Quel giorno tutto ebbe inizio

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Una fanciulla dai tratti delicati era ferma ai piedi delle pire punitive in attesa che il fato si compisse. Il suo corpo era completamente nascosto da un mantello scuro e il volto era celato da un ampio cappuccio eppure, si sentiva tremendamente esposta. Le braccia lungo i fianchi avevano le mani strette a pugno per scaricare, su quelle nocche chiare, tutta la propria impotente frustrazione. Gli occhi azzurri, invece, erano ancorati al suolo, come se quelle pietre levigate potessero spiegarle come erano giunte a quel momento.

Un silenzio innaturale era calato sull'intero slargo e, infido, attendeva solo di mutare.

D'improvviso, il portone delle Segrete si aprì con uno stridio e la giovane trattenne il respiro al suo suono e, ancor più, a quello dell'incedere ritmico e metallico delle guardie. Sapeva bene che sarebbe successo da lì a poco, ma non poté ugualmente mitigare l'esplosione di emozioni che le si agitavano dentro come un mare in burrasca. Ella era come una nave e la folla, che ora levava un tripudio di urla, era l'acqua in tumulto. Con uno sforzo si costrinse a sollevare gli occhi per puntarli nella loro direzione e, lì, le vide. Le tre Streghe, incolonnate come le più cruenti criminali, avanzavano tramite gli strattoni che le guardie davano alla corda legata intorno alle loro mani. Vestite con una sola sottoveste scura, avevano una benda sugl'occhi, affinché non maledicessero i Boia.

La giovane deglutì non appena percepì il consueto profumo di terrore, ma non mosse lo sguardo. Continuò a osservare con rispetto la loro rigida compostezza e, quando furono assicurate ai rispettivi pali, sulla sommità delle pire, partirono le ingiurie della popolo.

"A morte le streghe!" urlavano alcuni.

"Figlie di Satana!" aggiungevano altri.

Il fuoco intanto partì dal basso con una lenta e deleteria ascesa. Il crepitio del legno innescò nella giovane un moto di cordoglio e d'istinto arretrò di alcuni passi.

Nessuno badò alla sua silente fuga. Troppo impegnati a gioire per l'estirpazione del Demonio nelle sue dilette figlie.

Le urla di dolore delle sue sorelle, che si innalzarono acute verso il cielo reso brumoso dal fumo nero, stridendo e fondendosi con il giubilo della folla in delirio, la inchiodarono sul limitare della piazza.

Il cuore accelerò quando si volse a guardare quelle alte fiamme che si attorcigliavano intorno ai loro corpi: ormai divenuti solo piccole sagome scure.

L'odore di carne bruciata le schiaffeggiò le narici costringendola ad allontanarsi ancora.

Strinse i pugni al petto e, dando le spalle ai roghi, iniziò a correre. I passi frettolosi sulla fredda pietra, risuonavano sinistri anche alle sue orecchie, ma nulla potevano contro lo strazio che ancora riusciva a sentire. Attraversò rapida alcuni vicoli, sempre più bui e spopolati, cercando di mitigare quell'oppressione e, in una delle tante svolte, urtò contro un muro umano e rovinò al suolo.

"Vi siete fatta male?" domandò il muro, con voce pacata.

La donna sollevò il viso e non appena i suoi occhi si posarono sull'uomo iniziarono a bruciare. Li coprì con entrambe le mani e chiese con voce roca: "Chi siete?"

"Sono la vostra opportunità."

"Per che cosa?"

"Per non temere più il fuoco" le rispose, abbassandosi per portarsi dinanzi al di lei viso.

La giovane tentò di scoprire gli occhi per guardare l'interlocutore e definirne i lineamenti, ma nuovamente la luce che egli emanava glieli ferì, perché essi non erano abituati a un tale splendore.

"Non riesco a vedervi", mormorò con voce flebile, "perché i miei occhi non sostengono la vostra figura?"

"Perché la mia anima brilla della Luce del Signore. I vostri occhi non sono pronti per essa."

"Cosa volete, dunque?" inquisì abbassando il capo.

"Io non voglio nulla, semmai sono qui per donare" precisò l'altro con voce gentile.

La fanciulla scosse il capo confusa e lasciò scivolare le dita tra i capelli arruffati e il cappuccio le ricadde sulle esili spalle liberandole il volto.

"Io non capisco, signore."

"Chiamami Michele, Janara" rispose, eliminando la deferenza.

Ella sussultò nel sentirsi chiamare con quel nome di strega e indietreggiò da seduta, ma la fuga fu breve perché si fermò ben presto sul muro di un edificio.

"Lasciatemi stare!"

"Non devi temere, ultima sorella di Beneventum, io sono qui per proporti di mutare la tua missione."

"In quale modo? Spiegatevi, vi prego."

La tensione la stava letteralmente consumando dentro. Sentiva ancora il cuore martellarle nel petto e il respiro affrettato. Le sorelle stavano ardendo nelle pire e uno sconosciuto, illuminato da Dio, la chiamava Janara promettendo un tipo di salvezza."

"Io sono L'Angelo della Buona Morte", rivelò Michele con voce solenne, "e ti propongo di divenirlo a tua volta."

"Io un angelo?" ghignò sprezzante. "E perché mai?"

"Per evitare le fiamme che tanto temi", replicò serio, ma era chiaro che stesse nascondendo qualcosa.

"Perché io?"

"Perché ne hai bisogno."

"Cosa significa?" incalzò lei, tentando di guardarlo attraverso le dita.

Era stressata dalla mancanza di contatto visivo e non le piaceva che lui potesse scorgere la sua difficoltà.

"Sono solo un araldo, Janara. Non sono a conoscenza di quello che verrà perché non mi è lecito sapere, ma so che sei la scelta giusta."

Senza darle tempo e modo di ribattere, l'uomo le pose una mano sul capo e cominciò una litania dal suono antico che ella non ebbe modo di comprendere.

Il mormorio soffuso che uscì dalle di lui labbra, si tramutò in un soffio fresco che le circondò il corpo avvolgendola con una piacevole temperatura. Si sentiva leggera e per un attimo le sembrò di volare. Poi ritornò presente all'ambiente e alla sua vita e percepì un nuovo fardello, più forte del precedente, che le comprimeva il petto mozzandole il respiro.

Si affannò spaesata da quell'inattesa sensazione e sollevò lo sguardo puntandolo sull'uomo che le era dinanzi.

La sua Luce era ancora troppo forte per permetterle di guardarlo, ma udì bene le sue parole.

"D'ora in avanti ti chiamerai Michela: l'Angelo della Buona Morte."



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