❝ Until your God stole you from the edge ❞

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  ❝....aprire gli occhi! DEVI APRIRE GLI OCCHI, KARL! Io e Adam ormai siamo una coppia di fatto, la storia fra noi è finita da tempo! Ed ora per favore sparisci, sto lavorando e tu non puoi stare qui!❞ 

Quello che sento non è quello che mi aspettavo, quello che vedo tanto meno. La voce di una donna mi urla nelle orecchie. E' qui, è a pochi passi da me e mi intontisce più di quanto io non abbia bisogno. Dov'è finita la melodica voce di quella bambina? Devo vederla in volto, devo scoprire chi sia. A stento riesco ad alzare le palpebre, sono come saracinesche vecchie e arrugginite che non vogliono saperne di liberare l'ingresso che tengono custodito dietro le loro fasce di metallo vecchio. Mi aspetto un verde prato, un rigagnolo d'acqua scavato fra le rocce, rossi capelli ondulati, rosee camelie e la lucentezza di quella pietra. Invece vedo solo bianco. Un triste e vuoto soffitto di un bianco sporcato dall'umido e dalla noncuranza del suo proprietario. Mugolo, nell'invano tentativo di gridare:   "Ehi voi! Fate un po' di meno baccano, qui c'è gente che dorme!". Ma mi sento un viandante che si è perso nel deserto, la gola mi pizzica come se non bevessi da secoli, tutto intorno a me gira come se fossi seduta su una trottola in movimento con in pancia una bella porzione di  peperonata e bucatini, solo che il mio stomaco sembra completamente vuoto. Nel vortice di immagini che mi ruota intorno, riesco comunque a riconoscere la donna che parlava, avvolta in un camice bianco, e l'uomo a cui si stava rivolgendo, un tipo che stenta a tenersi in posizione eretta e porta un paio di occhiali dalla montatura a dir poco demodè. Ad ogni modo, il mio silenzioso tentativo di farmi sentire viene udito. 

  ❝Oh mio Dio..non ci posso credere..DOTTORE DOTTORE! LA PAZIENTE 321 È SVEGLIA!❞  

Un mero numero.

E' questo che sono adesso? L'odore di purè e quel bip frastornante che mi trivella le orecchie bastano a farmi capire che sono in ospedale, solo non so il perché né da quanto, ma a giudicare dalla reazione della mora, che mi sa tanto di Barbie Dark Version, intuisco che non è da poco. Corre come una forsennata, scansando e quasi buttando a terra il pover'uomo che la stava supplicando di rimettersi assieme, in preda al panico totale e all'ansia innestata, probabilmente, anche da quel bip frustrante che rimane costante, pur io mi sia appena resa conto di non essermi appena risvegliata da un sogno qualunque, a casa, nel mio comodo letto...ma com'è fatto il mio letto? Di che colore sono le pareti di camera? Com'è fatta casa mia? Le domande mi sorgono spontanee una dietro l'altra come se un concime magico ne facesse fiorire di continuo. Nemmeno il tempo di realizzare niente, che Miss Barbie fa di nuovo capolino dalla porta, i suoi tacchi dodici preannunciano il suo arrivo, ma non quello dell'uomo che la precede. Alto, un fascio di barba intorno al mento, un paio di occhi che non lasciano trasparire alcun pensiero. Ha l'aria rilassata ma nel suo passo denoto una certa fretta; mi sento così calma e concentrata che mi sento quasi in colpa nei confronti degli sguardi preoccupati che mi circondano. Il tipo che ci provava con la Barbie decide che è il momento di filarsela; ottima scelta amico. Non ho nemmeno la soddisfazione di vederlo andare via che un bagliore di luce mi occulta la vista e improvvisamente ripenso a quel cristallo che brillava colpito dalla luce solare, qualcosa mi diceva che lo avevo già visto prima di allora. 

  ❝Signorina, come si sente? Sa dirmi il suo nome?❞

Chiede l'uomo - o meglio il medico - che mi sta puntando quella luce dritta dritta negli occhi, attendendo una mia risposta positiva. Se fino a quel momento avevo incredibilmente mantenuto una calma fuori da ogni aspettativa, adesso il mio saldo castello era crollato su sé stesso.

 Qual'è il mio nome? 

Dottor Belloccio e Miss Barbie si scambiano un'occhiata che lascia intravedere i loro pensieri: "è andata, non si ricorda nemmeno come si chiama, la mettiamo nel reparto di psichiatria".  Avrebbero avuto tutta la ragione di farlo, perché come cribbio si fa a non ricordare il proprio nome? E mentre il panico interiore sta per dilagare, l'uomo apre di nuovo bocca  e mi rassicura sul fatto che fosse normale avere dei vuoti di memoria dopo quello che mi era successo e allora fu spontaneo chiedere cosa diavolo era accaduto esattamente. 


Avrei preferito non saperlo. 


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   ❝Lei, signorina Leblanc, ha riportato un trauma cranico in seguito ad una caduta. E' stata portata qui il dieci agosto duemilasette...e oggi...oggi è il venticinque maggio duemiladiciassette. Sono passati esattamente dieci anni da quando è entrata in stato comatoso. Lo so che adesso la vita le sembrerà ingiusta, per averle tolto tutti questi anni, ma pensi al suo risveglio come un miracolo. Non credevamo che sarebbe mai stato possibile. Sua madre, però, ci ha creduto fino in fondo. Se fosse qui per vederla, oggi, sarebbe molto fiera di lei, perché è riuscita ad uscire dal suo incubo con le sue sole forze.❞


Fu questo, quello che mi sentii dire a distanza di giorni, il tempo che io mi riprendessi dallo "shock del risveglio", quando invece, se proprio vogliamo parlare di rivelazioni scioccanti, erano stati loro ad iniettarmene una bella dose massiccia. I loro occhi pieni di rammarico erano solo il tocco finale di una maschera costruita ad arte. Fingevano, a nessuno importava realmente di  ciò che stavo affrontando. La vita mi sarebbe sembrata ingiusta? No, la vita è solo una bastarda, è con quel Dio crudele che me la prendo. Mi ha lasciata dormire per anni solo per svegliarmi , ad un certo punto, e rivelarmi il suo piano sadico. Mi aveva tolto la mia infanzia e quasi tutta la mia adolescenza. Ora, a diciassette anni, mi ritrovavo con le ceneri di una madre che aveva sacrificato sé stessa per me ed un padre che non si informava nemmeno sul conto di sua figlia. Ma la cosa più dolorosa di tutte è che io non li ricordassi. Provavo dolore, ma allo stesso tempo mi sentivo vuota. Era come se mi avessero raccontato una storia triste che mi aveva messo di malumore per un po', poi tutto era passato nel giro qualche ora e non c'era rimasto nient'altro.



Un mese dopo ero ancora sdraiata su quel letto, le gambe stese e le braccia rigide che scendevano lungo i fianchi, perfettamente imballata formato bara. Ma non era una sepoltura ad attendermi, bensì qualcosa di peggio, talmente tremendo da farmi sospirare di malinconia al pensiero della morte, che quasi quasi avrei preferito. Il mio ricovero non aveva più senso di proseguire. Fisicamente stavo bene, dovevo solo continuare la fisioterapia, mettere su un po' di carne e muscoli, ma non c'erano lesioni nel mio corpo che mi costringessero in un lettino d'ospedale. 

Il mondo esterno mi attendeva.

Ma io non attendevo lui. Dopo anni rinchiusa in quelle quattro mura, pur non essendone consapevole, temevo tutto ciò che c'era al di là di quelle finestre. Il mio cervello era rimasto ad uno stato bradipo per talmente tanto tempo che ero certa non sarei riuscita ad adattarmi. Avevo difficoltà con le divisioni a due cifre, figuriamoci se me la sarei potuta cavare là fuori.  Non avevo dove andare, non sapevo cosa fare. Ero sola, completamente sola, almeno fin quando non ricevetti una telefonata.

❝E...vorrei che tu tornassi in città con me, ormai sono anni che vivi rinchiusa in una clinica, hai bisogno di uscire e vedere il mondo. Torna a casa, piccola.❞

Era la voce di papà.   


JADE - Le cronache dei lupiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora