00. Prologo

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Scandinavia, 793 d.C

L'estate era alle porte e, come di consueto, gli animi dei guerrieri vichinghi si risvegliavano dal lungo letargo che li aveva attanagliati durante il rigido inverno. Il programma prevedeva che sarebbero andati a est, a razziare e uccidere chiunque si opponesse al loro volere senza alcuna pietà, racimolando ricchezze e possibilmente anche schiavi.

Eppure, Ragnar Lothbrok aveva altro in mente. Le terre orientali non attraevano più la sua sete di conoscenza e curiosità, che andavano soddisfatte con altre aspirazioni ben più considerevoli: navigare verso ovest, scoprire nuovi luoghi da esplorare, coltivare e, perché no?, razziare.

Ragnar si morse il labbro inferiore, mentre osservava quella immensa distesa di acqua gelata con gli occhi tersi trasognanti. Era un vichingo, addestrato come un guerriero fin da quando aveva appena mosso i primi incerti passi, e in quanto tale nulla lo spaventava, neanche la morte; nemmeno l'ira degli Dei.

Ragnar desiderava poter cavalcare le onde di quel mare che lo affascinava oltre ogni ragionevole limite e turbava allo stesso tempo. Era un magnetismo che non si riusciva a spiegare e ne era terribilmente, profondamente succube.

Nonostante le sue ambizioni, il conte del suo villaggio, Haraldson, si ostinava a guardare solo verso est, non prendendo minimamente in considerazione l'idea di dirigersi verso l'ignoto. E Ragnar non poteva essere più contrariato e, per certi versi, adirato. Era stanco di dover reprimere i suoi propositi.

Perso nelle sue elucubrazioni, si allertò lievemente quando una mano gli tirò la manica del kyrtill* che indossava e si voltò di scatto. Dovette abbassare lo sguardo verso terra per poter guardare il volto di chi aveva interrotto i suoi pensieri: suo figlio maggiore Bjorn.

«Padre?», lo richiamò il piccolo, gli occhi grandi così simili ai suoi che lo fissavano con tanta aspettativa.

Si chinò al suo stesso livello, gli prese il cereo viso paffuto, tipico della sua giovane età, tra le mani e gli tirò le orecchie, scuotendogli il capo. «Sei pronto per andare, Bjorn?», gli domandò con voce cara, mentre gli sorrideva con un angolo della bocca.

Bjorn annuì, ora timoroso di ciò che lo aspettava ora felice di poter condividere quell'esperienza con suo padre.

Ragnar gli accarezzò la testa dai sottili capelli biondi, alzandosi in piedi. «Vai a salutare tua mamma e tua sorella», comandò deciso; «Dille che faremo ritorno per cena» e detto questo, si voltò verso il mare, come se stesse dedicando alla via dei cigni* i suoi ultimi omaggi.

.:*••*:.

«Conte Haraldson, perché non ci rivela la destinazione di questa estate?»

Nella sala, gremita di guerrieri vecchi e rozzi, giovani e inarrestabili, alle parole di Ragnar calò il silenzio; tutta l'attenzione era rivolta al conte e ciò che avrebbe annunciato.

Dopo un paio di ore di cammino, Ragnar e il figlio Bjorn arrivarono al villaggio di Kattegat, dove si sarebbe tenuta la prima assemblea a cui il figlio del guerriero partecipava; il dodicenne, stava per fare il suo ingresso in società.

Il conte Haraldson, seduto al centro della sala con accanto la moglie Siggy, fissò Ragnar e gli rivolse il sorrisetto tirato. «Torneremo di nuovo nelle terre dell'est e finiremo ciò che rimane dei villaggi che abbiamo razziato la scorsa estate».

Il suo discorso fu accolto da un urlo generale di approvazione e di frenesia, a cui però Ragnar non si unì: quello era il momento giusto per esporre le sue idee, non poteva farsi scappare l'occasione.

Ghignò eccitato. «Le terre dell'est le abbiamo già esplorate, non c'è più niente per noi là», cominciò, mentre si ergeva con tutta la sua sicurezza, parlando al conte ma rivolgendosi a tutti gli astanti. «Ci sono tanti mondi che potremmo trovare, tante ricchezze che attendono di essere depredate da noi, se solo decidessimo di cambiare destinazione», annunciò, accolto poi da alcuni versi timidi di approvazione. Sentiva gli occhi di suo figlio studiarlo.

