero fuori dal mio controllo, sospinte da un disperato desiderio di poter dimenticare. La coperta è stropicciata e il lembo che stringo fra le mani è sporco delle mie lacrime da colpevole.

Mi rizzo in piedi, risistemo il letto e mi sgranchisco braccia e gambe. Non ho intenzione di rimanere qui, soprattutto dopo il momento di debolezza provato.

Anche se controvoglia, decido di uscire. Camminare mi aiuterà a superare anche questo momento.

Spero vivamente che Jacob non abbia percepito la mia tristezza e la mia confusione. Non vorrei distrarlo dai momenti di felicità che gli stanno animando le giornate ultimamente.

A differenza di me, Jacob ha trovato degli amici. Non so quanto affidabili possano essere, ma sembrano in gamba.

In particolare, c'è questo ragazzo: Tim. In realtà si chiama Timothi, ma lui detesta il suo nome e quindi usa solo 'Tim'. Io non capisco che male ci sia a chiamarsi Timothi. L'ho chiesto a Jacob e lui mi ha scoccato un'occhiata severa. 'Non sono affari tuoi' comunicava.

Esco dalla stanza chiudendomi dietro la porta a chiave.

Faccio un salto in mensa, dove trovo già alcuni ragazzi sghignazzanti, fra cui il tipo dai capelli lunghi che si è presentato in camera mia un paio di ore fa. Quando lo fisso e lui ruota lo sguardo intorno, non inciampa mai nel mio. Sembra ignorarmi perfettamente. Ottimo, un problema in meno.

Cerco Jacob, ma non lo trovo. Non so che fare, perché di solito noi due mangiamo insieme. Forse non ha ancora finito con la Manipolazione.

Mi avvio verso l'uscita, come decido dopo qualche tempo, ma sento un acuto strillo che mi costringe a voltarmi. Maddelaine Scott mi ha invitata a sedermi al suo tavolo. Ha urlato chiaramente il mio nome, anche se nessuno se ne è accorto. E mi ha invitata a sedermi con lei e le sue amiche.

Declino l'offerta scuotendo il capo, con un sorriso cordiale sulle labbra. Immagino l'espressione di disappunto che si formerebbe sul viso di Jacob nel sapere che ho sprecato questa possibilità.

Semplicemente, non sono il tipo da queste cose. Non sono il tipo che si siede ad un tavolo pieno zeppo di persone con cui non ha mai scambiato qualche parola.

In realtà, ci siamo salutate un paio di volte. Maddelaine è una delle ragazze che mi hanno accolta al mio arrivo. Inoltre, ha un anno in più di me ed è una delle più promettenti Geneta della Palude. Spicca in ogni attività, passa i pomeriggi con Amanda vicino alla zona ristoro dove bevono un tè e spettegolano insieme. Okay, forse questo me lo sono un po' inventata io.

Ma, semplicemente, io di queste cose non sono il tipo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 24, 2017 ⏰

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