Parte Uno
I coniugi Hamilton lasciarono la grande clinica verso il tardo pomeriggio.
Era una di quelle giornate grige e cupe che preannunciavano l'arrivo di un pesante temporale. Il viale che stavano percorrendo i due coniugi era fiancheggiato da vecchi alberi che, mossi dal vento, creavano un fruscio dolce e malinconico.
E sembrava che il grande rannuvolamento intriso di grigiore che imperversava nel cielo scuro, non si sarebbe deciso ad abbandonare la volta celeste senza aver prima pianto di gocce e lacrime.
I due camminavano uno a fianco dell'altra.
Sommersi nel silenzio, entrambi cercavano di cancellare in qualche modo le parole dei specialisti che avevano dovuto ascoltare nelle ore precedenti. Nessuno dei due aveva coraggio e né voglia di toccare l'argomento.
Erano troppe le parole che doveva pronunciare la bocca di Luke Hamilton, ma lui non voleva farne uscire neanche una. Parole accusatorie, di rabbia, di scuse. Semplicemente tante per essere pronunciate nel grigiore di un autunnale pomeriggio londinese.Non poteva liberarle ora. Non in quel momento in cui si ritrovava l'anima fragile e spezzata. Se non fosse stato un uomo avrebbe mostrato la sua debolezza al mondo piangendo, ma lui era un uomo e non poteva piangere.
Improvvisante, il vortice impetuoso in cui scorrevano sconnessi suoi pensieri si fermò: fu distratto dal dolce rumoreggiare di alcuni bambini.
Drizzando le orecchie, si accorse che le voci provenivano dal parco giochi a qualche metro dal viale che stavano percorrendo. Ci prestò attenzione e si meravigliò di constatare che si trattavano di grida di libertà. Esili e squillanti come non potevano essere di nessuno adulto. Ebbe un tuffo al cuore constatando il fatto che erano flebili schiamazzi che non avrebbe mai potuto sentito in casa sua. Mai.
I suoi piedi si diressero verso l'entrata del parco, senza che fosse lui a guidare i propri passi.
La donna lo trattenne per un braccio. -Dove vai?-
-Voglio stare un po' da solo. Tu vai pure a casa, ti raggiungerò.-
Lei annuì comprensiva e si avviò verso il parcheggio stringendosi le braccia attorno al corpo infreddolito.
Luke si addentrò nel parco, testa china e mani affondate nelle tasche del giaccone.
Le voci ora, erano tutte intono a lui. Rimase incantato nell'ascoltarle tutte insieme.
Miriadi bambini giocavano spensierati, correndo tra gli alberi del parco.Le mamme intente a chiacchierare tra di loro, ogni tanto lanciavano un'occhiata distratta cercando di individuare il proprio pargoletto, forse giusto per metter in pace il senso di maternità.
Tutti erano impegnati a fare qualcosaLuke si sedette su una delle panchine più esterne, che incontrò lungo il viale del grande parco giochi. Si perse con lo sguardo distratto in quel fremito di piccoli corpi che scorrazzavano nel verde dell'erba, con il suono delle loro grida che echeggiava nell'aria.
Incuriosito da una nuova e strana voglia, si rimise in piedi e cominciò a camminare lentamente verso il cuore del parco. Voleva vedere da vicino quei bambini, quasi come se fossero creature magiche. Osservare le loro fattezze infantili e trovare un modo per sorridere dei loro movimenti goffi.
Sorrise amaramente. -Se solo uno di questi potesse essere mio... sarei l'uomo più felice del mondo!-
Cominciò a crescergli nel petto una rabbia improvvisa, un senso di impotenza e frustrazione gli bloccava la bocca dello stomaco. Voleva urlare.
Contro sua moglie che, forse, non aveva neanche una colpa, contro tutti quei dottori che usavano parole vuote che non sarebbero mai state capaci di aiutarlo.Improvvisamente una piccola bimba gli andò a sbattere contro.
Correva sfrenatamente senza nemmeno rendersi conto dove poggiava i piccoli piedi, dalla sua bocca rosea fuoriusciva una risata cristallina e pura. Appena si scontrò contro le gambe di Luke cadde a terra. Una matassa aggrovigliata di capelli rosso fuoco le copriva il faccino tondo.
-Ahi...- mormorò imbronciandosi.
-Ti sei fatta male, piccola?- Domandò Luke con un'espressione stupita in volto, si inginocchiò vicino a lei, e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi.
Questa si alzò di scatto e riprese a correre ridendo come se nulla fosse accaduto. Sparì esattamente com'era venuta. La mano dell'uomo era ancora sospesa in aria mentre un piccolo sorriso si affacciava su quella bocca che non si stirava da tempo.
Quello strano incontro era stato molto piacevole, come un piccolo un tuffo che lo aveva riportato alla realtà che lo circondava in quel momento.
Girò i tacchi e ritornò con passo veloce alla panchina di prima. Si accasciò su di essa, affondando la testa nei palmi delle proprie mani. I pensieri ritornarono ad assalirlo come un fiume in piena; non avrebbe opposto resistenza nemmeno questa volta.
Aveva sempre creduto che fosse stata sua moglie “il problema”. Per anni l'aveva incolpata per non essere in grado di dargli un pargoletto.Ora invece... gli avevano appena detto che era lui quello “difettoso”, lui quello come un guscio vuoto; non lei. E il mondo gli si era crollato addosso. Non avrebbe retto le persone che avrebbero cominciato a giudicarlo come un qualcosa che aveva smesso di funzionare. Come colui che non sarebbe stato in grado di generare vita.
Erano crollate tutte le sue teorie.
Con tutti quei soldi che aveva, lui poteva benissimo sfamare i bambini di mezza Africa. Batté un pugno sulla panchina scrostata.
Mentre era immerso in quei pensieri, un palla colorata rotolò ai suoi piedi riportandolo ancora una volta alla realtà che lo circondava. Titubante, la prese tra le mani mano e si guardò attorno per cercarne il proprietario.
Qualche istante dopo comparve la bimba dai capelli rossi. Era trafelata: stava cercando qualcosa. Quando notò la palla tra le mani di Luke, un grande sorriso luminoso si increspò sul suo piccolo volto.
-Palla!- disse con una voce sottile stridula. Non avrebbe dovuto avere più di tre anni.
Luke continuò a guardarla come incantato.-Palla!- esclamò di nuovo indicando con un ditino quest'ultima, che dal canto suo, sembrava essersi incastrata in una morsa ferrea tra le mani dell'uomo.
Improvvisamente un pensiero gli balenò per la testa. Si guardò attorno, nessuno stava badando a quel strano incontro.
-Lo vuoi un gelato piccola?- le chiese dolcemente.
-Shiii! Gelatooo!- disse lei battendo le mani, con un sorriso di pura felicità mentre gli occhi grigi sembravano brillare di luce propria.
-Dai, vieni con me allora- disse Luke porgendole ancora una volta la propria mano. Questa volta la piccina la prese senza esitare. Nessuno fece caso a quelle due figure che si allontanavano dal parco, e chi li vide, li scambiò per un padre che accompagnava la propria figliola.
Seduti al tavolo di una gelateria lontana dal parco, Luke continuava a guardare estasiato quella piccola creatura.
-Vuoi anche un lecca-lecca?- le chiese dopo che ebbe finito di mangiare il morbido gelato.
La bimba lo guardò speranzosa. L'uomo le aprì la portiera della propria auto.
-Siediti allora. I lecca-lecca sono a casa- disse aiutandola a salire.
La bimba lanciò un gridolino di gioia. -Ha ha!! Bello.-
Luke le sorrise, mentre le accarezzava la testa arruffata.

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Il prezzo della verità
Historia Corta"Fin dove può spingersi l'essere umano per arrivare ad ottenere qualcosa che agogna da tempo immemore?" È questa la domanda che vortica nella testa dell'uomo mentre sta offrendo il gelato ad una piccola bimba sorridente dai capelli rossastri. Una bi...