Il conte Haraldson sbuffò seccato e, poggiando il gomito sul bracciolo della sedia, si porse in avanti. «E allora cosa proporresti, Ragnar Lothbrok?», domandò, ostentando un finto interessamento.

Ragnar non si scoraggiò, anzi prese il suo atteggiamento come una sfida e incalzò con più fervore le sue convinzioni. «Di andare ad ovest, verso le terre che mai nessuno ha raggiunto. Neanche potete immaginare i tesori che sperano di poter essere saccheggiati da noi», fece un gesto plateale con il braccio che avvolse tutti; «e da chiunque altro volesse seguirci».

I presenti rimasero colpiti e convinti dalle sue parole, tanto che alla voce di Ragnar se ne aggiunsero delle altre, sostenendo la stessa tesi del vichingo. Il conte Haraldson si spazientì improvvisamente e si alzò in piedi, mettendo tutti a tacere.

Minacciosamente, guardò Ragnar negli occhi e con ira tubò: «Hai detto bene, nessuno ha mai raggiunto. Vorresti sacrificare degli uomini e le mie barche per una missione suicida? Con le tue idee e la tua mancanza di pudore, Ragnar Lothbrok, hai insultato me. Andremo a est, così è deciso e così sarà».

Nella testa di Ragnar, però, risuonava la frase "le mie barche" come un eco lontano e la sua mente attiva e dinamica stava già elaborando un piano B, già ben consapevole prima ancora di parlare al conte che l'esito sarebbe stato sterile. Il vichingo si sedette di nuovo al suo posto, accanto al figlio che lo guardava con lo sguardo colmo di rammarico per il padre, il quale tuttavia gli strizzò l'occhio furbo.

L'assemblea continuò come se non fosse accaduto nulla, quando Ragnar si sentì afferrato per una spalla. Girò il capo, riconoscendo la presa appartenente a suo fratello, Rollo; non lo vedeva da così tanto tempo che il suo cuore ebbe un sussulto.

«Fratello mio», esclamarono insieme emozionati, mentre si stringevano in un abbraccio colmo di affetto. Quando si divisero, Rollo abbassò lo sguardo su Bjorn, con occhi leggermente spalancati. «E tu devi essere Bjorn», gli strinse una guancia con le dita forti, esaminandogli i lineamenti. «Grande Odino, sei diventato uguale a tuo padre quando aveva la tua età».

Non poteva fare complimento migliore al piccolo, che subito allargò il petto e alzò il mento, fiero del paragone con suo padre.

Rollo tornò a rivolgersi al fratello, mentre si grattava la ispida barba scura. «Sei un pazzo, se pensavi veramente che Haraldson ti avrebbe ascoltato», esclamò quindi, con un sorriso ironico.

Ragnar non batté ciglio e avvicinò il viso a quello del fratello, i loro nasi che quasi si sfioravano. «Allora non mi conosci, fratello. Era una piccola possibilità quella, ma ho un asso nella manica, non temere», ammise compiaciuto di se stesso.

Rollo alzò un sopracciglio, alquanto scettico, come del resto era sempre stato quando si trattava delle strane trovate del fratello. «Vuoi proprio andare fino in fondo, Ragnar?», gli chiese infine arreso, dal momento che dentro il suo cuore sapeva già la risposta.

Ragnar gli regalò un sorriso enigmatico, mentre i suoi occhi scintillavano anche nel buio della sala. «Oh, Rollo, che gli Dei ci assistano».







//N.A
Kyrtill è il nome della veste che indossavano i vichinghi; via dei cigni, è una kenning, ovvero delle frasi metaforiche (correggetemi se sbaglio), e questa è tratta dal poema epico Beowulf.
Come già ho detto, alcune scene sono ispirate alla serie tv, se non l'avete ancora vista correte a farlo, mentre se la conoscete già dal prossimo capitolo -ma anche da questo, infondo - potrete rendervi conto delle differenze.
Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima (:

Ps. Per chiunque non lo sapesse, si legge Rag-nar.

The Warrior - Ragnar Lothbrok Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora