04. Mela?

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Quando Ragnar ritornò al campo, fu piacevolmente sorpreso di trovare l'accampamento già tirato su e allestito, pronto per passare la notte e i giorni a venire. Era evidente che i suoi compagni riuscivano a cavarsela egregiamente anche senza sua la supervisione e il suo aiuto. Grande, no?

Si muoveva con tranquillità tra i suoi compagni, ora schivando uno scudo volante ora evitando di inciampare nelle funi che tenevano su le tende. C'era un gran trambusto, che rispecchiava in modo speculare quello di Ragnar. Tutti si davano da fare, nessuno escluso.
Si era quasi dimenticato di aver portato - o per meglio dire, sequestrato - una giovane donna.

La ragazza in questione, appollaiata e abbandonata sulle sue spalle di Ragnar come se fosse un vecchio scialle, aveva smesso di dimenarsi non appena aveva notato il resto dei vichinghi. Ed era rimasta sbalordita.

Quegli uomini non sembravano tali, ma discendenti dai giganti: alti almeno quanto una quercia, erano spaventosi nelle loro generose ed esagerate dimensioni; con un solo dito avrebbero potuto spezzarla in due. Non si scherza.

Non aveva mai visto uomini così grandi, dalle sue parti quasi quasi le donne sembravano più massicce dell'altro sesso: dovevano occuparsi delle terre da coltivare, della casa, dei figli e di molte altre attività ancora, mentre i loro consorti si dedicavano alla difesa del villaggio, alla politica, alla religione, agli studi.

Di una cosa era più che certa: quei vichinghi erano dei selvaggi. Aveva sentito molte storie su di loro, la maggior parte delle quali finivano in un genocidio. Erano sanguinari, implacabili, crudeli e pagani. Adoravano falsi dei, uccidevano per loro, danzavano e cantavano di loro.

La ragazza aveva capito che lottare non sarebbe servito a nulla, non era con la forza che avrebbe raggirato quell'uomo che la stava per imprigionare. Doveva usare l'astuzia e l'ingegno, giocando così in casa, e sperare che Dio per una volta stesse dalla sua parte. Tuttavia, lei era già in vantaggio sul nemico: questo lui non lo sapeva, però lei conosceva la loro lingua. Come l'apprese, beh, è un'altra storia.

Si era così lasciata portare inerme nel suo accampamento, mostrandosi docile e accondiscendente, totalmente impaurita. Solo apparentemente, però: lei era tutto tranne una che volontariamente si sottometteva e arrendeva agli ostacoli della vita. Era una combattente.

Vide che l'uomo si avvicinava alla tenda più grande e dall'aspetto in condizioni migliori rispetto al resto dell'accampamento e da questo intuì che o la stava conducendo dal loro capo o che lo era lui, per l'appunto. Si chiese quale fosse il male minore, mentre veniva gettata rozzamente per terra.

Ragnar osservò incuriosito la ragazza e quando piegò la testa di lato sembrò studiarla quasi. Era affascinato dai suoi occhi, che ora si muovevano frenetici squadrando ogni singolo oggetto nella tenda con fare sospetto, come se potesse succederle qualcosa di catastrofico da un momento all'altro.
Quegli occhi, o meglio quelle iridi, erano per il vichingo qualcosa di nuovo: il destro era completamente azzurro, dello stesso colore del mattino appena sorto, ma quello sinistro era nero, scuro e profondo come le tenebre della notte.

Dunque non riusciva a smettere di fissarla; per questo, ma anche perché aveva timore che potesse sfuggirgli e l'ultima cosa che desiderava era inseguirla. Era stanco, aveva bisogno di riposo e non poteva di certo improvvisarsi la balia di quella ragazzina, quindi si affacciò dalla sua tenda e richiamò a gran voce suo fratello Rollo.

Quest'ultimo stava affilando la sua ascia, anche se era già perfettamente tagliente e aguzza, ma si sa, per un guerriero la previdenza non era mai troppa; comunque non esitò a mettere in pausa, momentaneamente sperava, il suo lavoro per seguire Ragnar. Per lui, e solo per lui, lo avrebbe sempre fatto, sarebbe stato sempre al suo fianco. O per lo meno, le buone intenzioni di agire per mille meglio c'erano.

«Che vuoi, Ragnar? Ero parecchio impegnato a lucidare l'ascia», brontolò, dandogli una spallata amichevole dopo averlo raggiunto all'interno della tenda. Abbassò lo sguardo e notò la presenza estranea, gli rivolse quindi uno sguardo confuso.

«Senti, devi farmi un favore», ammise subito senza mezzi termini, indicando poi con il braccio la ragazza seduta per terra. «Occupati di lei, io ho altre questioni di vitale importanza», mentì. Non poteva di certo dirgli che doveva farsi un pisolino!

Rollo, però, scosse vigorosamente la testa, incrociando le braccia al petto. «Assolutamente no. Vai raccogliendo pecorelle smarrite e io dovrei fare il loro pastore?», negò di nuovo con il capo. «Non esiste. Già è tanto che ti abbia fatto passare la storia del monaco, ma ora con questa sgualdrina sei arrivato al limite», protestò inferocito.

Ragnar avvicinò minacciosamente il viso a quello di Rollo, sotto lo sguardo leggermente allarmato della ragazza che non si perdeva un singolo movimento. «Tanto per mettere in chiaro le cose, fratello», cominciò con tono moderatamente alterato, sembrava si stesse trattenendo. «Tu non mi hai permesso proprio niente. Sono io il capo di questa spedizione, sono io che prendo le decisioni, sono io che impartisco gli ordini. Non ho risparmiato la loro vita per compiere un atto di clemenza, per ora ti serve solo sapere che ci occorrono vivi».

Rollo lo fissò qualche altro secondo con il viso contratto in una smorfia irritata, prima di spostare lo sguardo e fare un passo indietro. «Spero solo che tu sappia quello che stai facendo», disse infine.

Ragnar sorrise compiaciuto, mettendogli poi un braccio attorno al collo mentre univa le loro fronti. «Fidati di me, Rollo. Conquisteremo tutte queste terre e con loro la gloria nel Valhalla».

.:*••*:.

«Quindi», cominciò Rollo, grattandosi il retro del collo. «Sei una ragazza. Che cosa fanno le ragazze?»

Non sapeva da dove cominciare con lei. Non aveva mai dovuto badare a nessuno, nemmeno ai suoi nipoti Bjorn e Gyda, e con le ragazze di solito non parlava. In loro compagnia il tempo passava a fare altro e di sicuro non vi erano grandi conversazioni. E poi quella neanche capiva la loro lingua, come avrebbero anche solo provato a comunicare?

«Beh, dovranno pur mangiare», decretò infine, alzando le spalle.

Si rivolse alla ragazza seduta sulla brandina dove dormiva, la quale per tutto il tempo lo avevo fissato come se fosse pazzo, e si accucciò alla sua altezza. E ora come glielo dico?, pensò sconsolato; quindi improvvisò. «Tu» la indicò. «Hai fame, sì?» si massaggiò lo stomaco con dei movimenti circolari. Si sentiva un ritardato.

La ragazza, ben consapevole di quello che stesse provando a dirle, finse di non capire, così, per il gusto di prendere in giro quello scimmione.

Rollo sbuffò e si alzò, guardando intorno nella sua tenda in cerca di qualcosa di commestibile da dare alla ragazza e fermandosi solo dopo aver notato la cesta contenente mele, quindi ne afferrò una. Era di un lucente colore verde. «Vuoi?» chiese e senza neanche darle i tempo di realizzare cosa avesse in mano gliela lanciò.

La ragazza non si aspettava un gesto simile, per cui non ebbe il riflesso di afferrare quella frutta al volo e fu colpita alla testa. Dopo un attimo di sorpresa mista a confusione, afferrò quella stessa mela e restituì il favore, con tutta l'intenzione di fargli male, solo che a differenza sua il vichingo non fu colto alla sprovvista.

«Non ti piacciono le mele?» chiese, prima di addentare quella che aveva tra le mani.

La ragazza alzò gli occhi al cielo e si distese, dandogli le spalle. Preferiva dormire che avere a che fare con quello zuccone!

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 20, 2017 ⏰

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